Con Giorgio Cuzzelli, Generale di Brigata dell’Esercito Italiano in congedo, docente di Sicurezza e Studi Strategici presso l’Università di Roma “LUMSA”.
Di Francesco Iovine
Introduzione
Il nuovo decennio ha (ri)aperto una serie di tematiche che sembravano, nel dibattito pubblico generale, essere state accantonate in Europa: il riarmo, la guerra, la difesa e la sicurezza. L’Unione Europea si è scoperta debole nell’affrontare le numerose sfide accorse negli ultimi anni – dalla guerra in Ucraina, al cambiamento climatico, fino alle tensioni in Medio Oriente – agendo spesso come soggetto diviso internamente, con un approccio securitario frammentato in 27 sforzi diversi (tanti quanti gli Stati membri). A ciò si aggiunge la più ovvia questione che può sorgere in merito alla relazione dell’UE con l’Alleanza Atlantica, in un’ottica di complementarità o di competizione. Per questo motivo, abbiamo chiesto al Generale Giorgio Cuzzelli, esperto di tematiche securitarie e di difesa, un’analisi di quella che è lo stato dell’arte delle relazioni euro-atlantiche, in connessione con le sfide sopracitate.
L’Intervista
Dottor Cuzzelli, ciò che ci ha spinto a chiederle quest’intervento è stata la considerazione della situazione securitaria generale in Europa, in relazione a quella che è il rapporto tra la NATO e l’UE. Volevo chiederle qual è la posizione della NATO nel contesto della questione securitaria in Occidente?
Innanzitutto, credo sia necessaria fare un discorso chiarificatore. Quando oggi parliamo di Occidente, parliamo di una nozione filosofica, economica, sociale e comportamentale, e non di un aspetto geografico. L’Occidente è perciò da intendersi come una comunanza di valori, di idee, di scambio di risorse. Esso parte dall’Europa occidentale, si estende da un lato all’America Settentrionale, e dall’altro passa da Israele per arrivare all’Estremo Oriente includendo Australia, Nuova Zelanda, Giappone e Corea del Sud.
Quando parliamo di NATO, parliamo di difesa dell’Occidente. Un tempo limitata allo spazio euroatlantico e oggi estesa ad altri spazi. E taluni si chiedono se quest’estensione sia legittima, o non sia piuttosto una forzatura, in considerazione di interessi che non sono necessariamente nostri, ma piuttosto del nostro alleato nordamericano. Quindi quando Lei mi chiede dove si colloca la NATO nella sicurezza dell’Occidente, invito a fare attenzione nel chiarire cos’è l’Occidente. La NATO è nata in origine per difendere l’Occidente euroatlantico da un’incombente minaccia nel quadro di un progetto politico e militare di contenimento dell’Unione Sovietica, che aveva tre pilastri: il pilastro politico (il confronto tra sistemi valoriali), il pilastro economico (il piano Marshall), e un pilastro militare (cintura di chiusura dei confini esterni dell’URSS). Questo è il nocciolo della questione.
In aggiunta, la NATO è nata sulle ceneri di parallele iniziative europee, di cui le principali sono state la Comunità Europea di Difesa (CED) e l’Unione Europea Occidentale (UEO). Queste iniziative sono progressivamente decadute per tre ordini di motivi: il primo, perché gli Stati Uniti hanno esercitato il loro peso politico ed avevano bisogno dell’Europa per aiutarli nella difesa contro l’URSS (il Transatlantic Bargain, ovvero lo scambio tra protezione americana ed appoggio politico degli Alleati); il secondo aspetto è che gli Europei, distrutti dalla guerra, non avevano le energie, le forze e le risorse per proteggersi da soli dall’URSS, ma era necessario l’arsenale nucleare americano. Da ultimo, ciascuna di queste iniziative rischiava di duplicare gli sforzi in ambito NATO.
