L’evoluzione tecnologica del fenomeno bellico e l’idea di rivoluzione negli affari militari.
Il paradigma clausewitziano della guerra assoluta – “un atto politico […], ma anche e soprattutto un vero strumento della politica, un seguito del procedimento politico con mezzi differenti”[1]– visse una piena e compiuta realizzazione nel XX secolo, quando dopo che i primi decenni proseguirono sull’onda di un periodo di pace, che sarebbe durato oltre un quarantennio a cavallo tra i due secoli, l’Europa precipitò nella Grande guerra, una guerra totale capace di fondere gli effetti delle precedenti trasformazioni militari maturate in seno alle rivoluzioni francese e industriale, dando vita ad un potenziale distruttivo senza precedenti.In questa fase, per la prima volta, l’organizzazione amministrativa dello Stato, la massa dei cittadini, i potenziali industriali e tecnologici ed ogni aspetto delle società in guerra venivano mobilitati senza limiti di sorta per conseguire la vittoria.
Inenarrabili massacri perpetrati “in un clima profondamente intriso di un’esaltazione bellica”[2]si verificavano regolarmente, essendo ormai gli eserciti in grado di sfruttare appieno le potenzialità della brutale combinazione della mortalità delle armi moderne e della copertura offerta da posizioni predisposte e protette. Nuovi mezzi di combattimento furono introdotti per sorprendere l’avversario, come nel caso del carro armato, o per supportare da vicino le truppe combattenti, magari per via aerea con l’esempio del cacciabombardiere.
Tali nuove tecnologie non avevano però raggiunto la sufficiente maturità per influenzare positivamente i livelli tecnico e tattico dell’”edificio strategico”[3]e bisognerà attendere la Seconda guerra mondiale per assistere ad un’efficace applicazione della tecnologia meccanica e di quella delle comunicazioni, con gli enormi progressi scientifici e tecnologici diffusisi nel campo della meccanizzazione e delle trasmissioni radio attorno alla metà del secolo.
Dopo un ulteriore ventennio di tregua la guerra industriale intestatale si palesò, infatti, in una sua nuova fase con il secondo conflitto mondiale e, mentre la Francia provava a puntare su coscrizione universale e fortificazioni lungo i confini come la linea Maginot e la Gran Bretagna era bloccata tra restrizioni di bilancio e l’approccio conservatore dello stato maggiore, la cultura militare tedesca sviluppava un ethos che, ponendo una forte enfasi sull’onestà intellettuale e sulla ricerca della verità, avrebbe guidato un processo di analisi dapprima teorico e successivamente pratico per giungere ad una nuova rivoluzione tecnologico-militare. Questi sviluppi trovarono forma sempre più compiuta fino agli anni della Guerra Fredda, durante i quali la scuola americana e sovietica furono fautrici di un massiccio processo di cambiamento ben presto etichettato come rivoluzione negli affari militari (Revolution in Military Affairs, RMA).
Diffusosi enormemente negli anni Novanta in seguito alla Prima guerra del Golfo e, in particolare, all’operazione Desert Storm grazie alla quale ha trovato sempre più spazio la convinzione che i progressi nella tecnologia informatica possano profondamente alterare il modo di fare la guerra spingendo in molti a profetizzare una vera e propria rivoluzione negli affari militari, il concetto di RMA risale in realtà a un periodo compreso tra la fine della Seconda guerra mondiale e l’inizio della Guerra Fredda, ed ha due principali fonti: da una parte il contributo di un gruppo di alcuni storici moderni (su tutti lo storico britannico Michael Roberts) che parlano di fondamentali cambiamenti sistemici nel warfare a partire dalla Guerra dei Trent’anni, e dall’altra l’apporto dei teorici militari sovietici e statunitensi.
L’obiettivo dell’RMA, ricorrendo a mezzi informatizzati attualmente non più noti con la sigla C3I (comunicazione, comando, controllo, Intelligence) ma con la sua forma aggiornata C4I + SR garantita dalla digitalizzazione del campo di battaglia (aggiungendo dunque computer, sorveglianza e ricognizione), consiste nel realizzare specifici sistemi integrati di informazioni e armi futuristiche per accecare il nemico, colpirlo impedendo il second strike e, così facendo, minimizzare le perdite di vite umane. Ciò accade soprattutto grazie alle nuove tecniche informatiche che si propongono di ridurre il ciclo IDA. Ogni sistema militare è, infatti, articolato in varie componenti, collegate tra loro da una rete di comunicazioni, e la configurazione gerarchica della struttura definisce le caratteristiche di ciascuno di essi; sia che il sistema sia centralizzato e perciò maggiormente coerente ma con tempi di reazione più lunghi, sia che si tratti invece di un sistema decentrato in cui le singole componenti godono di maggiore autonomia ma in cui è più difficile organizzarsi nel tempo e nello spazio per dar vita ad un’azione unitaria, ogni livello gerarchico possiede sempre tre componenti fondamentali: informative (I), decisionali (D) ed operative o per l’azione (A).
