La gravità della situazione nella capitale Tbilisi e in tutta la Georgia è ormai nota. La popolazione georgiana ha visto le sue ambizioni europeistiche schiacciate dalle autorità e dal partito di governo “Sogno Georgiano”, andato al potere a seguito di elezioni fortemente contestate. Da mesi le proteste paralizzano le più grandi città del Paese. Per comprendere i motivi delle proteste abbiamo incontrato uno dei manifestanti più attivi “Giorgi”.
A cura di Gabriele Junior Pedrazzoli
Lunedì 3 febbraio Mamuka Mdinaradze, capogruppo di maggioranza in Parlamento, ha annunciato che la durata massima della carcerazione amministrativa aumenterà da 15 a 60 giorni e che la resistenza alla polizia comporterà pene più severe. Il governo sta cercando un pretesto per sedare le proteste una volta per tutte e diventa quindi sempre più repressivo.
Le provocazioni delle autorità, che non solo non accennano a fermarsi, ma, anzi, si intensificano, sono il sintomo più evidente del progetto di Bidzina Ivanishvili per trasformare la Georgia in un’autocrazia. Progetto, questo, sintetizzabile in tre punti: un progressivo indebolimento delle forze parlamentari in funzione accentratrice del potere statuale nelle mani degli apparati amministrativi; forte limitazione del dissenso e conseguente delegittimazione degli attivisti e dell’opposizione; allontanamento dall’occidente e riavvicinamento, perlomeno apparente, alla Russia.
Giorgi, nome di fantasia per proteggere la vera identità, è molto netto a riguardo: “è fondamentale comprendere che la totalità del potere decisionale è detenuta da una sola persona: Ivanishvili”, “la Georgia si trovava nel mezzo di una transizione verso un regime democratico liberale, la sua regressione alla quasi autocrazia di oggi, enorme balzo indietro, è avvenuta in pochi giorni. C’è stato un momento in cui le forze di polizia non avevano bisogno di una motivazione per procedere ad un arresto, ci siamo accordi in questo modo della gravità della situazione”.
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La transizione democratica in Georgia non era solida, era fragile, e Ivanishvili ha potuto invertire la tendenza molto rapidamente. Il 2008, quando sembrava che il Paese potesse entrare nella NATO, al summit di Bucarest, è lontano. Nel 2014 Gharibashvili sosteneva che l’ingresso nell’Unione Europea sarebbe avvenuto nell’arco di 5-10 anni e adesso il Primo Ministro Kobakhidze ha annunciato che ogni obiettivo in questo senso (o meglio: la ridefinizione di ogni obiettivo) è rimandato al 2028.
Prima del 2008 la Georgia si stava progressivamente avvicinando all’Occidente, compiendo un processo di graduale integrazione che è stato però bloccato dall’intervento militare russo poi seguito dal riconoscimento delle province separatiste nel nord del Paese (Abcasia e Ossezia meridionale). Ancora oggi la sovranità georgiana su questi territori non è stata ristabilita.
Nel Caucaso è opinione diffusa che la troppo debole reazione occidentale (l’Unione Europea non ha imposto né sanzioni efficaci alla Russia, né meccanismi efficaci di pressione per il ritiro delle truppe dai territori separatisti) abbia contribuito in maniera significativa ad una degenerazione ulteriore della crisi, sfociata nell’annessione della Crimea del 2014 e, successivamente, nella “grande invasione” del 2022.
“Io sono dell’idea che uno dei principali problemi dell’Occidente oggi sia il timore che hanno i suoi politici nell’assumere decisioni che possono alterare lo status quo. È una paura comprensibile, ma sullo scenario internazionale un problema ignorato troppo a lungo diventa inevitabilmente ingestibile”.
“Ciò che è successo nel 2022 è che Lui (Ivanishvili) ha cambiato idea. È un fatto: ha cambiato idea e, conseguentemente, ha cambiato l’allineamento internazionale della Georgia. Non sono chiare le motivazioni che lo hanno spinto a tanto. Della versione ufficiale dei fatti è difficile discutere seriamente, Ivanishvili fa riferimento molto spesso ad un partito globale, che controlla la maggior parte del mondo, a cui la Georgia deve opporsi… è possibile che abbia avuto paura della Russia o forse ha stretto un accordo con Putin. Ciò che è certo è che Ivanishvili ha costretto uno Stato in cui più dell’ottanta percento della popolazione è favorevole all’integrazione europea a voltare le spalle all’occidente in maniera drastica. Questo è successo nel 2022 e da quel momento i georgiani stanno protestando”.
