La transizione energetica e la lotta al cambiamento climatico hanno occupato Stati e Istituzioni internazionali sin dalla Conferenza di Stoccolma del 1972. Ad oggi la questione ha assunto tratti sempre più complessi e ha dato origine a tensioni tra le maggiori potenze per l’accaparramento delle risorse naturali necessarie ad affrontare questa sfida. Quali sono i risvolti geopolitici di questa nuova era dei rapporti internazionali?
A cura di Luigi Parisi.
La tutela ambientale: una panoramica generale
La tutela ambientale come priorità globale ebbe inizio con la Conferenza di Stoccolma del 1972, organizzata dall’Organizzazione delle nazioni unite1. Esso fu il primo grande vertice internazionale focalizzato sui problemi ambientali e ivi si posero le basi per quello che venne definito successivamente come sviluppo sostenibile2, riconoscendo la necessità di integrare la salvaguardia dell’ambiente all’interno delle tematiche di crescita e di sviluppo economico. Tra i risultati principali vi furono la creazione del Programma delle Nazioni unite per l’Ambiente (UNEP) e l’adozione della Dichiarazione di Stoccolma, che pose le basi per la cooperazione ambientale internazionale. Da allora, diversi passi sono stati fatti per il raggiungimento di questo ambizioso obiettivo, sia a livello universale che regionale: da una parte, infatti, in ambito onusiano sono stati adottati atti come il Protocollo di Kyoto nel 1997 e gli Accordi di Parigi nel 2015. D’altra parte, uno sforzo maggiore è stato fatto dall’Unione europea, la quale ha assunto un ruolo di leadership attraverso iniziative come il «Green Deal europeo», che punta a raggiungere la neutralità climatica entro il 2050, e il pacchetto legislativo «Fit for 55», mirato a ridurre le emissioni di gas serra del 55% entro il 2030. Con il Trattato di Lisbona, infatti, l’Unione ha inserito nell’articolo 3, paragrafo 3, del TUE un impegno verso lo sviluppo sostenibile per i suoi paesi membri e, al paragrafo 5, il medesimo obbligo nella sua azione esterna.
A loro volta i singoli Stati, tra cui le maggiori potenze economiche, come Stati Uniti, Cina e India, consci del problema, hanno adottato nelle loro legislazioni nazionali misure volte alla tutela ambientale e alla transizione energetica. Le motivazioni, tuttavia, differiscono: gli USA sono già la prima potenza mondiale militare ed economica ed hanno sfruttato l’ambiente e le sue risorse per quasi due secoli; la transizione verde, quindi, consiste per loro nel mantenimento dello status quo tramite un ampliamento del tessuto industriale del paese e il controllo delle nuove tecnologie in materia. India e Cina, invece, che seguono il percorso dello sviluppo da poco più di 40 anni, sono più interessate prima a raggiungere il picco delle emissioni, secondo un concetto di equità nell’inquinamento da sempre ribadito in vari fori internazionali, e solo successivamente impegnarsi nella lotta al cambiamento climatico. Questo, naturalmente, non impedisce di iniziare a investire in tale industria nascente sia per ottenere vantaggi geopolitici, fosse null’altro l’indipendenza energetica (rectius: la diminuzione della dipendenza energetica, dato che nessuna nazione è perfettamente autarchica in un mondo così globalizzato), sia per migliorare la propria economia, attraendo investitori e spill-over tecnologici. Tutto ciò, tuttavia, comporta la necessità di ingenti risorse, fondamentali per lo sviluppo di nuove tecnologie non inquinanti e per la produzione di energia pulita: la loro scarsità, da qui il nome di terre rare, ha generato tensioni geopolitiche non indifferenti che hanno contribuito a destabilizzare la situazione globale.
Transizione energetica e geopolitica: una nuova era nelle relazioni internazionali
La transizione energetica, indispensabile per fronteggiare i cambiamenti climatici, ha creato nuove dinamiche di potere legate al controllo delle risorse strategiche necessarie per le tecnologie verdi. La dipendenza globale dalle terre rare, elementi essenziali per batterie, pannelli solari e turbine eoliche, ha reso la Cina una potenza dominante. Pechino, infatti, controlla circa il 60% della produzione globale e quasi il 90% della raffinazione, con il risultato che, da una parte, sta aumentando la sua influenza globale e, dall’altro, possiede una leva geopolitica non indifferente nei rapporti internazionali. Questa situazione ha alimentato le tensioni con gli Stati Uniti, che hanno lanciato piani per diversificare la propria supply chain e investire in tecnologie e politiche per ridurre la dipendenza cinese. Il neo-eletto Presidente Trump ha più volte affermato di voler ricostituire la Rust belt, una regione degli Stati Uniti che comprende le aree industriali centro-occidentali e nord-orientali, un tempo fulcro della produzione del Paese. A seguito della globalizzazione, molti impianti di produzione industriale chiusero, delocalizzando in paesi con costi del lavoro inferiori, soprattutto la Cina, con il risultato di aumentare i legami e la dipendenza americana dallo stato asiatico. Contemporaneamente, le recenti dichiarazioni relative alla volontà di annettere, anche con la forza2, paesi come il Canada e la Groenlandia derivano anche e soprattutto dalle crescenti tensioni geopolitiche: entrambe le nazioni sono fondamentali per la sicurezza militare statunitense; inoltre, lo scioglimento dei ghiacciai artici sta aprendo nuove rotte commerciali, fondamentali per il commercio e lo spostamento di truppe. La Groenlandia, inoltre, e questo è l’aspetto più importante, è ricca di terre rare e minerali fondamentali per la transizione energetica: l’acquisizione di tale territorio garantirebbe agli Stati Uniti un vantaggio competitivo nei confronti della Cina e permetterebbe di ridurre quella dipendenza americana dalle materie prime cinesi che, se non ancora assodata, è divenuta ormai solo questione di tempo.
