Negli ultimi anni, l’instabilità nella regione che si affaccia sul Mar Rosso è aumentata considerevolmente. Non solo gli attacchi dei gruppi Houthi contro le navi mercantili, ma anche il crescente interesse del Corno d’Africa, in particolare da parte dell’Etiopia, verso il Mar Rosso, che ha acutizzato le tensioni con la Somalia. A questo si aggiunge l’ambizione degli Houthi di emergere come attori internazionali e la spinta dell’Etiopia a trovare uno sbocco sul mare, alimentando le sue mire espansionistiche. Nel contempo, la presenza sempre più assertiva di Cina e Russia, in particolare sul piano militare, sta trasformando ulteriormente la geopolitica regionale. Ne parliamo con Dott. Mario Boffo, ex ambasciatore d’Italia in Yemen.
Hilina Belayeneh
In un contesto simile, sembra impensabile ipotizzare una soluzione diplomatica. Eppure, non più di dieci anni fa, la regione era al centro di intensi sforzi diplomatici mirati alla stabilizzazione, con l’Italia che svolgeva un ruolo cruciale, soprattutto grazie ai rapporti con lo Yemen. Per avere una visione più completa, abbiamo intervistato Mario Boffo, ex ambasciatore d’Italia in Yemen.

Durante il suo mandato come ambasciatore italiano in Yemen, qual è stato il suo ruolo specifico e come ha percepito la rilevanza strategica del Golfo di Aden e quindi del Mar Rosso?
Sono stato ambasciatore italiano in Yemen dal 2005 al 2010, proprio nel periodo in cui le ali yemenita e saudita di Al-Qaeda annunciano di essersi fuse in un nuovo gruppo chiamato Al-Qaeda nella Penisola arabica. Gli attacchi del gruppo terroristico hanno avuto un alto costo umanitario ma hanno anche danneggiato fortemente il turismo, lo Yemen rischiava di trasformarsi in uno stato fallito. Fu per questo che decisi di raccogliere le posizioni delle varie ambasciate, anche russa e giapponese, per la necessità di attivarsi per tutelare la ragione, fondamentale da un punto di vista strategico. L’Italia si è impegnata ad inserire un paragrafo sullo Yemen nella Dichiarazione di Trieste del giugno 2009 dei ministri degli affari esteri. Da questo momento in poi nacque un movimento di azione corale che portò alla nascita del piano “Friends of Yemen” a cui presero parte circa 40 stati compresi quelli del Golfo, europei e gli Stati Uniti tutti interessati alla stabilità regionale. L’Italia ha avuto un ruolo fondamentale per aver lavorato a progetti di capacity building a sostegno dello Yemen, che hanno contribuito a rafforzarne l’apparato istituzionale. Purtroppo dal 2014 la situazione ha visto una svolta abbastanza radicale: dopo gli attacchi degli Houthi, si decide di affidare la situazione in mano all’Arabia Saudita. È stata una svolta negativa perché si è abbandonata la strada diplomatica del supporto politico e ci siamo progressivamente allontanati da questa regione, concentrandoci su altri fronti. Oggi ne paghiamo le conseguenze.
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Come lei stesso ha sottolineato, la politica estera italiana ha spostato la sua attenzione dai paesi del Mar Rosso, per concentrarsi sul continente africano e soprattutto sul Sahel, regione cruciale per le rotte migratorie. È possibile per l’Italia bilanciare la sua attenzione tra l’Africa e il Mar Rosso, due aree interconnesse, evitando che uno dei due contesti venga trascurato?
Il punto è che l’Italia da sola non può impostare una politica estera efficace in un’area geografica così ampia, ma può esserne la capofila; il Sahel, ad esempio, interessa per l’emergenza migratoria ma non si riduce a quello. Bisogna avere una visione pragmatica e supportare lo sviluppo umano dell’Africa, che può diventare un partner naturale e fedele dell’Occidente ma, nonostante questo, è stato un continente trascurato dalla politica europea ed americana. Tutto questo è strettamente legato a quello che accade nel Golfo di Aden perché, osservando la situazione in un’ottica di stabilità generale, vediamo che il commercio navale del Mar Rosso dipende anche dalla stabilità africana. Bilanciare l’attenzione a queste aree è possibile ma non in solitaria: occorre un’azione corale e coesa, come nel caso del piano Friends of Yemen, in quanto un solo paese non può affrontare la situazione da solo e non è un problema di posizione politica, ma di risorse. L’Italia in passato è stata la capofila del movimento di supporto per lo Yemen e può esserlo di nuovo.
In riferimento a ciò, la questione della mancanza di coesione europea in politica estera emerge sempre di più. Tuttavia, è anche evidente come l’Ue sappia coordinarsi efficacemente, si pensi all’operazione Aspides in risposta agli attacchi degli Houthi, molto diversa dalla missione americana e britannica Prosperity Guardian. Un allineamento è possibile, e quindi le chiedo se e come potrebbe evolversi il ruolo dell’Ue in questa regione.
L’azione anglo-americana non credo sia efficace: rischia di rafforzare gli Houthi, che sono ormai un gruppo ben radicato. L’operazione Prosperity Guardian si basa sulla deterrenza attiva, quindi su attacchi diretti contro le basi degli Houthi, ma questo approccio non è efficace: la loro strategia di guerra asimmetrica, con basi mobili e missili, rende difficile indebolirli seriamente. Se si attaccano le loro basi, semplicemente ne creano di nuove, e focalizzarsi solo sulla deterrenza attiva significa aumentare il rischio che si sviluppi un focolaio di crisi autonomo, che potrebbe persistere anche in un eventuale scenario post-conflitto israelo-palestinese.
