Intervista ad Antonello Guerrera, corrispondente per “La Repubblica” in Regno Unito e Irlanda.
Nel mio ultimo contributo “Unioni che dividono: il paradosso della BREXIT”[1]” ho analizzato il modo in cui la BREXIT ha spaccato il Regno Unito attraverso l’analisi delle due scottanti questioni che stanno infiammando la politica domestica britannica: il NI e la Scozia. A partire da inizio aprile, la situazione nel Regno si è evoluta rapidamente, soprattutto in Irlanda del Nord che ha ripreso, dopo anni, ad attirare l’attenzione dell’opinione pubblica internazionale.

Per fare chiarezza su cosa stia succedendo in questa tanto ristretta quanto centrale area del Regno Unito abbiamo sentito Antonello Guerrera, corrispondente in Regno Unito e Irlanda per “La Repubblica”.
A partire dal 7 aprile scorso, nelle aree operaie a maggioranza unionista di Derry, Belfast (maggiormente), Newtonabbey e Carrickferguson sono iniziate una serie di proteste violente volte, almeno formalmente, a contestare gli effetti del Protocollo sul NI. In breve, cosa sta accadendo in NI? Qual è il clima che si respira in queste settimane?
Il clima è pessimo. Sono tornato dal NI, da Belfast in particolare, appena dieci giorni fa e la tensione nelle comunità unioniste è molto alta. Teoricamente, a scatenare questo fermento è stato il Protocollo sul Nord Irlanda previsto dall’accordo sulla BREXIT (accordo, tra l’altro, che Johnson ha firmato ma che sta quotidianamente mettendo in discussione). Il Protocollo pone un confine ideale, più precisamente una barriera doganale, nel Mare d’Irlanda che di fatto divide il NI dal resto del Regno. Questo per evitare la creazione di un confine terrestre sull’isola d’Irlanda che avrebbe inevitabilmente messo sotto pressione una pace già di per sé molto fragile.
A proposito di questa pace in NI, molti commentatori, preoccupati dall’esplosione di violenza delle ultime settimane, hanno parlato di un ritorno dello spettro dei “Troubles”, soprattutto a seguito del formale ritiro del sostegno del Loyalist Community Council (LCC) all’Accordo del Venerdì Santo. Come interpretare questo segnale? E soprattutto, quanto questo parallelismo può dirsi fondato?
Nel worst case scenario, un ritorno ai “Troubles” è possibile. Anzi, anche in uno scenario che non sia il peggiore questa eventualità non è esclusa e questo perché la BREXIT, e l’accordo che ne è seguito, porteranno ad un aumento delle tensioni e al venir meno del presupposto alla base della pacificazione in NI (culminata con l’Accordo del 1998): l’appartenenza del Regno Unito alla UE che, all’epoca, favorì la libera circolazione di persone e merci sull’isola d’Irlanda abbattendo, seppur virtualmente, il confine terrestre contestato. A conferma di ciò, ho avuto modo di parlare con un contadino di Londonderry, la cui proprietà è a cavallo di quel confine terrestre, che mi ha raccontato di come la pace non sia apparsa improvvisamente nel 1998. Al contrario, le basi di quel processo di pacificazione sono state gettate proprio a partire dall’ingresso del Regno Unito nell’allora CEE nel 1973, quando iniziarono a cadere le prime barriere.
L’Accordo del Venerdì Santo, come culmine di questo processo, è in questo senso fantastico poiché riuscì a generare un’alchimia che mettesse d’accordo tutti: gli unionisti continuavano a sentirsi legati a Londra; mentre i repubblicani vedevano di nuovo un’isola aperta, virtualmente unita e nella quale poter circolare liberamente (anche se, nei fatti, continuava ad essere divisa in due entità statuali diverse). Addirittura, ora i cittadini irlandesi possono richiedere il passaporto britannico e viceversa. Questo equilibrio che era stato costruito per una pace fragile è stato rotto dalla BREXIT.
