Martedì 11 e mercoledì 12 luglio si sono riuniti a Vilnius, Lituania, i 31 membri della Nato, in un momento cruciale della guerra in Ucraina.
A 500 giorni dall’invasione russa, l’Alleanza Atlantica deve mostrare risolutezza e compattezza nel supporto a lungo termine all’Ucraina, per convincere la Russia ad abbandonare i suoi propositi espansionisti e scendere a un compromesso. Il via libera di Erdoğan all’adesione della Svezia rinforza l’Alleanza e il sostegno a Kiev è unanime, ma rimangono disaccordi sul futuro.
L’accesso dell’Ucraina
Come al vertice di Bucarest del 2008, così a Vilnius si è discusso dell’adesione dell’Ucraina alla Nato. Ai tempi l’amministrazione Bush spingeva per l’adesione di Ucraina e Georgia, mentre la cancelliera tedesca Angela Merkel preferiva temporeggiare. La leader tedesca voleva evitare di innervosire la Russia, che forniva risorse energetiche a basso costo alla prima manifattura d’Europa.
Berlino credeva che la collaborazione economica potesse ammansire e rendere più democratica Mosca nel lungo termine.
Questo concetto, chiamato “Wandel durch Handel”, cioè la convinzione che l’interdipendenza economica rendesse la guerra improbabile, era basato su una visione economicista, liberale e post-storica delle relazioni internazionali, e si è dimostrato fallimentare. Alla fine, al vertice di Bucarest fu promessa l’adesione di Ucraina e Georgia, ma senza un piano preciso e senza l’attivazione del Membership Action Plan (MAP), una lista di obiettivi politici, economici e militari che gli altri Paesi dell’Est Europa hanno dovuto raggiungere per aderire all’Alleanza.
Se al vertice di Bucarest Washington spingeva per l’allargamento, adesso è proprio l’amministrazione Biden a frenare gli entusiasmi. Gli Stati Uniti sono preoccupati dalla possibile escalation e vogliono evitare di essere coinvolti direttamente nella guerra. Su questo gli alleati Nato sono compatti: l’adesione dell’Ucraina è da rimandare alla fine della guerra.
Inoltre, Washington ritiene che le energie debbano essere spese soprattutto nel contenimento della Cina. Per questo motivo, Biden è molto cauto sulle richieste di Kiev e di Varsavia sull’impiego dei caccia F-16, così come sull’allargamento. Niente calendario e niente invito dunque per l’Ucraina, a cui viene solo rinnovata la promessa fatta nel 2008. Il segretario Stoltenberg ha affermato che “per nessun percorso di adesione all’Alleanza è stato mai deciso un calendario, è un processo basato sulla condizionalità”. Il comunicato finale del vertice dichiara che i membri della Nato riaffermano l’impegno preso a Bucarest di far accedere l’Ucraina, ma con un percorso agevolato e senza bisogno dell’attivazione del MAP. A questo proposito, Zelensky si è mostrato contento dell’istituzione del Consiglio Nato-Ucraina, che potrà essere convocato anche da Kiev e che potrà servire come strumento di integrazione. L’Alleanza estenderà un invito all’Ucraina “quando gli Alleati sono d’accordo e ci sono le condizioni”.
Del vertice Nato a Vilnius, il presidente ucraino Volodymyr Zelensky si è detto soddisfatto dei risultati del vertice, anche se avrebbe preferito ricevere un invito ufficiale per l’adesione. Zelensky era arrivato al vertice con un certo nervosismo, poiché riteneva assurda la mancanza di un calendario. Il secondo giorno ha però moderato le sue affermazioni, dichiarandosi fiducioso che l’Ucraina entrerà nella Nato alla fine della guerra. Zelensky sa che l’Ucraina non può accedere alla Nato mentre è ancora in guerra, ma vorrebbe delle assicurazioni scritte e certe che una volta terminata, essa possa accedere all’Alleanza.
I membri Nato, chi più chi meno, sono concordi nel dire che il futuro dell’Ucraina è nella Nato, ma sono riluttanti a stabilire una road map e date specifiche. L’accesso di Kiev durante il conflitto è chiaramente impossibile, perché porterebbe a una guerra diretta Usa-Russia. Fornire una data per l’adesione darebbe uno strumento in più a Mosca, che potrebbe continuare la guerra almeno fino alla data stabilita. Sembra invece che Stati Uniti e alleati, anche qui chi più chi meno, vogliano usare la carta dell’adesione dell’Ucraina come una moneta di scambio per il futuro negoziato con Mosca. In effetti, l’adesione di Kiev era il principale oggetto dei negoziati tra americani e russi che avvennero nei mesi antecedenti all’invasione, quando la Russia aveva ammassato i suoi soldati ai confini ucraini. Ai tempi, Mosca chiedeva un impegno scritto americano che l’Ucraina non sarebbe entrata nell’Alleanza, mentre Washington non intendeva rinnegare la politica della porta aperta con una tale promessa.