Questa competizione, tuttavia, non riguarda solo le due maggiori superpotenze del globo, ma si interseca con conflitti regionali e globali. La guerra tra Russia e Ucraina, iniziata nel 2014 e intensificatasi nel 2022, ha evidenziato quanto la dipendenza energetica possa essere un’arma geopolitica. La Russia, uno dei maggiori esportatori di petrolio e gas, ha sfruttato queste risorse per esercitare pressioni sull’Europa e l’Europa, a sua volta, ha tentato di forzare la mano di Mosca tramite diversi pacchetti di misure sanzionatorie, molti dei quali hanno riguardato l’embargo del gas e del petrolio russi, costringendo la Federazione russa a cercare di diversificare i propri acquirenti, anche a costo di svendere il proprio greggio.
La crisi, inoltre, ha accelerato gli sforzi europei per diversificare le fonti di energia, aumentando le importazioni da altri fornitori, come gli Stati Uniti, e spingendo verso un’espansione delle energie rinnovabili. L’accelerazione del processo di entrata dell’Ucraina nell’Unione risponde anche a questa logica: l’ex stato sovietico è infatti ricco di materie prime, come l’uranio, e possiede considerevoli (per gli standard europei) riserve di terre rare, come il litio, il tantalio e il niobio, fondamentali per la produzione di batterie e altre tecnologie avanzate.
Un nuovo riallineamento delle Potenze?
I cambiamenti nella geopolitica dell’energia stanno portando a nuovi equilibri globali. Gli Stati Uniti, sotto l’amministrazione Biden, stanno promuovendo alleanze strategiche per ridurre la dipendenza dalla Cina e affrontare le sfide poste dalla Russia. La collaborazione con l’Unione Europea è diventata centrale, soprattutto attraverso il Consiglio per il Commercio e la Tecnologia (TTC), mentre il Giappone e l’Australia sono partner fondamentali per assicurare l’approvvigionamento di risorse critiche. Il patto AUKUS (Australia, Regno Unito e Stati Uniti) e il Quadrilateral Security Dialogue (con Australia, India e Giappone) sono esempi di come l’Occidente stia cercando di contenere l’espansione cinese nella regione dell’Indo-Pacifico.
La Cina, nel frattempo, rafforza il proprio partnerariato strategico con la Russia, utilizzando la Belt and Road Initiative (BRI) per estendere la sua influenza economica e politica nei Paesi in via di sviluppo, in particolare in Africa e America Latina. L’India, pur collaborando con gli Stati Uniti su temi tecnologici ed energetici, mantiene relazioni economiche con la Russia, bilanciando i suoi interessi geopolitici in un contesto sempre più polarizzato.
In questo scenario, emergono nuove potenze globali e regionali. Il Brasile, ricco di risorse naturali e leader nella produzione di biocarburanti, potrebbe giocare un ruolo cruciale nel mercato energetico globale. Il Sudafrica, con le sue risorse minerarie, e la Nigeria, grazie alle sue riserve di petrolio e gas, sono candidati naturali per un maggiore protagonismo. Tuttavia, il loro potenziale sarà realizzato solo se saranno in grado di affrontare sfide interne, tra le quali spiccano la corruzione e l’instabilità politica, nonché la capacità di convogliare sufficienti risorse, economiche e non, verso tali progetti.
Tra le potenze regionali, l’Iran, ricco di risorse energetiche, potrebbe sfruttare la transizione per rafforzare la propria posizione, soprattutto se le sanzioni internazionali saranno alleviate. Questo perché nelle more dello sviluppo di fonti rinnovabili la dipendenza dal greggio non può essere eliminata in alcun modo; inoltre, i Paesi che non hanno le risorse necessarie per affrontare tale transizione non possono far altro che continuare a utilizzare le vecchie fonti energetiche.
Al contempo, la Turchia, posizionata strategicamente tra Europa e Asia, potrebbe diventare un hub per il transito energetico e per la produzione di tecnologie verdi, come dimostrato anche dall’azione di Ankara in Albania, facendo concorrenza all’Italia, che recentemente ha intensificato i suoi rapporti con Tirana proprio in materia di transizione energetica 3.
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Possibili implicazioni economiche, ambientali e politiche.