Quanto detto finora attiene alla questione strettamente politica. Poi c’è anche una dimensione sociale. Gli scontri delle ultime settimane hanno visto il coinvolgimento di giovanissimi che non hanno coscienza storica di quanto accaduto nel passato dell’isola. Non avendola sono, quindi, manipolabili dalle generazioni precedenti alla loro che spesso li aizzano. Ho avuto modo di parlare con alcuni di questi ragazzi a Belfast e, in effetti, loro non hanno neppure ben chiaro cosa sia il Protocollo, ma sono spinti alla violenza dai genitori e dalle tensioni crescenti nelle comunità unioniste che si sentono, ed inevitabilmente si sentiranno come effetto della BREXIT, sempre più lontane da Londra.
L’accordo BREXIT spacca il Regno Unito e, per quanto Johnson se lo stia rimangiando, la realtà è questa. La tendenza è, quindi, che si ritorni alle ostilità intercomunitarie. Non so se si ritornerà al livello di violenza che caratterizzò i “Troubles” ma le tensioni sicuramente torneranno a farsi sentire fortemente, considerando anche che un’alternativa al momento non c’è. Personalmente, temo che le cose possano andare sempre peggio.
Lei prima ha accennato alla partecipazione di giovanissimi, appena adolescenti, alle proteste, giovani che non hanno avuto né esperienza né memoria dei “Troubles”. Secondo lei e alla luce di ciò, in che misura il fattore identitario espresso nel binomio unionisti vs nazionalisti può essere considerato causa delle riemergenti tensioni e quanto, invece, può dirsi strumentale a riportare all’attenzione rivendicazioni radicate altrove?
Diciamo che tutto questo è conseguenza immediata della BREXIT e del tipo di accordo che si è concluso. Se il Regno Unito avesse concluso un accordo diverso implicante la permanenza nell’Unione doganale europea (cosa che Johnson assolutamente non voleva), simili problemi non si sarebbero affatto presentati. Il tipo di BREXIT scelta ha portato a questa rottura in NI.
Ora, le tensioni riemerse hanno avuto importanti ripercussioni sul piano politico poiché il DUP, assieme ad altri Partiti (al momento il DUP è al potere a Stormont assieme al nazionalista Sinn Féinn), si sentono minacciati in termini di consenso popolare da formazioni più estremiste e radicali di loro che hanno acquisito rinnovata visibilità in un contesto di grande fermento. Per trattenere consenso contro le frange radicali, questi Partiti criticano quotidianamente l’accordo ed il Protocollo creando però paura e tensioni nella comunità unionista, sentimenti questi ultimi che si riverberano nel tessuto sociale contribuendo ad aumentare la tensione e la violenza. Banalmente, se esponenti politici come Arlene Foster e lo stesso Johnson comunicano che il Protocollo va stracciato, è naturale che la reazione popolare venga esasperata. Non si può parlare in modo così esplicito e duro di una questione così delicata come quella in NI e in un contesto in cui quanto viene comunicato è recepito non solo dai più moderati ma anche, e soprattutto, dai radicali. Quindi, oltre all’accordo che spacca il Regno Unito e genera “comprensibilmente” malcontento tra la comunità unionista, c’è anche l’irresponsabilità comunicativa dei politici che non sopiscono questo malcontento, generando effetti di propagazione nel tessuto sociale.
A questo poi, si aggiunge il malcontento dei giovanissimi, la cui rabbia e violenza sono motivati dalla percezione di non avere alternative, dalla delusione verso la classe politica e dalla sensazione di essere stati marginalizzati e trascurati rispetto alla comunità cattolica. Ho potuto parlare con alcuni di loro che vivono nel quartiere di Shankill road a Belfast che, oltre ad essere uno dei quartieri storicamente unionisti, è anche uno dei più disastrati della città e soprattutto, lo è molto di più dei quartieri nazionalisti adiacenti. La differenza tra le due aree è immediatamente percepibile.
La situazione attuale è un mix esplosivo di più fattori che, unitamente a una classe politica disattenta, rende difficile immaginare una via d’uscita.
Focalizzandoci sul ruolo del DUP in particolare, è possibile dire che sia politicamente responsabile di quanto sta accadendo? Soprattutto se consideriamo come il DUP, pur contestando il Protocollo, ha sempre sostenuto una hard BREXIT che, in ogni caso, avrebbe favorito l’emergere di un confine (terrestre o marittimo che sia).
