Per una nuova Siria, finalmente libera

 


La priorità numero uno del nuovo governo in Siria: la sicurezza per il popolo


DAMASCO, Siria – Il neogovernatore di Damasco, parlando per conto di Ahmed al-Sharaa (prima noto come Al Jolani) ha sottolineato che la sicurezza della popolazione siriana rappresenta per la nuova classe dirigente la priorità. Se questo significherà per la Siria, non entrare in un conflitto diretto con Israele, oppure non criticare apertamente l’operato del regime sionista, ce lo dirà il tempo. Regime, che intento ad impadronirsi di parti delle alture del Golan, continua ad alimentare i timori di annessione in Siria. Di fondamentale importanza quindi, ora, in questo nuovo scenario è la sicurezza. Sicurezza che si sviluppa e radica se i passaggi di potere avverranno cauti e ragionati senza atti bruschi e violenti. Le energie dovranno essere ben canalizzate affinché si costruiscano una fitta rete di relazioni diplomatiche con altri paesi. Questo, se eseguito correttamente, darà i suoi frutti. Sicuramente vedremo un rafforzamento e uno sviluppo delle istituzioni. Non solo, ma si instillerà nella popolazione (distrutta dalla guerra) una coscienza civile nuova, si radicheranno fiducia e dignità.

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La subpolitica

Israele e Siria non hanno mai avuto legami diplomatici. Condividono un confine ma sono in stato di guerra dalla fondazione di Israele nel 1948. Le due nazioni hanno combattuto diverse guerre nel corso dei decenni e i viaggi tra loro sono stati vietati. Nonostante le frizioni e le intessiture storiche, è sempre bene ricordare che la politica è più complessa rispetto a ciò che leggiamo sui giornali. La politica di oggi non è più soltanto politica, anzi forse di politica non ci è rimasto quasi più niente. La grande politica internazionale è controllata dalle grandi aziende multinazionali e tutto ruota intorno ad interessi economici e al potere. La politica intesa come organizzazione e direzione della vita pubblica di una comunità, è oggi intrisa di altri due ingredienti fondamentali: licenze sulla produzione di armi e controllo dei traffici di droga, quella che in questo articolo chiamo “sub-politica”. In una situazione come quella siriana attuale, potrebbero esserci movimenti diplomatico-strategici germinali, che noi pubblico potremmo non comprendere subito, ma solo successivamente, quando per esempio il paese delineerà una strategia governativa più ampia. Questa sicuramente includerà nella sua agenda politica l’apertura ad investimenti, commercio ed opportunità.

Una risposta cauta da Israele e Stati Uniti

“Questa è una buona notizia…molto, molto notevole[1]”, ha dichiarato Uzi Rabi, ricercatore senior presso il Centro Moshe Dayan per gli studi sul Medio Oriente e l’Africa dell’Università di Tel Aviv in Israele, parlando di alcune osservazioni di Marwan alla NPR, emittente statunitense. Rabi ha affermato che l’apertura politica da parte di Marwan è degna di nota se si considera la storica opposizione della Siria all’esistenza di Israele e riflette il pragmatismo della nuova leadership siriana: si deve appunto riabilitare il Paese e non ci si può permettersi una guerra con Israele.
Il punto di vista di Marwan potrebbe essere condiviso anche da alcune parti della città di Damasco e dal Ministero degli Esteri, ma ancora di ciò non si ha certezza. Inoltre, anche nei confronti degli americani, Marwan tenta di operare una politica di “lungo” vicinato. Il suo messaggio principale al popolo degli Stati Uniti è di pace. “Come popolo siriano, siamo pacifici”, ha detto. “Non siamo storicamente guerrafondai”. Ha inoltre accusato il regime di Assad di aver creato quelle che ha definito “lacune” tra l’amministrazione statunitense e il popolo siriano. “Queste lacune devono essere colmate in modo che i due popoli possano essere amici e che si possano realizzare cose vantaggiose per entrambe le nazioni. La guerra genera guerra, la guerra genera odio, la guerra genera male, la guerra genera distruzione”, ha affermato[2]. Ha sottolineato di voler far sapere al popolo americano che non c’è “animosità” tra i due Paesi. Secondo la leadership siriana, gli Stati Uniti sono una grande nazione, e hanno un’esperienza di cui vogliono sicuramente approfittare. Il vantaggio che potrebbero trarne è sicuramente economico. Sicuramente gli Stati Uniti hanno bisogno di una Siria stabile e la Siria ha bisogno dell’appoggio americano, è quindi legittimo affermare che in questo contesto storico i due paesi potrebbero aver bisogno l’uno dell’altro. Ad oggi qualsiasi conflitto politico o militare ingiustificato priverà il popolo siriano della conquista che ha appena ottenuto.

