Convocata da Più Europa, la convention di sabato 24 febbraio dovrebbe portare alla creazione di una lista di scopo europeista che raggruppi la galassia centrista (ma ben poco centrale) della politica italiana. L’obiettivo è superare la soglia di sbarramento che per le europee è fissata dal 2009 al 4%: Magi il Sisifo della politica italiana.
Nell’anno delle elezioni europee la decisione di Più Europa (il partito che l’integrazione ce l’ha nel nome) di convocare una convention per gli Stati Uniti d’Europa sembra azzeccata. L’alto ideale di Ventotene tende però a sparire sullo sfondo di veti, antipatie, scaramucce personali tra i leader di una galassia centrista che, stanti così le cose, difficilmente riuscirà a ripetere i “fasti” del 7% raccolto alle politiche di due anni fa. L’idea dovrebbe essere quella di procedere ad un apparentamento di scopo, per evitare di essere esclusi dall’Europarlamento non superando la soglia di sbarramento al 4%, utilizzando come base di dialogo il comune afflato europeista. Hanno quindi preso parte alla convention promossa dalla storica leader radicale Emma Bonino, apparentemente fiaccata nel fisico ma sicuramente non nell’animo e nella voglia di combattere, tutta quella galassia (quasi un pulviscolo) che in altri tempi sarebbe finita sotto il cappello di liberaldemocratici (che oggi non è facile definire) e che in Europa a livello parlamentare si rivede nel gruppo Renew Europe, e nei due partiti che lo compongono l’ALDE (storico partito liberale europeo) e il Partito Democratico Europeo.
Il federalismo europeo come collante per il prossimo appuntamento, ma, si immagina, tenendo in vista possibili ulteriori convergenze anche a livello interno. Prospettive che però possono essere considerate meri esercizi di fantapolitica se si guarda a quanto è trasparso lo scorso fine settimana a Roma: sono passati dei mesi e lo scontro tra Renzi e Calenda non è diminuito di intensità, i due Senatori continuano a non parlarsi sin dal naufragio del fu Terzo Polo, se si escludono le velenose accuse che i due si dedicano a mezzo tv e stampa ogni settimana. In questo quadro si pone Più Europa e il suo Segretario Riccardo Magi che, scomodando la mitologia, è assimilabile alla figura di Sisifo, che costantemente nel Tartaro è costretto a spingere su una ripida collina un immenso masso che, una volta arrivato in cima, rotola nuovamente indietro. Ma anche a casa Bonino le cose non vanno meglio con il partito che non sembra univoco rispetto alle prospettive di alleanza.
Cosa è trasparso quindi? Poco, molto poco se non che ci sia bisogno di extra time come ha sottolineato in chiusura Riccardo Magi. Tempo ulteriore non tanto per sciogliere eventuali nodi politici bensì per decantare (ancora) e comprendere se i nodi personali possano essere superati: non propriamente un buon inizio per una serena collaborazione in vista di un appuntamento elettorale che è a soli tre mesi di distanza.
Se Matteo Renzi si è detto disponibile (e ha portato con sé l’intero stato maggiore di Italia Viva), Calenda in collegamento da Kiev dove era in missione, ha detto un “sì” a mezza bocca, proponendo un intervento incentrato sulla situazione in Ucraina. Emblematica anche l’assenza di rappresentanti del suo partito nella sala congressi dove si teneva la convention, che è stata liquidata da Azione come una photo opportunity. L’ex ministro non si fida di Renzi, e sembrerebbe che la sua intenzione sia di sfruttare quella apparente posizione di vantaggio che i sondaggi gli concedono, in un’ottica forse revanchista al fine di arrivare alla conta alle urne e raccogliere un risultato più alto rispetto all’ex collega di coalizione. In tutto questo panorama di attriti personali si trova Più Europa, che di motivi di non fidarsi di Calenda ne avrebbe diversi e tutti riconducibili all’estate del 2022 quando, a poche ore dalla firma dell’accordo elettorale con il PD, ha fatto saltare ogni tipo di convergenza in diretta Tv. Più Europa è il più piccolo dei tre partiti e si è già detto disponibile, nel caso in cui non ci fosse un accordo a correre da solo, con la (quasi) sicurezza di non riuscire nemmeno ad avvicinarsi alla soglia di sbarramento. Va però riconosciuto alla piccola formazione di Bonino non soltanto la resilienza ma anche la capacità di ottenere risultati migliori alle elezioni europee se li si confronta con le politiche dove, inevitabilmente, la formazione della leader radicale risente del voto utile indirizzato a partiti e liste ben più sostanziose e ritenute in grado di competere a livello nazionale.
