La storia che si ripete: il malessere delle banlieues colpisce ancora


Le violenze che hanno segnato la Francia tra il 27 giugno e il 2 luglio hanno portato più distruzione rispetto a quelle del 2005 durate ben tre settimane. Un fattore che ha amplificato le proteste è stato svolto dai social media, catalizzatori per l’accelerazione e la diffusione delle rivolte.


Il 2023 si dimostra un altro anno di tensioni sociali. La Francia già provata dalle manifestazioni contro la riforma delle pensioni, dalla crisi dei Gilet jaunes del 2018 e 2019 si ritrova a dover affrontare il malessere mai curato delle periferie, uno scenario che ripete dagli anni Settanta.

I fatti

27 giugno 2023 – Nanterre, banlieue parigina. A seguito di una presunta effrazione, il diciassettenne Nahel Merzouk viene fermato da una pattuglia in moto. La scena viene ripresa in un filmato che rimbalza su tutti i social. Uno dei due agenti spara al cuore del giovane, l’auto prosegue la corsa schiantandosi poco dopo. Nahel è morto. Nelle ore successive si manifestano le prime agitazioni nel quartiere, il governo invita alla calma, memore delle violente rivolte del 2005. Nei giorni successivi vengono mobilitati 45.000 effettivi in tutto il territorio nazionale e viene palesata l’ipotesi dell’istituzione dello stato di emergenza. Il bilancio è alto: la federazione degli assicuratori ha stimato i danni in 650 milioni di euro. Quelli più ingenti, che rappresentano il 90% del totale, sono stati subiti da imprese ed enti pubblici. Una differenza rispetto al 2005 quando l’ammontare era di 204 milioni di euro con l’80% dei sinistri che coinvolgeva i veicoli saccheggiati o incendiati.

Le rivolte del 2005

Marzo 2005 – Diciottesimo Arrondissement, quartiere parigino di Goutte-d’Or. Bale T., ragazzo diciannovenne, presunto spacciatore di crack viene ricoverato in condizioni critiche presso l’ospedale Georges Pompidou dopo uno scontro con un agente di polizia. Nel frattempo a Aubervilliers (Seine-Saint-Denis) alcuni poliziotti vengono presi di mira in seguito alla morte di Karim, diciassette anni, mentre era inseguito da una pattuglia della brigata anticriminalità. (BAC).
Su questo sfondo, il detonatore delle violente proteste del 2005 sarà la morte di due giovani ragazzi di ritorno da una partita di calcio verso Clichy-sous-Bois.
Per sfuggire ad un controllo della BAC, chiamata da un testimone che supponeva un’effrazione da parte dei ragazzi in un cantiere, si rifugiano in un trasformatore di potenza. La macchina non perdona, Muhittin Altun rimane ferito gravemente mentre per Zyed Benna e Bouna Traoré non c’è nulla da fare.
Il quartiere si infiamma dando avvio ad una reazione a catena che metterà la Francia a ferro e fuoco per tre settimane. Saccheggi e incendi si espandono a macchia d’olio, dalla periferia parigina fino ad attivare i quartieri sensibili[1] delle altre grandi città.

La questione del razzismo

Nel 2022 il Consiglio delle Nazioni unite per i diritti dell’Uomo aveva segnalato l’uso eccessivo della forza da parte della polizia durante le manifestazioni contro la riforma delle pensioni e il movimento dei Gilet Jaunes tra il 2018 e il 2019. Il governo aveva ribattuto negato le accuse di razzismo, sostenendo la loro infondatezza. Gli scontri susseguitisi nelle scorse settimane hanno riacceso le preoccupazioni del Consiglio, il cui portavoce ha dichiarato l’apprensione nei confronti dei profondi problemi di razzismo e discriminazione razziale all’interno delle forze dell’ordine.[2] Il 7 luglio il Comitato delle Nazioni Unite per l’eliminazione della discriminazione razziale ha adottato una dichiarazione sulla situazione in Francia che, riprendendo le preoccupazioni espresse dall’Alto Rappresentante per i diritti dell’Uomo, propone raccomandazioni che non solo richiedono lo svolgimento di indagini trasparenti per chiarire le circostanze che hanno portato alla morte di Nahel, ma anche di risolvere le cause sistemiche di discriminazione razziale all’interno dello stato francese con particolare attenzione alla law enforcement.[3]