Eccoci quindi alle proteste, percepite dalla quasi totalità della popolazione come l’unica possibilità rimasta per esprimere il proprio dissenso.
In primavera, a seguito dell’approvazione della molto contestata “legge sugli agenti stranieri” giornalisticamente ribattezzata “legge russa”, ha avuto luogo la prima ondata di manifestazioni. Il clima si è poi brevemente disteso in attesa delle elezioni il cui esito, però, ha aperto una seconda e più accesa fase di contestazione. “Le proteste sono quindi ricominciate in quanto nell’arco di due giorni sono accaduti due eventi molto gravi: il 14 dicembre Mikheil Kavelashvili è stato eletto Presidente, noi non lo riconosciamo come tale. Kavelashvili non ha né educazione né alcun tipo di preparazione politica, è stato un calciatore e ha giocato per il Manchester City (ma il City non era forte quella volta) [sorride] e tra i nostri politici è uno dei più convinti oppositori dell’Occidente. Il messaggio che il Parlamento ha voluto inviare all’Europa non poteva essere più chiaro. In aggiunta, il giorno seguente, è stato annunciato che i negoziati con l’Unione Europea sarebbero stati rimandati al 2028. È a questo punto che le proteste sono ricominciate e da quel momento continuano con forza sempre maggiore”.
“Chiaramente non per tutti, ma per la parte più attiva dei manifestanti è diventata quasi una routine. Non ci sono cinquantamila persone in piazza ogni giorno, più realisticamente sono cinquemila, però in corrispondenza di eventi significativi la partecipazione aumenta”. Ad ogni modo almeno per una parte di coloro che protestano, e Giorgi con un certo orgoglio afferma “… e io ne faccio parte”, manifestare è sicuramente diventato un parte della routine. Il cambiamento non riguarda solo il fatto di protestare, è cambiato in generale il corso della vita: “tutti si ricordano com’era la situazione due anni fa e non accorgersi della differenza è impossibile. La politica è diventata totalizzante, le persone parlano solo di questo, sui social i contenuti pubblicati sono tutti a sfondo politico, i ristoranti sono vuoti e persino la vita notturna -che in Georgia è normalmente molto vivace- si è paralizzata: per molti mesi non ci sono stati eventi. Ovunque si vada si ha la sensazione che qualcosa di storico stia accadendo”.
C’è poi un’altra cosa che non era mai successa prima in Georgia: proteste di grandi dimensioni accadono quotidianamente a Tbilisi, Kutaisi e Batumi, ma, anche se non quotidianamente, si protesta anche in piccole città e addirittura villaggi (esempi importanti sono le manifestazioni studentesche a Gori il 3/12 contro la sospensione dei negoziati per l’adesione all’Unione Europea, il blocco del porto di Poti il 1/12 e i circa 200 protestanti a Ozurgeti il 7/12). “È la prima volta che si protesta al di fuori delle aree urbane e questo è un ulteriore segnale di quanto il momento sia importante per il Paese”.
”A Telavi per esempio, popolazione di circa 20.000 abitanti, si protesta quasi ogni giorno! Non sono in molti… ma anche lì ci sono manifestazioni. Una cosa del genere era inimmaginabile prima d’ora”.
Molto interessante è stata, infine, la spiegazione di Giorgi sul perché la Georgia faccia parte dell’Europa. Dopo un discorso riguardo alle ragioni storiche di appartenenza all’Impero Russo, ai valori fondanti della Georgia libera e alle influenze ricevute nei secoli, Giorgi ha detto una cosa forte, che, forse, noi europei dovremmo tenere a mente. Ha detto: “il motivo più importante per il quale la Georgia è Europa è perché combatte per esserlo”. Come se l’Europa non fosse solamente un gruppo di Stati geograficamente individuato, ma fosse l’insieme dei valori che ispirano le nostre Costituzioni, uno spirito, democratico e liberale, non limitato al mercato unico, ma aperto a chi sia disposto a far propri i suoi principi.
Foto copertina: Mercoledì 17 aprile, i dimostranti sventolano bandiere georgiane e dell’UE mentre si radunano fuori dal parlamento a Tbilisi, in Georgia, per protestare contro “la legge russa”, simile a una legge che la Russia usa per stigmatizzare i media e le organizzazioni indipendenti considerate in contrasto con il Cremlino.