Al netto degli sviluppi che (forse) dovrebbero concretizzarsi nelle prossime settimane, va sottolineato come l’evento del 24 febbraio abbia rappresentato, da un certo punto di vista, una ventata di aria fresca nella politica italiana, che si appresta a scontrarsi per i settantasei seggi del Parlamento Europeo: si è parlato finalmente dell’oggetto del contendere, l’Europa, allontanandosi da quel vizio (a dire il vero non solo italiano) di utilizzare le consultazioni per il rinnovo dell’assemblea legislativa europea come termometro tutto interno ai singoli Paesi. Finalmente, inoltre, ci si è anche allontanati da quella discussione che ha appassionato per delle estenuanti settimane il dibattito politico italiano, concentrando fiumi d’inchiostro sull’ipotesi o meno, di una candidatura delle due protagoniste della politica (Meloni e Schlein).
La politica è qualcosa di nobilissimo che vive molto spesso di aspirazioni ideali e, forse, nell’Europa uscita fiaccata dalla II Guerra mondiale nessun’aspirazione è stata così pervasiva e importante come quella dell’integrazione europea. Riprendere in mano il fil rouge dell’integrazione politica è non solo opportuno ma necessario. Trattandosi però in buona sostanza di un sogno visionario, nell’Italia e nell’Europa del 2024, proporlo come punto centrale di un programma elettorale è rischioso perché bisogna banalmente essere in grado di raccontarlo, avendo esso in sé molto poco di concreto (all’apparenza). Vanno infatti considerate le condizioni nelle quali questa narrazione va ad inserirsi: veniamo da quasi vent’anni nei quali il sentimento europeista è stato martoriato da crisi gravissime (economiche, sociali, internazionali) che hanno evidenziato non soltanto l’incapacità dei piccoli stati nazionali di rispondere alle necessità globali, ma anche la lontananza e l’inefficienza di quell’unica struttura che potrebbe essere virtualmente in grado di competere in un mondo globale: l’UE. Forse uno dei problemi più grossi per le forze politiche che credono nel federalismo europeo sta nella narrazione: l’Europa va spiegata ma per fare questo è necessario sapere di cosa si sta parlando, avendo banalmente in mano un’idea concreta di come si vorrebbe portare avanti la discussione. Le forze europeiste devono scendere dal piedistallo di un’autoreferenzialità che le ha portate, in Italia, ad essere percepite lontane da quello che potrebbe definirsi l’elettore medio, ad essere quelle forze dei “centri storici” votate a perseguire e difendere gli interessi di quella nuova aristocrazia urbana che non ha percezione delle difficoltà del cittadino comune. Ad esempio, parlare di politica europea di difesa e dell’opportunità di creare una difesa comune superando gli eserciti nazionali va bene, si tratta di un esercizio accademico che entusiasma chi si interessa di questi temi, ma affinché vi sia una reale mobilitazione in questo senso dei cittadini europei bisogna essere in grado di spiegare banalmente “perché”. Quello che si vede, invece, nel panorama a volte desolante della politica italiana, è che anche chi dell’integrazione europea ha fatto il suo vessillo, lo spiegare a chi non è addetto ai lavori (possibilmente trasmettendo anche un certo entusiasmo, allontanandosi da discorsi accademici un po’ noiosi) è vista come un’attività fastidiosa, nell’idea che si sia di fronte a temi che dovrebbero essere patrimonio comune. Fino a quando l’integrazione, l’Unione Europea non torneranno ad essere spiegate “scendendo dal piedistallo”, pur tenendo presente l’afflato ideale del sogno di Ventotene, quello che si preannuncia sarà una vittoria ben più schiacciante (morale prima ancora che elettorale) delle forze antieuropeiste e lo sgretolarsi di un’ambizione che è molto più concreta di quanto si ritenga.
La Débâcle sarda
Nel frattempo sul cantiere delle europee sono arrivati, con molta lentezza, i risultati delle elezioni regionali in Sardegna che hanno consegnato una vittoria di misura ad Alessandra Todde sostenuta da PD e Movimento 5 Stelle. Sebbene sia importante ricordare che ogni elezione ha delle caratteristiche politiche a sé e che non sia mai saggio cercare di prendere lezioni nazionali da contese locali, pur tuttavia è opportuno fare alcune considerazioni anche in virtù delle conseguenze per l’area di centro, che tenta così faticosamente di ritagliarsi uno spazio in quello che potrebbe sembrare un rinato ma claudicante bipolarismo.