La falsa “etnicizzazione” delle banlieues

Gli anni Ottanta vedranno l’ascesa del problema delle banlieues nell’attualità politica e sociale. La questione urbana manifesterà due urgenze, in particolare la violenza dei giovani delle HLM (Habitations à Loyer Modéré) e il militantismo antirazzista. Lo stato risponderà attraverso lo sviluppo di nuova politica per eliminare la marginalizzazione dei grandi centri periferici, cercando di risolvere le sfide della disoccupazione, l’insicurezza economica e l’accentuato razzismo e populismo xenofobo portato avanti dal Fronte nazionale.[4] I movimenti che si creano in questo decennio vedono i giovani immigrati nordafricani organizzarsi per denunciare i crimini a sfondo razziale da parte della polizia. Non si deve però comprendere in questo la matrice comunitaria. I giovani infatti negano l’ideologia nazionalista o etnica, cercando di includersi nella società francese, la quale a loro avviso porta avanti l’intolleranza e l’esclusione nei loro confronti. Molti studi hanno concluso che il problema dei quartieri sensibili viene ricollegato all’ etnicizzazione dei rapporti sociali e alla discriminazione razziale che si sviluppano attraverso pratiche implicite all’interno delle relazioni interpersonali. Gli studiosi affermano che il concetto di etnicizzazione non si deve intendere come appartenenza ad una particolare etnia, ma riflette i rapporti sociali tra i diversi gruppi della società. È infatti un’attribuzione, non un attributo, non designando l’esistenza di gruppi etnici, ma la presenza di questa categoria nella percezione di sé e nel rapporto con gli altri. L’etnicità quindi non riguarda la cultura d’origine e non significa l’esistenza di un gruppo comunitario.[5] Gli antropologi negli anni Ottanta infatti mostrano come non esista una gerarchia etnica, ma solo interpersonale. I quartieri sensibili non sono guidati da una struttura comunitaria che vuole scindersi dal resto della città, ma soffrono di una mancanza di risorse collettive e di servizi pubblici in grado di rispondere alle domande di sostegno, assieme ad un profondo isolamento economico e di un cumulo di difficoltà sociali e scolastiche in seno alle famiglie svantaggiate.

Il fallimento delle politiche per la città

Gli edifici di cemento che andranno a definire le banlieues vengono costruiti negli anni Cinquanta per fornire alla classe media alloggi più sani. Negli anni Settanta il fenomeno migratorio verso il Paese andrà a popolare sempre di più questi quartieri, parallelamente la crisi economica degli anni Settanta porta ad una disoccupazione di massa impattando negativamente sulle categorie dei quartieri di abitazione sociale. La successiva deindustrializzazione a favore di un mercato sempre più caratterizzato da un’economia dei servizi, di innovazione tecnologica e di nuovi impieghi nel settore terziario ha amplificato l’esclusione, privando i giovani di una prospettiva di inclusione, destinandoli alla disoccupazione e al precariato. È in questo contesto che si metterà in rilievo il ruolo determinate dello stato come regolatore dello spazio urbano e evidenzia il carattere politico del problema della marginalizzazione delle banlieues. Il peggioramento delle condizioni di vita unite alle rivolte scoppiate più volte negli anni nelle periferie, spingerà le istituzioni ad attivarsi. Nel 1977 verrà presentato il primo piano per la valorizzazione dei quartieri urbani e la riabilitazione degli HLM, il piano “Habitat et vie sociale”. Non sarà l’unica strategia, nel corso degli ultimi quarant’anni vedranno la luce molti piani per la valorizzazione dei quartieri periferici. L’ultimo governo Mitterrand istituzionalizzerà la politique de la ville che coinvolgerà trasversalmente numerosi ministeri con la funzione sviluppare in sinergia politiche pubbliche per ridurre i divari di sviluppo nelle città. I risultati non sono promettenti: nel 2012 un report della Corte dei Conti evidenzia come nei decenni precedenti gli obiettivi delle politiche per la città non siano stati soddisfatti.[6]