Io non dico che siano responsabili. Indubbiamente non lo sono rispetto a quanto sta accadendo, però le pratiche discorsive che adottano in un contesto in cui stanno riemergendo tensioni forti sono irresponsabili sul piano politico. Non si può dire che le forze come il DUP (ma lo stesso Johnson) abbiamo direttamente provocato il riaccendersi della violenza, ma sicuramente hanno una responsabilità politica nell’aver nutrito una tendenza all’inasprimento delle tensioni con una comunicazione non adatta.
Guardando alle elezioni di Stormont del 2022, sembra evidente come la questione del Protocollo stia già iniziando a polarizzare l’elettorato in NI[2]. In che modo ed in che misura la questione del Protocollo andrà ad influenzare il risultato delle elezioni del 2022? E soprattutto, in un contesto così instabile, che ruolo svolgerà quella parte dell’elettorato e della politica definito dei “non allineati”, ovvero di coloro che non si identificano nel binomio unionisti-nazionalisti?
Le elezioni del 2022 sono molto importanti poiché, anzitutto, il Parlamento locale di Stormont è responsabile nel decidere, tramite una votazione che avrà luogo nel dicembre 2024[3], circa il mantenimento dell’assetto delineato dalla backstop solution in NI.
La composizione parlamentare che emergerà dalle prossime elezioni sarà quindi responsabile di decidere le sorti del Protocollo e, di conseguenza, del mantenimento dello status quo in NI.
Con riguardo alla questione dei “non allineati”, se l’accordo BREXIT continua ad essere applicato pedissequamente da Londra (si vedano ad esempio, i ritardi sui controlli alla dogana sul Mare d’Irlanda oppure la stessa questione “degli scaffali vuoti ai supermercati”), gli effetti negativi di una simile implementazione finiranno con il colpire e “contagiare” anche i più moderati, eventualità quest’ultima che andrebbe evitata. Basti ricordare il ruolo centrale che i cosiddetti “unionisti da giardino”[4] ebbero nello spianare la strada al processo di pacificazione durante i “Troubles”. Ecco, se anche il ruolo calmierante di questa componente della popolazione e della politica viene meno a causa di una cattiva gestione ed attuazione dell’accordo è chiaro come la situazione diventerà sempre più difficile e complessa da affrontare in virtù di una riduzione di spazi politici di moderazione.
Passando ora al ruolo, o se vogliamo, al mancato ruolo di Londra, ritiene che sia da guardare con maggiore preoccupazione il ravvivarsi della rabbia e violenza a livello popolare in NI oppure l’incapacità effettiva della classe politica britannica di affrontare in maniera concreta il deteriorarsi della situazione? Situazione che, a mio avviso, era tutt’altro che imprevedibile e che ci si auspicava potesse essere gestita in maniera più incisiva rispetto a quanto non stia facendo Johnson, il quale sembra prediligere il ricorso a una vuota retorica piuttosto che ai fatti.
Il problema è che da un lato, assistiamo all’escalation di violenza a livello popolare, violenza che se dovesse causare morti da una delle due fazioni, innescherebbe una spirale di ulteriore rabbia e vendette che potrebbe pericolosamente portare indietro le lancette del tempo in NI; dall’altro, la politica, indipendentemente dal discorso del Protocollo, si è dimostrata totalmente inadeguata. Basti pensare al fatto che in NI non sono state elaborate vere e proprie politiche volte all’integrazione delle due comunità poiché ciascun Partito era più interessato a mantenere il consenso della propria base, manifestando in conseguenza poco coraggio nell’intraprendere dette politiche. E così, le case popolari vanno sempre alle comunità unioniste, le scuole continuano ad essere divise tra unionisti e nazionalisti…questo è il risultato di una perdurante inerzia di una politica pavida che non aiuta, neppure nella quotidianità di chi vive in NI, ad uscire da questo vicolo cieco. Se non ci sono politici che osano (sia dal lato unionista che da quello nazionalista) andando oltre il mero consenso elettorale, diventa difficile intravedere una reale soluzione alla situazione in NI.
Passiamo ora alla posizione del NI tra Regno Unito e UE. Negli ultimi mesi, i rapporti tra le due sponde della Manica sono stati piuttosto altalenanti, sfiorando talvolta veri e propri punti di rottura. Allo stesso tempo, UE e Regno Unito sono direttamente coinvolte nell’Accordo del Venerdì Santo. In che modo l’andamento futuro dei rapporti UE-UK si ripercuoterà sul NI?