Le implicazioni economiche delle transizione verde sono sia di breve che di lungo periodo e si riflettono in diversi ambiti.
Da un punto di vista economico, il problema ambientale è divenuto così impellente ad oggi che non è più possibile lasciar fare al mercato: la transizione verde è un processo che deve essere affrontato tramite politiche industriali, cioè quelle misure messe in atto dal governo per favorire il cambiamento strutturale dell’economia4
Nel breve periodo, gli effetti sono principalmente negativi: in primo luogo, la scarsa offerta energetica data da una fonte ancora immatura porterà inevitabilmente a un aumento dei prezzi. Contemporaneamente, anche il prezzo dell’energia da fonti fossili è destinato ad aumentare per la diminuzione dell’offerta di fonti fossili e delle infrastrutture adatte, sia a causa dei prezzi tipici del mercato dei servizi di bilanciamento, già attivo in alcuni paesi, come l’Olanda.
In più, la dismissione dei settori inquinanti porta a un aumento della disoccupazione, il cui riassorbimento è un fenomeno di lungo periodo, soprattutto considerando le rigidità nel mercato del lavoro. Entrambi i fenomeni possono portare a un aumento delle disuguaglianze, con conseguenze negative sulla crescita economica a causa dei possibili conflitti sociali che ne scaturiscono.
Nel lungo periodo, invece, gli effetti positivi sono prevalenti. In primo luogo, un’offerta tendenzialmente costante di energia evita shock economici di offerta aggregata, come avvenuto nel biennio 1973-1974 e nel triennio 1979-1981.
Inoltre, una diminuzione dell’inquinamento diminuisce anche i rischi di disastri ambientali e i relativi costi sul bilancio dello stato.
Ancora, il progresso tecnico e l’abbassamento dei prezzi dell’energie permetterebbero di recuperare competitività internazionale e godere di vantaggi competitivi nel commercio internazionale di lungo periodo verso quei paesi che non hanno effettuato la transizione verde.
Da un punto di vista ambientale, i vantaggi vanno dalla protezione della biodiversità, in quanto il passaggio a pratiche agricole sostenibili, il ripristino degli ecosistemi e la riduzione dell’inquinamento prevengono la perdita di habitat e proteggono le specie a rischio di estinzione, alla riduzione dell’acidificazione degli oceani. Quest’ultimo fenomeno continua a essere estremamente preoccupante: il cambiamento del PH oceanico ha conseguenze negative su molluschi, coralli e altre creature con corazze o gusci, rendendole più deboli; inoltre danneggia l’olfatto dei pesci con gravi ripercussioni su tutta la catena alimentare5
Infine, la minore produzione di rifiuti tossici, grazie al progresso tecnico e all’adozione di processi industriali circolari riduce l’inquinamento del suolo e delle acque, con effetti positivi sulla salute umana e degli altri esseri viventi.
Da un punto di vista prettamente politico, oltre alle sfide geopolitiche, la transizione verde potrebbe risultare un fallimento per quei paesi che non scelgano le giuste energie rinnovabili. Questo errore potrebbe essere determinato da una errata previsione da parte del legislatore nella scelta delle energie di transizione, come successo in Germania con il gas naturale russo, o nell’energia rinnovabile finale oppure dalle pressioni politiche esercitate da alcune lobbies6 per evitare la transizione o dirottarla verso specifici settori che potrebbero non essere quelli più adatti ad affrontare la sfida.
Considerazioni conclusive
In conclusione, la transizione energetica rappresenta un’opportunità storica per ridurre le emissioni di carbonio e mitigare gli effetti del cambiamento climatico, ma si accompagna a sfide geopolitiche sempre più evidenti. La competizione per il controllo delle terre rare, risorse fondamentali per le tecnologie verdi, sta ridefinendo gli equilibri globali. In questo scenario, il rischio di nuovi conflitti richiede una governance internazionale efficace e collaborativa.
Allo stesso tempo, le possibili implicazioni future non sono esenti da possibili criticità, il che porta a pensare che si stia entrando in una nuova fase delle relazioni internazionali, in cui il progresso tecnologico e le scelte geopolitiche determineranno i contorni del futuro.
Note
1 Risoluzione A.G. 2398/1968.
2 Commissione Brundtland, «Our Common Future», World Commission on Environment and Development, 1987.
2 Steve Contorno, «Trump is teasing US expansion into Panama, Greenland and Canada», CNN, 23 dicembre 2024, https://edition.cnn.com/2024/12/23/politics/trump-us-expansion-panama-canada-greenland/index.html.
3 https://www.ansa.it/amp/nuova_europa/en/news/sections/energy/2025/01/15/deal-for-green-energy-from-albania-to-italy-to-be-signed_c6a646a4-8f40-456c-bef0-03d5c18dbb24.html
4 V. Curzon-Price, <<Industrial policies in the European union>>, Palgrave Macmillan, 1981
5 A. Borunda, «Ocean acidification, explained», www.nationalgeographic.com, 7 agosto 2019
6 G. J. Stigler, «The theory of economic regulation», Bell Journal of Economics and Management Science, 1971.
Foto copertina: Terre Rare