Se l’Ucraina dovesse entrare nella Nato al termine del conflitto sarebbe una sconfitta strategica significativa per Mosca, che ha iniziato questa guerra soprattutto per evitare tale eventualità.
Via libera di Erdoğan alla Svezia
A seguito dell’incontro tra Erdoğan, Stoltenberg e il premier svedese Ulf Kristersson, il segretario della Nato ha annunciato in un tweet che “il presidente Erdoğan ha accettato di inoltrare il protocollo di adesione della Svezia alla Grande Assemblea Nazionale il prima possibile e garantirne la ratifica.” In cambio, la Svezia supporterà attivamente l’adesione della Turchia all’Ue. Inoltre, gli Stati Uniti daranno via libera alla modernizzazione dei caccia F-16 turchi, dopo che Ankara era stata cacciata dai programmi degli F-16 e dei più importanti F-35, dopo che aveva acquistato i sistemi di difesa anti-aerea S-400 dalla Russia.
Spesa per la difesa
Un altro importante tema sul tavolo del vertice Nato a Vilnius è stato l’obiettivo di spesa di difesa del 2% del Pil. I dati mostrano che solo 11 Paesi su 31 hanno raggiunto questa soglia. Il comunicato finale riafferma l’impegno a investire il 2% del Pil annuo in difesa, di cui il 20% in equipaggiamento chiave, incluso ricerca e sviluppo.
Biden voleva portare a casa un maggior impegno europeo sulla difesa comune, anche per contrastare quello che probabilmente sarà il suo rivale alle elezioni 2024, Trump, che accusava gli alleati di non contribuire abbastanza.
Tuttavia, sembra che l’impegno del 2% verrà interpretato flessibilmente, dato che la premier Giorgia Meloni ha dichiarato che si deve anche “tenere conto della progressione, della sostenibilità e della responsabilità e della partecipazione al funzionamento dell’Alleanza che ogni alleato assume”, ricordando che l’Italia è il principale contributore in termini di presenza nelle missioni di pace, con quasi 3 mila uomini impegnati.
Bombe a grappolo e controffensiva
A fronte della nuova minaccia rappresentata dallo spostamento della Wagner in Bielorussia, e per sostenere la controffensiva ucraina, gli Alleati hanno rinnovato l’assistenza militare con nuovi pacchetti di aiuti, concordati durante vari bilaterali con Zelensky. Il premier inglese Rishi Sunak ha annunciato l’invio di ulteriori munizioni, 70 veicoli da combattimento, l’apertura di un centro di riabilitazione per militari ucraini feriti e l’avvio dell’addestramento di piloti nel Regno Unito dal “mese prossimo”.[1] Macron ha promesso missili a lungo raggio Scalp. Joe Biden valuterà se inviare a Kiev missili a più lungo raggio di quelli mandati finora. Inoltre, gli Stati Uniti hanno recentemente approvato un nuovo pacchetto di aiuti militari da 800 milioni di dollari, che include l’invio di bombe a grappolo, nonostante l’opposizione degli alleati europei. Le munizioni a grappolo sono vietate dalla convenzione di Oslo del 2008, firmata anche da Italia, Regno Unito, Francia e Germania, ma non da Stati Uniti, Ucraina e Russia. Le cluster munitions, o cluster weapons sono armi a “saturazione d’area”, costituite da un vettore/proiettile che, dopo essere sparato da aerei, elicotteri, lanciarazzi o artiglieria, esplode a mezz’aria rilasciando e diffondendo le “sub-munizioni”, che colpiscono un’area a largo raggio, anche oltre i 40 km.[2] Secondo Human Rights Watch, sarebbero state usate dagli ucraini, ma soprattutto dai russi, che le hanno usate in centinaia di attacchi in 10 delle 24 regioni ucraine. Sono considerate particolarmente pericolose perché hanno un’alta percentuale di residui inesplosi, il che significa che spesso rimangono nel terreno per anni, trasformandolo in un campo minato, pericolosissimo per i civili. Inoltre, il loro impiego significa il coinvolgimento di aree estese, che vengono colpite in maniera indiscriminata, così da impedire la circoscrizione degli attacchi agli obiettivi militari, come prescritto dal diritto umanitario. Kiev si è impegnata a non usarle contro il territorio russo. Biden ha affermato che “è stata una decisione molto difficile”, di cui ha discusso con gli alleati. “Gli ucraini stanno esaurendo le munizioni. Quelle a grappolo saranno inviate temporaneamente fino a quando gli Stati Uniti non saranno in grado di produrre altri proiettili per gli obici da 155 mm. Questa è una guerra che riguarda le munizioni. E siamo a corto di munizioni”[3].