Successivamente si è sviluppata l’Unione Europea (UE). Essa è nata innanzitutto come iniziativa politico-economica per evitare il ripetersi di un conflitto in Europa, costruendo un’intesa tra la Francia e la Germania, nel quadro di un confronto molto più ampio per la World Dominance tra USA e URSS.
Ha trovato tuttavia solo nella dimensione economica, prima ancora che in quella politica, la propria ragion d’essere, dal momento che gli Stati Membri hanno incontrato – e incontrano tuttora – forti difficoltà nel cedere le prerogative della sovranità e della statualità a un’unione sovranazionale. Sotto il profilo della sicurezza continentale, in particolare, nei Trattati istitutivi si accenna solo di sfuggita al problema della difesa collettiva, e senza introdurre alcuna clausola cogente. Di fatto, la soluzione del problema è sempre stata appaltata all’Alleanza Atlantica. Ciò anche in considerazione del ruolo statunitense nella NATO, che viene considerato essenziale da molti Stati Membri della UE, se non l’unica vera garanzia di sicurezza per il continente.
Il vero problema è, dunque, come bilanciare oggi le rispettive capacità in un quadro di riferimento che vede convivere sfide per la sicurezza europea assolutamente dissimili, dal terrorismo nel Mediterraneo all’assertività cinese nell’Indo-Pacifico, dall’aggressività russa in Europa Orientale alla spinta migratoria dal Nordafrica.
Considerando gli sviluppi che ci sono da un punto di vista securitario, in un rinnovato discorso della difesa comune europea, in che direzione questo processo dovrebbe andare? La NATO rappresenta, in una relazione di costo/opportunità, più un limite che una protezione per l’Unione Europea?
Io non vedo i due estremi. È necessario che l’Europa cominci a svolgere un ruolo maggiore nella propria difesa rispetto a prima, in ragione sia della sproporzione degli investimenti tra le due sponde dell’Atlantico sia del riallineamento statunitense verso il Pacifico. Allora la domanda è: ridimensioniamo la NATO e andiamo a costruire la famosa autonomia strategica europea? Questo discorso è stato affrontato per primo dal Generale Graziano quando era Presidente del Comitato dei Capi di Stato Maggiore dell’Unione Europea. Il Gen. Graziano disse chiaramente che l’UE doveva dotarsi di una capacità militare autonoma – per quanto limitata inizialmente ad una serie di programmi di riarmo – che in qualche modo avrebbero consentito all’Europa di svolgere attivamente le funzioni di pilastro continentale della NATO. Ciò senza compromettere il legame transatlantico, ovvero il ruolo degli Stati Uniti nella difesa del continente, che rimane essenziale sia in termini politici – ritorniamo al discorso dell’Occidente – sia sotto il profilo delle capacità militari, e qui basta pensare all’ombrello nucleare.
In sostanza, l’autonomia strategica europea non doveva – e non deve – essere intesa in senso competitivo rispetto all’Alleanza Atlantica, ma bensì complementare. Ossia, l’UE doveva – e deve – semplicemente occuparsi di coordinare, gestire e armonizzare gli sforzi degli Stati europei in tutti quei settori di rilevanza per la difesa – economico, finanziario, industriale – in cui la NATO, essendo un’organizzazione puramente militare, non può entrare.
Nel merito, vanno anche ricordate – e non sottovalutate – le remore di parte statunitense, ben espresse sin dagli anni Novanta del secolo scorso dal Segretario di Stato Albright. Le famose tre D, ovvero no duplication, no discrimination e no decoupling.
Tutto ciò rappresenta, in una relazione tra costi e benefici, una straordinaria opportunità sia per l’Unione Europea sia per la NATO, le quali si devono muovere verso un fine comune che è quello della sicurezza europea. Il problema fondamentale resta quello relativo al fatto che è perfettamente inutile duplicare gli sforzi.
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In merito all’insediamento di Trump alla Casa Bianca: il neoeletto presidente non ha mai risparmiato critiche e minacce di abbandonare l’alleanza. Costituisce un rischio concreto? O possiamo indicarlo come un perfetto rappresentante della “Teoria del Pazzo”, attraverso un modus operandi da negoziatore, puntando sempre oltre ciò che rappresenta il vero obiettivo?