Purtroppo, se questa tensione ribollente perdura è evidente come l’impatto sulla stabilizzazione in NI sarà negativo. Ora, Johnson ha disatteso l’accordo con l’UE non controllando le merci alla dogana sul Mare d’Irlanda e l’UE ha chiamato il Regno Unito in giudizio alimentando una serie di battaglie parallele che vanno avanti da anni. Il grande problema in questo caso è che una stabilità nei rapporti UE-UK in uno scenario post-BREXIT può essere raggiunta solo se Johnson decide di rispettare gli accordi, accordi che, firmati da entrambe le parti, esistono e tutelano l’UE sulla sua preoccupazione principale: l’integrità del Mercato Unico contro la possibilità di immissione dal NI di beni britannici non conformi alle sue disposizioni. Ma se Johnson continua a non rispettare gli accordi, non riesco a vedere un’alterativa che stabilizzi le relazioni. Questo a patto che l’UE non decida di far decadere qualsiasi controllo rispetto alle merci provenienti dal Regno Unito ed in transito per il NI per imporli tra l’Irlanda ed il resto dell’UE. Ovviamente questo scenario è improbabile poiché corrisponderebbe ad una vera e propria capitolazione ed umiliazione per l’UE che, non solo non ha voluto la BREXIT, ma si ritroverebbe con una dogana tra i suoi Stati membri. Il che sarebbe inaccettabile.
Alla luce di quanto abbiamo detto, quale futuro prevede per il Protocollo e l’Accordo del Venerdì Santo? Addirittura, alcuni ritengono che la BREXIT sia riuscita a fare quello che l’IRA nel corso dei “Troubles” non riuscì ad ottenere[5], ovvero un’isola d’Irlanda unita. Lei quanto ritiene plausibile questo scenario?
A livello di numeri, lo scenario di una Irlanda unita è plausibilissimo perché, come dicevamo prima, i cattolici repubblicani sono sempre di più e quando diventeranno maggioranza in NI potrebbero attivare le procedure per richiedere un referendum per la riunificazione. Quindi, questo scenario è molto plausibile sul piano numerico, ma non è altrettanto auspicabile in termini di armonia sociale e di pace in NI. Se quest’eventualità dovesse realizzarsi, l’insoddisfazione ed il nervosismo della comunità unionista si farà sempre più pressante e presente.
Per questo dicevo che lo status quo antecedente alla BREXIT era perfetto: al di là della mancata integrazione, le due comunità riuscivano a convivere abbastanza pacificamente pur non avendo sviluppato particolari legami intercomunitari. Io spero che si possa ritornare ad una situazione relativamente pacifica, ma credo che un referendum sull’unità tenuto in un contesto di simili crescenti tensioni, non farà altro che peggiorare la situazione. Qui poi ritorna anche il problema politico a cui ho fatto riferimento prima. Se la classe politica a livello locale avesse promosso reali politiche di integrazione e incontro tra le comunità nei 23 anni di attuazione dell’Accordo di pace, probabilmente anche un referendum sull’unità sarebbe stato meno divisivo ed esclusivo. Purtroppo, però, in un contesto in cui nulla è stato fatto in questa direzione e nel quale continua a permanere una logica di “ghettizzazione” da ambo i lati, è evidente come un referendum finirebbe con l’avere effetti devastanti.
Quindi lei ritiene auspicabile mantenere l’Accordo del Venerdì Santo e cercare di ripristinare quell’equilibrio. E soprattutto, ravvisa una negligenza nella classe politica, antecedente anche a Johnson, nel non aver predisposto ed attuato politiche di integrazione efficaci e che ad oggi hanno portato a questo esito indesiderato.
Si, assolutamente. In merito all’Accordo, sarebbe auspicabile magari cercare di lavorare su quello esistente, anche se con la BREXIT vedo sempre più difficile ripristinare quell’equilibrio che ormai si è rotto.
In merito alla negligenza, mi riferisco particolarmente alla classe politica locale nordirlandese sia dal lato unionista che da quello nazionalista e non tanto ai predecessori di Johnson.
Volendo andare alle conclusioni, la BREXIT che voleva rafforzare la sovranità britannica ha finito poi con l’indebolirla creando fronti divisivi interni in NI ma anche in Scozia, in merito alla quale le elezioni del prossimo maggio saranno decisive nel determinare l’effettiva possibilità di procedere ad un referendum sull’indipendenza. In che modo crede che le due vicende potranno influenzarsi nel futuro?