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Marwan

Marwan proviene da una famiglia d’élite di Damasco ed è cresciuto in un quartiere ricco della capitale. Ha raccontato di essere fuggito a Idlib nel 2011 dopo essere stato perseguitato dalle forze di sicurezza di Assad per aver preso parte alle proteste scoppiate in tutta la Siria nell’ambito delle rivolte della Primavera araba in tutto il Medio Oriente. Successivamente si è laureato in diritto islamico all’Università di Idlib e ha trascorso un decennio lavorando come dirigente in diverse aziende. Ha detto di aver sentito “bruciare” per cambiare la Siria. “Volevamo liberare la Siria dal pugno di ferro della sicurezza contro il popolo siriano”, ha detto. “La sicurezza dovrebbe essere percepita da tutte le persone, non si dovrebbe provare paura”. Marwan ha affermato che il vecchio regime ha alzato un muro tra sé e il suo popolo. “Prima dicevamo: ‘Abbiamo paura della Siria’, ora diciamo: ‘Abbiamo paura per la Siria’”, ha affermato.

Le maggiori sfide (geopolitiche) future

La sfida principale per il governo, ora che il regime di Assad è finalmente caduto, è ricostruire e ripristinare la fiducia tra la popolazione e le istituzioni governative, ha detto Marwan. “La gente è convinta che le istituzioni siano utili al regime e non a loro”. Una delle sue grandi sfide certamente, è combattere la corruzione. La maggior parte dei dipendenti pubblici percepisce un salario insufficiente, costringendo maggior parte della popolazione a dipendere da entrate secondarie provenienti da tangenti o giri di soldi illegali. Per sradicare la corruzione ci vuole tempo, sono processi oltre che economici, socioculturali che investono e impattano tutti gli strati della popolazione. È di fondamentale importanza aumentare la qualità della vita, i salari, offrire opportunità di lavoro, incrementare gli investimenti e attirare gli investitori. Oltre a tutto questo, la Siria deve affrontare una sfida geopolitica complessa. Il regime precedente ha sfruttato l’importante posizione geografica della Siria per avvantaggiare altri Paesi, come l’Iran e le milizie di Hezbollah. La sfida per la Siria ora è combattere l’isolazionismo[3], il paese non può permettersi di rimanere isolato nel panorama geopolitico e politico. Sono necessarie alleanze politico-commerciali con paesi forti della regione[4], con gli Stati Uniti e con l’Europa, ma anche con l’Asia, con la Cina in particolare.