Certamente. Trump “spara 100 per ottenere 10”. In buona sostanza Trump è transattivo, quindi il suo scopo fondamentale è quello di spuntare le migliori condizioni per sé e il miglior risultato possibile da una trattativa. Citando John Mearscheimer, “States tend to maximize their output”, ed è così che si comporta Trump nei confronti degli altri Stati. Nei confronti degli Europei,, durante la sua prima presidenza ha riacceso la questione della spesa minima del 2% del PIL da destinare alla Difesa, facendo tremare le cancellerie europee, le quali per gran parte si sono poi adeguate. In breve, secondo me non rappresenta un rischio concreto per l’Alleanza Atlantica, bensì un’opportunità nel senso che è l’unico che può costringere gli Europei a fare il proprio dovere. In particolar modo perché, al di là delle apparenze, da un lato esiste una minaccia russa ben definita, che è contemporaneamente valoriale ed esistenziale, e dall’altro gli Stati Uniti vogliono avere le mani libere per dedicarsi al Pacifico. Sarà tuttavia necessario trovare un compromesso tra la richiesta statunitense, che appare orientarsi addirittura verso il 5% del PIL, e le evidenti difficoltà nelle quali si dibatte il quadro economico continentale. In questo contesto, il ruolo sinergico dell’Unione Europea appare essenziale, proprio in funzione di quella complementarità tra organizzazioni evocata in precedenza. In sostanza, solo l’Unione, adottando comuni iniziative, potrà consentire agli Stati Membri di entrambe le alleanze di affrontare le accresciute esigenze economico-finanziarie e industriali in materia di difesa collettiva.
Quindi, in considerazione di ciò, per la NATO, la Russia costituisce un problema formale o anche sostanziale?
La Russia propone un sistema di convivenza internazionale di tipo vestfaliano basato esclusivamente sui rapporti di forza, in cui essa pretende di avere un ruolo guida.
Sotto il profilo politico ciò è inaccettabile, perché in un sistema internazionale costituito da stati sovrani ed eguali sotto il sole l’equilibrio di potenza da solo non può funzionare, e occorre invece mantenere in vita il principio della cooperazione. In sostanza, una convivenza basata su regole condivise e non sulla prevaricazione.
Sotto il profilo militare, invece, la Russia rappresenta una minaccia solo per coloro che militarmente non si avvicinano alle sue capacità.
Se parliamo degli Stati Uniti, ad esempio, la Russia costituisce un pericolo solo dal punto di vista nucleare.
Per quanto riguarda il potenziale convenzionale, invece, Mosca rappresenta una chiara minaccia per l’Europa per il semplice motivo che oggi come oggi i nostri strumenti convenzionali non sono in grado di schierare sul terreno quelle capacità minime che consentirebbero di opporsi ad eventuali attacchi.
Nondimeno, la minaccia russa è molto più concreta per tutto l’Occidente di quanto possa apparire sotto il mero profilo militare, perché in realtà è di tipo valoriale e va ad intaccare gli aspetti fondanti delle nostre società. Nel richiamare ossessivamente i valori della tradizione e del senso comune a discapito delle libertà individuali, infatti, il pensiero moscovita mette in discussione la credibilità delle nostre democrazie e rappresenta di conseguenza una sfida esistenziale per i sistemi politici occidentali. E’ il modello di democrazia autoritaria e plebiscitaria che propone a rappresentare il vero problema. Per converso, il modello valoriale cinese, costruito sul principio confuciano dell’asservimento del singolo alla collettività, appare molto più lontano dal nostro modo di pensare e di conseguenza meno pericoloso dal punto di vista politico. Pechino è tuttavia in grado di esercitare un’influenza – ovvero un ricatto – molto maggiore di Mosca sotto il profilo economico, finanziario e industriale, e rappresenta perciò una minaccia altrettanto grave per la sovranità occidentale.
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