I flussi provenienti dal campo e relativi sia alle azioni avversarie che ai risultati conseguiti dalle azioni proprie costituiscono il principale input; tali flussi di informazioni, passando attraverso i centri decisionali, inducono i livelli operativi a modificare le scelte strategiche anche sulla base delle reazioni che ogni iniziativa di un contendente provoca nel suo avversario. Ecco perché la velocità del ciclo IDA è così importante, ed il motivo per cui si cerca in tutti i modi di aumentare la propria e di ridurre quella dell’avversario risulta evidente: “quanto è maggiore, tanto più essa rappresenta un moltiplicatore di potenza del sistema”[4],e la rapidità dell’azione può, in termini tutt’altro che teorici e al pari della sorpresa strategica, tattica o tecnologica, paralizzare la volontà e la capacità di reazione dell’avversario.
Per valutare l’utilità analitica ed eventualmente la presunta validità prescrittiva dell’idea di RMA occorrerebbe comunque partire da una definizione del concetto. Ciò che si nota nel tentativo di rintracciarne una descrizione chiara e ben strutturata, tuttavia, è l’assenza di una definizione univoca e la totale mancanza di uniformità anche nel fronte dei sostenitori del concetto di rivoluzione negli affari militari.
Il contributo che offre maggiore spazio ad una riflessione critica è, in ogni caso, quello di Andrew Krepinevich – analista esperto di politiche per la difesa presso il Center for Strategic and Budgetary Assessments (CSBA) di Washington – secondo cui una RMA richiede il contemporaneo palesarsi di “quattro fattori”[5]: cambiamenti tecnologico-operativi, sviluppo di sistemi militari di supporto, formulazione di concetti operativi ed adattamento organizzativo, con questi ultimi due elementi che devono avere un carattere di innovazione per alterare concretamente la condotta di una guerra. In una prospettiva di lungo periodo questa impostazione sottintende, però, una visione discontinua della storia del warfare come un processo che vede alternarsi momenti di rapida e profonda trasformazione ad altri di sostanziale continuità e una profonda dipendenza dalla dimensione tecnologica.
La critica è uniforme nel ritenere che nella semplicità di tali idee si individui tanto la loro forza quanto la loro debolezza. È giusto considerare la tecnologia un potentissimo catalizzatore e ritenere che i suoi progressi influenzino il modo di esercitare una qualsiasi forma di violenza organizzata, tuttavia è altrettanto opportuno sottolineare che tra i tanti scenari che il concetto di rivoluzione presuppone vi è anche quello relativo ad uno specifico impatto temporale che la tecnologia non può garantire.
Se è vero che “il termine rivoluzione non sta a indicare che il cambiamento sarà rapido, ma solo che esso sarà profondo”[6]e che “un chiaro momento in cui le forze americane potranno considerarsi trasformate non si individuerà mai essendo la trasformazione militare un processo e non un evento”[7]la RMA contemporanea appare meno chiara di quanto si possa immaginare a prima vista: se non esiste un criterio – temporale o funzionale che sia – atto a stabilire quando la rivoluzione si sarà effettivamente verificata e a partire da quale episodio di rottura considerare avvenuta una trasformazione tale da parlare di rivoluzione, l’applicabilità stessa del concetto è messa a dura prova e ciò è enfatizzato dalla vaghezza concettuale legata sull’assenza di un’unica definizione, con il rischio di una distorsione della visione del rapporto tra innovazione militare e modalità del conflitto, giungendo erroneamente a considerare discontinua un’evoluzione che è, al contrario, sostanzialmente lineare. Il concetto di RMA appare quindi più una narrazione che una teoria coerente, che possa basarsi, tra le altre cose, sull’eminenza del dato storico.
Infine, al di là dell’elemento lessicale, vi è una critica di fondo legata all’accettazione di sistemi informatizzati alla base della condotta della guerra: non si può pensare di ridurre la guerra, sistema complesso, interattivo e soprattutto imprevedibile, ad un sistema meccanico che funzioni con una sincronizzazione centralizzata. La tecnologia resta, infatti, solo uno dei tre fattori capaci di incidere marcatamente sulle sorti di un conflitto, essendo gli altri due l’organizzazione e l’assetto strategico.
Essa può contribuire al conseguimento di una vittoria ma, considerando anche l’innegabile impatto della «logica paradossale della strategia» che induce l’avversario a cercare e spesso a trovare una soluzione di risposta con una pronta contro-reazione nel pieno di un “capovolgimento completo”[8] ,ciò che più conta è la forma mentis dei decisori, tanto militari quanto politici, per utilizzare con consapevolezza e successo il prezioso apporto del progresso in termini di informazioni e tecnologie.
[1]Clausewitz C. Von, Della guerra, Mondadori, 1970, p. 38
[2]Lazzarich D., Guerra e pensiero politico. Percorsi novecenteschi, Istituto Italiano per gli Studi Filosofici, 2009, p. 17
[3]Jean C., Manuale di studi strategici, Franco Angeli, 2009, p. 110
[4]Jean C., Manuale di studi strategici, Franco Angeli, 2009, p. 146
[5] Krepinevich A., Cavalry to Computer: the Pattern of Military Revolution, The National Interest, 1994, n. 37, p. 2
[6]Roxborough I., From Revolution to Transformation: the state of the field – Military Transformation, Joint Force Quarterly, 2002, n. 32
[7] Rumsfeld D., Transforming the military, Foreign Affairs, 2002, vol. 81, n. 3
[8] Luttwak E., Strategia. La logica della guerra e della pace, BUR, 2015, p. 21