I cartelli messicani e colombiani tra produzione e traffici transnazionali di droga durante il dilagante Covid-19.
La pandemia da Covid-19 ancora in atto ha riformulato una nuova geopolitica transnazionale, questo è un dato di fatto. Una geopolitica non solo legale, ma tout court comprendente tutti gli aspetti dei poteri presenti sullo scacchiere globale, annoverando anche – e soprattutto – poteri illegali di portata internazionale. Particolare interesse in tal senso occupano i cartelli dei narcos sud-americani i quali, nonostante i pronostici negativi di una parte della dottrina, fin dai primi mesi del 2020 sono riusciti a sfruttare l’emergenza pandemica a loro favore.
Negli ultimi anni le nazioni sud-americane e i loro popoli hanno vissuto numerosi cambi di governo e colpi di stato para-militari. Brasile, El Salvador e Messico sono tutt’oggi governati da pseudo-dittatori presentatesi sulla scena politica nazionale come restauratori di nazionalismi vari, ma tutti accomunati dal fallimento democratico e dalla capacità di mettere in campo politiche in grado di sgretolare il fragile tessuto socio-economico nazionale. In scenari simili le organizzazioni criminali hanno vita facile. Se poi vi si aggiunge la crisi pandemica e le sue potenzialità, per le varie consorterie criminali il gioco è fatto, i vantaggi superano di gran lunga le limitazioni imposte dalla necessità sanitaria.
Sul piano politico-nazionale i cartelli si sono sostituiti al già debole e frammentato Stato di diritto. Il caso Messicano è emblematico.
I grandi cartelli messicani (Jalisco Nueva Generaciòn e el Cartel de Sinaloa) fin dai primi mesi della pandemia, presentandosi come “i nuovi Robin Hood”, hanno avviato una politica di distribuzione di viveri alle popolazioni più abiette e povere, costrette dall’emergenza sanitaria e dai relativi lockdown alla miseria e alla fame. Il ritorno sociale, oltre alla immensa gratitudine e alla crescita esponenziale del consenso sociale nei loro confronti, ha investito anche il settore della manovalanza criminale. Molti uomini e molte donne, poiché sprovvisti di mezzi autonomi per il sostentamento delle proprie famiglie ridotte alla miseria dalle politiche nazionali, si sono gettate nel mortale abbraccio dei cartelli criminali al fine di trovar occupazione e quindi denaro. Passando da strutture criminali a centri per l’impiego, le file criminali dei cartelli messicani, come per le altre organizzazioni americane, sono accresciute non di poco. Non avendo subìto svantaggi economici relativi alle restrizioni governative, poiché operanti su mercati illegali senza quindi alcuna necessità di rispettare e tutelare i basilari diritti umani, questa nuova manovalanza criminale è stata spalmata nei vari settori economico-criminali gestiti dai cartelli: dalla contraffazione, passando dalla fruttuosissima produzione e vendita di mascherine e tamponi (venduti a prezzi competitivi, ma prodotti con costi bassissimi grazie all’ovvio non rispetto delle norme sanitarie), fino al lungo iter di produzione e raffinazione di droghe.
Proprio nelle droghe, paradossalmente, si può trovare il lato negativo degli effetti indiretti dei lockdown, ovvero il “blocco” della Cina. Il sub-continente cinese è infatti da sempre il maggior produttore di efedrina e benzil metil chetone, materie alla base della produzione e raffinazione della Crystalmeth. Essendo la Cina il principale fornitore di suddette materie prime ai cartelli Messicani (storicamente specializzati nella produzione e traffico di metanfetamine), quest’ultimi hanno vissuto e stanno vivendo gravi momenti di crisi produttiva. Non potendo soddisfare quindi la domanda di metanfetamine del Nord America, ma avendo a disposizione allo stesso tempo ingenti capitali economici e umani da investire, i cartelli messicani, in ossequio alle politiche criminali basilari della c.d. “teoria dei vasi comunicanti”, hanno reinvestito parte dei loro capitali nel sempre più redditizio mercato della raffinazione della cocaina. A differenza del mercato delle metanfetamine, la cocaina non ha mai avuto problemi di reperimento di materie prime, anche perché esse – le piante di coca – vengono coltivate direttamente nei territori controllati dalle stesse organizzazioni criminali che le raffinano. Se i cartelli messicani sono riusciti a trovare l’escamotage per superare il momento di crisi causato dalle restrizioni pandemiche, i cartelli colombiani non ne hanno risentito quasi per niente.
Detenendo il controllo di ingenti territori del suolo nazionale, i cartelli colombiani sono ormai da decenni i maggiori coltivatori di alberi di coca nonché i principali produttori e trafficanti transnazionali di cocaina. Paradossalmente dall’inizio della pandemia le coltivazioni di alberi di coca e la raffinazione di cocaina pura hanno subìto enormi impennate proprio per saziare l’enorme domanda nord-americana ed europea di suddetto stupefacente.