Le linee di faglia
L’obiettivo del vertice Nato a Vilnius era mostrare a Mosca che non può sperare di durare più del supporto dell’Occidente all’Ucraina. Biden ha detto che Putin ha fatto una “scommessa sbagliata”, pensando che il supporto a Kiev sarebbe finito. La capacità della Nato di mostrarsi unita è tanto fondamentale quanto le conquiste territoriali ucraine, perché può aiutare a persuadere Putin a cambiare la sua strategia e a scendere a un compromesso.
Il vertice di Vilnius ha mostrato una Nato unita e coesa sulla difesa e il sostegno dell’Ucraina, ma divisa e incerta sugli obiettivi di medio-lungo termine. Da un lato, i Paesi del fianco est, guidati da Polonia e Baltici, che vogliono che la Nato si occupi del nemico di sempre, Mosca, e con gli stessi strumenti di sempre, deterrenza e difesa. Questi Paesi sono i più massimalisti e aggressivi sulla guerra in Ucraina: ritengono che l’obiettivo debba essere la sconfitta russa e il ritorno alla situazione pre-2014, il crollo del regime di Putin e l’accesso agevolato di Kiev all’Alleanza. A differenza dei Paesi dell’Europa Occidentale, Polonia e Baltici risentono ancora della memoria del dominio sovietico, terminato solo nel 1991. Ciò che unisce questi Paesi è la paura dell’imperialismo russo, che concepisce le repubbliche baltiche come parte del russkij mir, il mondo russo, la terra degli avi originata nella Rus’ di Kiev.
Vi è poi il blocco anglosassone di Stati Uniti e Regno Unito, che ritengono che la vera sfida sia nell’Indopacifico con la Cina e che vorrebbero una Nato più globale e proiettata verso il Pacifico, che coinvolga i Paesi dell’area che sono stati invitati al vertice, cioè Giappone, Corea del Sud, Australia e Nuova Zelanda. La guerra viene vista come un modo per ammansire l’Orso e renderlo inoffensivo[4]. Il cambio di regime non è auspicabile, dato il caos che si genererebbe, e l’adesione dell’Ucraina può essere discussa solo alla fine, magari da utilizzare come leva negoziale con la Russia.
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Infine, il blocco dei Paesi dell’Europa occidentale e meridionale, i più minimalisti. Francia, Germania e Italia vogliono la fine del conflitto il prima possibile, senza troppe pretese territoriali, anche ripristinando lo status quo pre-24 febbraio. Sull’adesione dell’Ucraina vi sono molte più perplessità, ma è difficile esternarle senza essere accusati di non supportare la vittima dell’aggressione russa. Questi Paesi vorrebbero che la Nato si occupasse in egual misura del fianco sud, a partire da Africa del Nord, Subsahariana e Medio-Oriente, dove terrorismo, migrazioni e infiltrazioni russo-cinesi minacciano gli interessi europei. A questo proposito, Meloni ha chiesto “più attenzione sul fianco sud della Nato”, e nel suo bilaterale con Erdogan ha discusso di migrazione. Tuttavia, è chiaro che il fianco sud è quello più marginalizzato dalla guerra in Ucraina e la sfida con la Cina. Gli Alleati hanno evidenziato nelle conclusioni finali che il vicinato meridionale è terreno fertile per le interferenze “destabilizzanti e coercitive” da parte di concorrenti strategici come la Russia e la Cina. Per questo, hanno dato mandato al Consiglio Nord Atlantico di avviare “una riflessione completa e approfondita sulle minacce e le sfide emergenti”, in vista del summit del prossimo anno. Discussione, dunque, rimandata al vertice di Washington, quando la Nato festeggerà i suoi 75 anni.
Note
[1] Vertice Nato a Vilnius, tg24.sky.it
[2] “Le ragioni del diritto (e quelle di Kiev) sulle bombe a grappolo della Nato”, Maurizio Delli Santi, editorialedomani.it
[3] “Biden defends ‘difficult decision’ to give Ukraine cluster bombs amid congressional pushback”, nbcnews.com
[4] “U.S. wants Russian military ‘weakened’ from Ukraine invasion, Austin says”, Missy Ryan and Annabelle Timsit, washingtonpost.com
Foto copertina: Martedì 11 e mercoledì 12 luglio si sono riuniti a Vilnius, Lituania, i 31 membri della Nato, in un momento cruciale della guerra in Ucraina.