La prima sfida: la Russia e la Turchia

La Russia avrebbe chiesto assistenza alla Turchia per il ritiro delle sue truppe dalla Siria. Solo poche settimane fa, un titolo del genere sarebbe stato difficile da immaginare. Eppure, sulla scia del crollo del regime di Bashar al-Assad, la notizia riportata dalla CNN Türk ha un che di credibile. Le truppe russe stanziate in varie parti della Siria, come il deserto centrale e il nord-est (popolato da curdi), sembrano essere tornate alle basi militari russe nella provincia di Latakia e, secondo il GUR, l’intelligence militare ucraina, la Russia ha trasportato per via aerea personale e attrezzature militari in patria. Il destino di queste basi – l’aeroporto russo di Khmeimim e la struttura navale di Tartus – è oggetto di speculazioni. I russi potrebbero non avere altra scelta che abbandonarle, a meno che non riescano ad ottenere un accordo con Hayat Tahrir al-Sham (HTS) che permetta loro di rimanere. I media russi hanno da un giorno all’altro ribattezzato la milizia islamista che ha rovesciato Assad da “terroristi” a “opposizione armata siriana”. Qualunque sia lo scenario che si concretizzerà, una cosa è indubbia: la dinamica di potere tra Russia e Turchia è cambiata. Ora Ankara ha chiaramente il sopravvento. Si tratta di una netta inversione di tendenza rispetto alla situazione precedente. Quando la Russia è intervenuta in Siria insieme all’Iran e a Hezbollah, ha ostacolato le ambizioni della Turchia di orchestrare un cambio di regime a Damasco.

La seconda: i rapporti con la Cina

Nelle scorse settimane, il ministero degli Esteri cinese ha dichiarato che in Siria è necessario trovare al più presto una “soluzione politica” per ripristinare la stabilità. Sebbene questa cautela rifletta anche il modo in cui la Cina ha affrontato il suo rapporto con la Siria in senso più ampio, la caduta di Assad colpisce la seconda economia mondiale proprio nel momento in cui la Cina sta cercando di espandere sempre più la sua presenza in Medio Oriente. “Di fronte a una situazione internazionale piena di instabilità e incertezza, la Cina è disposta a continuare a lavorare insieme alla Siria, a sostenersi fermamente a vicenda, a promuovere una cooperazione amichevole e a difendere insieme l’equità e la giustizia internazionali[5]”, ha detto Xi Assad, secondo quanto riportato dai media statali cinesi. Xi ha aggiunto che le relazioni tra i due Paesi “hanno resistito alla prova dei cambiamenti internazionali”. Per la Cina, il rischio che il rovesciamento di Assad rappresenta per la stabilità regionale, compresa la ricaduta del conflitto nei Paesi vicini, è un elemento che Xi tiene molto in considerazione. Vedremo se e in quali modalità sarà mantenuta la stabilità[6].


Note

[1] New leaders in Damascus call for cordial Syria ties with a resistant Israel, npr, 27 dicembre 2024, consultato al link: https://www.npr.org/2024/12/27/g-s1-40144/syria-israel-relations-hts-damascus-governor
[2] New leaders in Damascus call for cordial Syria ties with a resistant Israel, npr, 27 dicembre 2024, consultato al link: https://www.npr.org/2024/12/27/g-s1-40144/syria-israel-relations-hts-damascus-governor
[3] Syrians are ready to rebuild their country, but they need solidarity, 20 gennaio 2025, Yarub Asfari, consultato al link: https://www.aljazeera.com/opinions/2025/1/20/syrians-are-ready-to-rebuild-their-country-but-they-need
[4] Syria and the stakes for regional powers, video on Al Jazzeera, contributors: Dina Esfandiary – Senior MENA adviser, Crisis GroupÖzge Genç – Visiting fellow, The Middle East Council on Global Affairs, Rahaf Aldoughli – MENA Studies Lecturer, Lancaster University. Rasha Al Aqeedi – Researcher, The Arab Gulf States Institute. Consultato al sito: https://www.aljazeera.com/program/the-listening-post/2024/12/21/syria-and-the-stakes-for-regional-powers
[5] Al-Assad’s fall in Syria: What’s at stake for China?, Al Jazeera, 11 dicembre 2024, consultato al link: https://www.aljazeera.com/news/2024/12/11/al-assads-fall-in-syria-whats-at-stake-for-china
[6] What happened in Syria? How did al-Assad fall? Al Jazeera, 8 dicembre 2024, consultato al sito: https://www.aljazeera.com/news/2024/12/8/what-happened-in-syria-has-al-assad-really-fallen


Foto: The leader of Syria’s Hayat Tahrir al-Sham Ahmed al-Sharaa addresses a crowd at the Umayyad Mosque in Damascus on 8 December 2024 (AFP/Aref Tammawi)