L’operazione Aspides, invece, ha scopo difensivo: protegge le rotte commerciali, ma soprattutto il personale di bordo. È evidente che l’Ue sia perfettamente in grado di attivarsi in situazioni di crisi, lo ha dimostrato anche durante il Covid-19, il suo vero problema è che non è ancora un vero soggetto internazionale. L’Unione europea è unita solo dall’unione economica grazie allo spazio Schengen; questo non basta. Le funzioni sovrane sono ancora divise e mi riferisco alla politica estera e finanziaria, in sintesi al governo. Quando è nata, l’Unione europea voleva essere un progetto integrativo, originale ed innovativo, ma poi la mancanza di unità delle funzioni sovrane e l’eccessivo allargamento che ha inclusi stati troppo diversi tra loro, ha impedito il raggiungimento di tale obiettivo. Inoltre, uno spettro si aggira per l’Europa ed è il debito: metterlo a fattore comune potrebbe contribuire al rafforzamento della nostra coesione e ci permetterebbe di diventare quel oggetto internazionale in grado di affrontare le sfide globali convergenti.
Come giudica il crescente ruolo di attori africani e di attori non regionali, come Cina Russia e Turchia, nella regione e quali scenari intravede per il futuro della stabilità dell’area?
Non solo l’Occidente, ma anche gli Stati del Corno d’Africa sono coinvolti in questa dinamica. È una zona strategicamente cruciale per tutti. Il passaggio di Bab el-Mandeb, ad esempio, è stato bloccato a causa delle azioni dei gruppi yemeniti e ha intaccato interessi commerciali di tutti gli attori, regionali e non; gli Houthi sono oggi più forti e ambiscono non solo al controllo dello Yemen, ma ad una posizione di rilevanza regionale. La questione palestinese è uno degli elementi che alimentano l’azione degli Houthi, ma la usano anche come strumento per affermarsi sulla scena internazionale. La mancanza di una visione internazionale coerente non aiuta a risolvere la crisi. Non si tratta di trovare formule astratte, come quella dei “due Stati”, ma di una reale volontà politica di risolvere il conflitto. Gli Houthi vogliono farsi riconoscere come un interlocutore legittimo: “Noi siamo lo Yemen, siamo chi controlla il Mar Rosso, un mare nostrum che riguarda tutti voi”.
Anche se gli Houthi non sono un interlocutore ideale, continuare a vederli esclusivamente come un gruppo terroristico con cui non si può negoziare non è utile. Occorre trovare una visione politica per stabilizzare lo Yemen, promuovendo processi interni e supporto internazionale. La guerra non risolverà nulla.
Altro aspetto da ricordare è che non sono solo i paesi dell’area MENA ad essere interessati al Mar Rosso: nel Corno d’Africa sono soprattutto l’Etiopia e la Somalia ad essere particolarmente attive. Poi ci sono attori esterni sempre più presenti sia su suolo africano che sul Mar Rosso, come Turchia, Cina e Russia. L’Ue sembra rimasta tagliata fuori dal nuovo equilibrio nell’area e fatica a tenere i piedi saldi.”
Tensioni nel Corno d’Africa
Sull’altra sponda del Mar Rosso la situazione non è più stabile: come sottolineato anche dal Dott Boffo, accanto agli stati dell’area MENA si aggiungono quelli del Corno, a cui si uniscono attori esterni. Il multilateralismo viene spesso indicato come la chiave per garantire la stabilità nell’area, ma è più facile a dirsi che a farsi. Nel 2020 è stato creato il Red Sea Council, un vero e proprio ponte tra Africa e Medio Oriente, composto da Arabia Saudita, Egitto, Giordania, Eritrea, Yemen, Sudan, Gibuti e Somalia, con l’obiettivo di lavorare sulla stabilizzazione delle aree comprese tra Mar Rosso e Golfo di Aden.Tuttavia, come si può notare, ci sono dei grandi assenti: Etiopia, Emirati Arabi Uniti e Turchia non ne fanno parte e questo contribuisce ad indebolirne la struttura e lo scopo. Addis Abeba, già esclusa dal Consiglio, deve occuparsi nel nuovo fronte anti-Etiopia che si sta consolidando soprattutto grazie all’Eritrea, sua storica nemica. Solo un anno fa, infatti, veniva raggiunto il Memorandum tra Etiopia e Somaliland per la volontà di Addis Abeba di (ri)trovare il proprio sbocco sul mare, fatto che ha acceso tensioni non solo tra Etiopia e Somalia per il mancato riconoscimento del Somaliland quale entità indipendente, ma anche tra Gibuti, Eritrea e, più a Nord, Egitto. Per fronteggiare le mire imperialistiche di Addis Abeba, l’Eritrea sta lavorando sulle sue relazioni con Gibuti, Il Cairo e Mogadiscio.
Per Gibuti, che dipende dai redditi derivanti dal commercio portuale, perdere Addis Abeba come partner commerciale sarebbe un danno grave. Le tensioni tra Etiopia ed Egitto non sono nuove e, dopo la controversia legata alla Grand Ethiopian Renaissance Dam sul Nilo Azzurro, si sono intensificate ulteriormente a causa delle mire portuali dell’Etiopia. Sullo sfondo, l’Eritrea ha organizzato un summit tripartito nell’ottobre 2024 con Gibuti ed Egitto, con l’obiettivo di consolidare l’alleanza contro Addis Abeba. La dichiarazione congiunta che ne è emersa sottolinea l’importanza di difendere la sovranità territoriale e promuovere una cooperazione sana, orientata alla stabilizzazione regionale. Per ora il multilateralismo in questa area continua ad essere escludente ed incompleto e, per questo, inefficace.
Foto copertina: Mar Rosso e Golfo di Aden