Gli Istituti di Confucio rappresentano un modo per far conoscere la cultura del Dragone nei paesi stranieri, favorire scambi culturali e intensificare le relazioni della Cina con il mondo.
Tra i maggiori successi della Public Diplomacy e del soft power cinese troviamo senza dubbio gli Istituti di Confucio. Questi rappresentano infatti un modo per far conoscere la cultura del Dragone nei paesi stranieri, favorire scambi culturali e intensificare le relazioni della Cina con il mondo. Nel 2018 si contavano 548 istituti distribuiti in 147 paesi.[1] L’Italia non è esclusa da questa lista; infatti, attualmente sono presenti sul territorio 12 istituti.[2] Negli ultimi anni però la visione rispetto agli istituti di Confucio è cambiata, da luogo di cooperazione, scambio e arricchimento, si sono alzate voci che hanno denunciato e criticato la loro influenza.
Cosa sono gli Istituti di Confucio
Come è sopraggiunta l’idea di aprire degli Istituti di Confucio ancora non è ben chiaro. Secondo alcuni studi però fu l’ambasciatore cinese in Germania, Lu Qiutian, che per primo ebbe l’illuminazione sul progetto e anche sul nome. Si chiamano istituti di “Confucio” proprio perché la loro iniziativa fu progettata da Lu e da altre persone appartenenti alla Leipzig University che al tempo era un importante centro di ricerca del Confucianesimo.[3] Scegliere Confucio voleva dire rappresentare al meglio la cultura tradizionale cinese. Il vero obiettivo primo di questi istituti non è fare propaganda del Confucianesimo, che comunque viene ripreso nelle lezioni. Il senso del nome è vicino a quello degli Istituti Cervantes per la Spagna e quelli Goethe in Germania: porre come biglietto da visita figure che hanno contraddistinto la storia e la cultura di un determinato paese.[4]
I fini degli Istituti di Confucio
Il primo vero e proprio istituto fu aperto a Seul nel novembre 2004. Secondo lo statuto e i principi generali di queste strutture: “si dedicano a soddisfare le esigenze delle persone di diversi paesi e regioni del mondo che imparano la lingua cinese, a migliorare la comprensione della lingua e cultura cinese da parte di questi popoli, a rafforzare lo scambio educativo e culturale e la cooperazione tra la Cina e altri paesi, per approfondire le relazioni amichevoli con le altre nazioni, per promuovere lo sviluppo del multiculturalismo e per costruire un mondo armonioso”.[5]
Importante sottolineare l’ultima parte in cui si cita la costruzione di un “mondo armonioso”, uno dei principali insegnamenti di Confucio: l’armonia delle relazioni con gli altri grazie ad una propria etica individuale basata sulla giustizia. Di conseguenza questa armonia è traslata anche nella retorica della politica estera del Dragone e in tutte le sue iniziative di accordo con altri paesi.
Si può però osservare negli obiettivi generali anche un altro fine degli istituti che è accennato sottovoce: facilitare le attività commerciali. Infatti, secondo alcuni studiosi gli istituti servono per assistere la Cina nel fare affari e cooperare con l’estero.[6] Sono individuati come veri e propri meccanismi che contribuiscono alla globalizzazione economica e forniscono competenze linguistiche e culturali al Dragone. Per esempio, l’Istituto Confucio di Poitiers, in Francia, insegna francese al personale della società di comunicazione cinese ZTE Chinese per entrare nel mercato.[7]
A tutto ciò si sommano anche obiettivi di puro soft power, ovvero fini che mirano a migliorare l’immagine della Cina all’estero e che cercano di bilanciare l’appeal statunitense. Ovviamente i responsabili degli istituti e l’Hanban[8] rifiutano l’etichetta imposta alla struttura come mezzo di soft power, in quanto potrebbe portare ad allarmismi da parte del mondo occidentale. Una Cina che fa uso di soft power può essere percepita negativamente e come un paese che ricerca fini più ampi in politica estera.[9]
Nonostante questi tentativi degli Istituti di distaccarsi da etichette e accuse, sono comunque finiti sotto inquisizione, soprattutto in Occidente.
Molti Istituti chiudono, perché?