I cartelli della cocaina, situati più a sud dei competitor messicani territorialmente confinanti con i “clienti” statunitensi, fin dalla loro formazione hanno dovuto affrontare problematiche relative al trasporto di tonnellate di droga dall’entroterra delle foreste pluviali sud-americane ai principali porti di tutto il mondo. Questo negli anni, combinato all’altalenante repressione poliziesca delle istituzioni colombiane e brasiliane, li ha costretti a fronteggiare sempre maggiori difficoltà, caratterizzandoli con una notevole capacità di adattamento e quindi di resilienza. Preparati a qualsiasi evenienza, i cartelli colombiani tengono sempre scorte di decine di tonnellate di cocaina purissima nei loro bunker – arrivando addirittura, secondo le agenzie di intelligence colombiane e brasiliane, alla cifra da capogiro di 60 tonnellate di cocaina purissima – in modo da poter alimentare i loro traffici per un paio di mesi anche in caso di sostanziali blocchi produttivi. Questo nei primi mesi del 2020 è stato molto utile ed ha permesso una non scontata continuità della fornitura di cocaina sul mercato internazionale illegale. Affrontando il primo lockdown e l’emergenza pandemica i narcos colombiani, visto l’aumentare della repressione poliziesco-militare, sono stati costretti a nascondere nell’estremo e recondito entroterra sud-americano le loro raffinerie, rallentando di molto la catena di raffinazione. Tale diminuzione di produzione di cocaina purissima non ha per nulla ostacolato il normale svolgimento dei loro traffici internazionali proprio grazie a quelle enormi riserve di coca in grado di soddisfare ampiamente la domanda del mercato e coprire quindi le carenze produttive causate dallo spostamento delle raffinerie.
Altra caratteristica peculiare dei cartelli colombiani, oltre al brutale carattere predatorio e dittatoriale nei territori controllati, è da sempre la loro fitta, mutevole e sempre tecnologicamente avanzata rete di trasporti. Proprio per la necessità di arrivare ai principali porti nord-americani i trafficanti colombiani si sono muniti nel corso degli anni di mezzi via mare sempre all’avanguardia: dai motoscafi veloci degli anni ’80 a dei veri e propri sommergibili degli ultimi anni.
Dalle coste della Colombia numerose rotte criminali si diramano verso tre importantissime destinazioni: Australia, Europa e Stati Uniti. Nonostante l’arrivo del covid-19 le prime due rotte, sfruttando il costante trasporto di generi alimentali – principalmente frutta e verdura sud-americana – indispensabili per i mercati globali e impossibili da arrestare, sono rimaste quasi invariate. Il modus operandi è quasi immutato da anni: all’interno di container contenenti vari generi alimentari vengono nascoste tonnellate di cocaina purissima le quali poi arrivano dall’altra parte del mondo tramite le normali rotte commerciali oceaniche. Partendo dai principali porti colombiani, con scali programmati in porti peruviani per la rotta australiana e porti africani per la rotta europea, quesiti container arrivano quasi intatti sulle coste interessate.
La terza meta è la più complicata e si affida quasi esclusivamente alle tecnologie sopracitate (in particolare sottomarini e pescherecci appositamente modificati). Inoltre, visto l’impennata della domanda di cocaina statunitense degli ultimi due anni, la stessa intelligence colombiana ha confermato come, oltre ai “normali” mezzi di trasporto, i cartelli abbiano addestrato squadre di uomini specializzati nel traffico via terra. Queste squadre, guidate da esperti delle giungle dell’America Latina, intraprendono il lunghissimo cammino intra-amazzonico portando a spalla borsoni di cocaina purissima fino al confine messicano. Arrivati sul territorio controllato direttamente dai cartelli “rivali” il gioco è fatto: l’ingresso negli Stati Uniti, previo pagamento per il servizio offerto, viene garantito dalle organizzazioni criminali locali specializzate nella gestione di rotte migratorie clandestine ed ovviamente della droga.
Da come si è brevemente detto tutte quelle teoria dottrinali sulle limitazioni imposte della pandemia nei confronti di organizzazioni criminali transnazionali si sono rivelare errate. I cartelli della droga sono riusciti ad adattarsi e riadattarsi alle nuove sfide che il mondo iper-globalizzato ha posto. Sfruttando un mix di conoscenze pregresse, capacità intrinseche e violenza programmata, i cartelli della droga sono riusciti a trovare le giuste escamotage per portar a loro favore una situazione di per sé traumatica. Le economie illegali vincono ancora, il loro consenso sociale aumenta e gli ordinamenti internazionali sembrano paralizzati. La partita, giocata da pochi nell’indifferenza dei molti, resta però ancora aperta.
Foto copertina: Narcos e pandemia