Leggi anche:

Lo scenario politico interno

 Le forze di destra del Rassemblement national (RN) e Les Républicains (LR) reagiscono agli eventi radicalizzando la loro retorica sulla questione migratoria. I due partiti approfittano della situazione per consolidare all’interno del dibattito pubblico il fallimento delle politiche di immigrazione, affermando come le violenze confermino le loro posizioni sulla questione. Il rappresentate di LR al Senato, Bruno Retailleau, ha stabilito un legame diretto tra violenze e migrazione, sebbene meno del 10% dei 4000 fermati sia straniero, sostenendo che gli interrogati sì sono francesi, ma per i giovani di seconda, terza generazione sussista una regressione verso le origini etniche, ponendo una distinzione tra chi è un vero francese e chi un falso francese. La leader di RN, la nota Marine le Pen si è lasciata andare dichiarando che la Francia è da quarant’anni oggetto di un’immigrazione anarchica, sottolineando come sia vero che solo il 10% dei fermi riguardava stranieri, ma che la maggior parte degli attori coinvolti si sente straniera o ha origini straniere, andando a parare sulla distinzione fatta da Retailleau. La Prima ministra Élisabeth Borne ha fatto presente che per comprendere questi eventi è necessario risalire alle cause principali, senza ricadere negli stereotipi dell’immigrazione. Macron ha infatti dichiarato che bisogna lavorare sulle cause profonde. Il bilancio però della sua politique de la ville non sembra positivo. In molti contestano un operato che non ha considerato come prioritario la questione dei quartieri sensibili.
Ogni volta che sussiste una sbavatura da parte delle forze dell’ordine si ripete lo stesso scenario di giovani che scendono per le strade attaccando edifici pubblici che simboleggiano il fallimento dello stato nell’integrazione delle periferie. Ogni volta finisce con distruzioni e saccheggi e le associazioni inascoltate. Dietro a questi atti non esiste una forza organizzata, non ci sono partiti, organizzazioni o sindacati, è la collera che passa ai fatti. I problemi sono molti, l’esclusione dei quartieri, il precariato, la disoccupazione, il fallimento del sistema scolastico, la discriminazione razziale e delinquenza sono alcuni dei sintomi principali di questo malessere sociale che colpisce soprattutto le fasce più giovani, andando a fomentare il sentimento di abbandono.
Al prossimo consiglio dei ministri Macron annuncerà il programma di emergenza per la ricostruzione di quanto distrutto per sostenere le comunità colpite.
La domanda che ci si pone è se finita l’emergenza ci saranno ulteriori sviluppi (si spera positivi) per far decollare la politique de la ville, in quanto l’ultimo rapporto dell’Observatoir  national de la politique de la ville del 2021 non sembra molto ottimista.[7]


Note

[1] O zone urbaine sensibile sono grandi quartieri abitativi degradati considerati prioritari per quanto riguarda la loro condizione socio-economica.
[2] https://www.ohchr.org/en/press-briefing-notes/2023/06/press-briefing-france
[3] Comité pour l’élimination de la discrimination raciale, Dèclaration 3 (2023) Prèvention de la discrimination raciale, y compris les procédures d’alerte précoce et d’action urgente, 7 luglio 2023
[4] Wacquant L. J. D., Pour comprendre la « crise » des banlieues, French Politics and Society, autunno 2005, vol.13, n.4, pp.68-81
[5] Avenel C., La construction du « problème des banlieues » entre ségrégation et stigmatisation, Journal Français de Psychiatrie, vol.3, n.34, 2009, pp.36-44
[6] Cour de Comptes, La politique de la ville. Une décennie de réformes, luglio 2012
[7] Observatoire national de la politique de la ville, Fiche thématiques. Rapport 2021, dicembre 2022


Foto copertina: scontri nelle banlieues