Le elezioni in Sardegna (nonostante il faticosissimo spoglio che ha impiegato due giorni) non solo hanno visto la sconfitta della coalizione di centrodestra, probabilmente penalizzata dalla lunga contesa per l’individuazione del candidato presidente, ma sicuramente quella di Renato Soru terzo in lizza. Di area progressista, già Presidente regionale dal 2004 al 2009, l’imprenditore sardo si è candidato in contrasto con la linea del PD, che l’aveva già sostenuto in passato, a causa della scelta della dirigenza regionale di procedere ad un accordo con il Movimento 5 Stelle. Soru era sostenuto da alcune liste civiche, una con i simboli di Azione e Più Europa (e Italia Viva che non aveva il suo simbolo né candidati) e, infine, una di Rifondazione Comunista. Il risultato è stato a dir poco deludente con l’8% e la lista comune Azione e Più Europa che si è fermata ad un misero 1,5% con circa diecimila voti[1], in calo rispetto alle politiche di due anni fa quando Più Europa raccogliendo quindicimila voti si è fermata al 2,28% e l’allora Terzo Polo con trentunomila voti ha raccolto il 4%[2]. Facendo un parallelismo, forse azzardato, si ripete uno schema (abbastanza fallimentare) molto simile a quello che è avvenuto lo scorso anno in occasione delle elezioni regionali in Friuli Venezia-Giulia, dove anche in quell’occasione i tre partiti sostenevano Alessandro Maran (già ex parlamentare prima di area Scelta Civica poi PD) in dissenso dalla scelta fatta da quest’ultimo di candidare, in accordo con il Movimento 5 Stelle, Massimiliano Morettuzzo; anche in quell’occasione il Terzo Polo (che stava esalando i suoi ultimi respiri) si è arenato a meno di undicimila voti pari al 2,7%, riuscendo a fermarsi persino dietro al candidato di Italexit.
Il progetto di un polo di centro moderato che si distanzi dal così detto “bipopulismo”, nelle competizioni locali non è in grado di muovere grandi masse di elettori; dovrebbe essere chiaro che le elezioni regionali si giocano prettamente sulla capacità o meno di presentare un progetto amministrativo serio e concreto. La scelta sarda, invece, oltre ad aver tolto voti alla sinistra rischiando di regalare la regione a Meloni, è stato solamente frutto di un duello, di nuovo, personale interno al centrosinistra locale cui si sono per qualche ragione accodati Azione e Più Europa, anche perché guardando alla composizione delle liste che sostenevano Soru, non si può far a meno di chiedersi come mai sia stato più accettabile accordarsi con Rifondazione Comunista e non con Giuseppe Conte, se gli elementi dirimenti sono quelli afferenti alla politica nazionale (il sostegno all’Ucraina, ad esempio che non risulta in cima agli interessi di quel partito). Apparentemente, la débâcle sarda ha portato il leader di Azione ad aprire all’ipotesi di dialogo con il Movimento 5 Stelle, ma solo ed esclusivamente in ambito regionale, apertura che va presa con cautela anche in virtù dei distinguo che sembrano essere già sul tavolo. Si vedranno quali sviluppi ci regaleranno i prossimi appuntamenti regionali, quel che è certo è che Calenda ha ragione nel momento in cui sostiene che non sia possibile non dialogare con Conte. Quello che resta da vedere è se Più Europa sarà in grado di sviluppare una sua politica autonoma in grado di essere davvero competitiva rispetto ai partner liberali, potendo ad esempio vantare una coerenza di linea politica che manca molto nel panorama politico italiano, è però necessario uscire da quel cul de sac di autoreferenzialità che condanna all’irrilevanza.
In conclusione il cantiere è aperto ma, date le fondamenta, pare complicato che possa essere costruita una struttura stabile in grado non tanto di affrontare i le prossime sfide politiche, ma sopravvivere a sé stessa nei prossimi 2 mesi.
Note
[1] https://elezioni.repubblica.it/2024/regionali/25-febbraio/sardegna/
[2] Dati Eligendo Ministero dell’Interno https://elezionistorico.interno.gov.it/index.php?tpel=C&dtel=25/09/2022&tpa=I&tpe=I&lev0=0&levsut0=0&levsut1=1&es0=S&es1=S&ms=S&ne1=26&lev1=26
Foto copertina: L’evento “Per gli Stati Uniti d’Europa con Emma Bonino” organizzato il 24 febbraio a Roma ha eccezionalmente riunito insieme gli esponenti di punta di partiti caratterizzati da storie e posizioni differenti su molti temi e screzi (in particolare Matteo Renzi e Carlo Calenda, entrambi coinvolti nell’evento), ma convinti su un punto: solo con un’Europa federale è possibile guardare al futuro. [x (ex Twitter)]