Gli Istituti sono stati accusati di “inculcare” negli studenti prospettive e punti di vista pro-Cina. In particolare, il Dipartimento di Stato degli Stati Uniti li ha definiti come un’influenza “maligna” verso i campus universitari.[10] Ovviamente nulla va portato ad un livello catastrofico ed è importante fare affidamento sulle capacità degli studenti di possedere un certo senso critico. Ma ciò che ha preoccupato molti paesi nei confronti degli Istituti sono state le omissioni riguardanti temi sensibili per la Repubblica Popolare Cinese. Tra questi non mancano certamente le “3 T”: Tibet, Tienanmen e Taiwan; ma si aggiungono anche temi più recenti come i diritti umani degli Uiguri nello Xinjiang.[11] Ci riferiamo quindi ad una vera e propria censura che limita i dibattiti e le discussioni che invece si dovrebbero poter tenere in ambienti come le università. Proprio per questo, come scrive Giulia Pompili su “Il Foglio”, gli istituti di Confucio chiudono. Un esempio è quello di Helsinki che dal 2007 era in collaborazione con Renmin University cinese.[12]
La situazione in Italia
In Italia si è aperto da poco un dibattito sulla questione. Anzi, il nostro è ancora uno dei pochi paesi in cui continuano ad aumentare gli accordi di collaborazione con la Cina. Come mai? Sicuramente collaborare con il Dragone è importante e porta vantaggi, soprattutto nel campo scientifico. Inoltre, gli istituti di Confucio per le università e le accademie italiane sono importanti fonti di finanziamento. Come ben noto, istruzione e ricerca sono spesso sotto finanziati, ciò rende difficile per l’istruzione italiana rifiutare fondi da parte di Pechino. Ad oggi si contano ben 932 accordi di collaborazione tra Italia e Cina per quanto riguarda l’università.[13]
Ciò di cui è importante discutere in Italia non è un totale abbattimento degli Istituti di Confucio, ma una nuova consapevolezza. Questi saranno sempre oggetto di ricchezza culturale e finanziaria, ma la prima non deve essere annullata dalla seconda, arrivando al punto di accettarne anche una censura. L’ideale sarebbe un completo distacco dai finanziamenti di Pechino e quindi anche dai suoi programmi predefiniti e censurati.
Note
[1] http://www.hanban.org/report/2018.pdf, 2018.
[2] Università di Bologna, Università Cattolica del Sacro Cuore di Brescia, Milano e Piacenza, Università Kore di enna, Università degli Studi di Firenze, Università degli Studi di Macerata, Università degli Studi di Milano, Università degli Studi di Napoli “L’Orientale”, Università degli Studi di Padova, Scuola superiore Sant’Anna di Pisa, Università degli Studi di Roma “La Sapienza”, Università degli Studi di Torino e Università Ca’ Foscari Venezia.
[3] Falk Hartig, Chinese Public Diplomacy: The rise of the Confucius Institute, 2016.
[4] Ibidem.
[5] Cfr. Confucious Institute Statute, https://www.uv.es/uvweb/confucius-institute-uv/en/confucious-institute/presentation/confucious-institute-statutes-1285922855839.html.
[6] Li Junping, How do we judge Confucius today? A discussion of the Confucius Institute phenomenon, in: Forum of Social Science, 2008, 1(5): 41–47.
[7] Duan Yi, Language-Culture International Promotion and Confucius Institute and the theoretical framework of hard power and soft power], in: Fudan Jiaoyu Luntan 6(2): 48–51.
[8] un’istituzione affiliata al Ministero dell’Istruzione Cinese, che si occupa di promuovere la lingua e la cultura cinese tramite la creazione degli Istituti Confucio in tutto il mondo.
[9] Falk Hartig, Chinese Public Diplomacy: The rise of the Confucius Institute, 2016.
[10] The Washington Post, The State Department labeled China’s Confucius programs a bad influence on U.S. students. What’s the story?, Agosto 2020. https://www.washingtonpost.com/politics/2020/08/24/state-department-labeled-chinas-confucius-programs-bad-influence-us-students-whats-story/?utm_source=twitter&utm_medium=social&utm_campaign=wp_monkeycage
[11] Corriere della Sera, L’influenza degli Istituti Confucio è (anche) colpa di università succubi, https://www.corriere.it/la-lettura/19_dicembre_19/istituti-confucio-cina-polemica-replica-tripodi-venezia-la-lettura-9591dd64-2265-11ea-8e32-6247f341a5cc.shtml
[12] Giulia Pompili, In Scandinavia non ci sono più Istituti Confucio. In Italia invece aumentano Chiusa la collaborazione con l’Università di Helsinki, Il Foglio.
[13] Nicola Casarini, Legami accademici sulla Via della Seta: la cooperazione Cina-Italia nell’ambito dell’istruzione superiore e le sue implicazioni per l’Occidente, IAI.
Foto copertina: Istituto Confucio