Le due questioni indubbiamente si intrecciano. Non è un caso che la leader scozzese dell’SNP Nicola Sturgeon rivendichi per la Scozia lo stesso status quo attualmente vigente in NI, ovvero un’appartenenza al Mercato Unico europeo pur restando nel Regno Unito. Chiaramente, una simile soluzione è stata frutto della particolare situazione in NI e non sarà replicata in Scozia.
Da un lato, la BREXIT e soprattutto l’arrivo di Johnson (che è molto criticato in Scozia) hanno portato l’indipendentismo scozzese nei sondaggi a livelli mai visti prima; d’altro canto, dal mio punto di vista, la questione del NI e gli effetti che la BREXIT ha avuto su di essa possono costituire un problema per gli indipendentisti. Nel senso che molta gente sarà sempre meno indipendentista in Scozia poiché, avendo avuto come banco di prova il NI, si renderà conto delle difficoltà legate all’imposizione di un confine. Se la Scozia esce dal Regno Unito (e sul punto devo dire che la Sturgeon è sempre molto evasiva) sarà necessario imporre un confine con il Regno Unito perché l’intenzione è di entrare nel Mercato Unico europeo e nell’Unione doganale, riproponendo così lo stesso problema che attualmente esiste in NI. Questo ammettendo che la Scozia riesca a diventare indipendente e riesca ad entrare nell’UE.
Secondo me, molte persone, già estenuate da sei anni di BREXIT, dopo il COVID e vedendo cosa sta accadendo in NI (con dinamiche che potrebbero riproporsi anche in Scozia), rifletteranno molto di più sulla possibilità di sostenere l’indipendenza. Anche se i sondaggi più recenti davano gli indipendentisti avanti del 10% circa sugli altri Partiti, quando si arriverà al voto sull’indipendenza (se si arriverà), quelli realmente intenzionati a sostenerla saranno molti di meno, considerando anche la frammentazione interna al fronte. Esiste infatti il fronte di coloro che, a seguito della BREXIT, non vogliono iniziare un nuovo processo politico potenzialmente divisivo come l’indipendenza; altri, invece, temono le conseguenze economiche. A tal proposito, la Scozia potrà anche uscire dal Regno Unito ma è incerto se e a che condizioni potrà rientrare nella UE, la quale se accettasse l’ingresso scozzese si troverebbe in una posizione complessa nei confronti della Catalogna e della Spagna. Infine, resta comunque la preoccupazione per la potenziale erezione di un confine. Quindi, secondo me, se all’inizio si credeva che la BREXIT avrebbe alimentato le spinte indipendentiste in Scozia (che ricordiamo, è una delle regioni più europeiste nel Regno Unito), attualmente e alla luce della vicenda nordirlandese, è probabile che il recesso ridimensionerà sempre di più il consenso verso la realizzazione dell’indipendenza scozzese.
In questo contesto, qual è la posizione di Londra? In effetti, malgrado l’effetto potenzialmente calmierante della BREXIT sulle spinte indipendentiste, nel caso di vittoria alle elezioni dell’SNP, Westminster si ritroverebbe comunque con un grosso problema in casa.
Beh, relativamente. Il problema non si pone tanto per Londra quanto per la Scozia. Londra, ed in particolare Johnson, può sempre negare un referendum poiché ha l’ultima parola in merito. Allo stesso tempo, non credo che Johnson cederà alle pressioni politiche laddove l’SNP dovesse vincere le elezioni. Oltretutto, essendo stato in Scozia, ho avuto esperienza di molte persone che a maggio voteranno l’SNP ma che voterebbero “No” ad un referendum sull’indipendenza, creando tra l’altro una evidente contraddizione di fondo.
Ad ogni modo, secondo me Johnson è in una posizione di forza poiché da un lato, è lui ad avere l’ultima parola; dall’altro, la Sturgeon ha più volte dichiarato di non volere una soluzione “catalana” ovvero esclude la possibilità di indire un referendum senza l’avallo di Londra e, conseguentemente, illegittimo. Quindi, fin quando Johnson dice di no, gli indipendentisti sono messi all’angolo.
L’unica speranza per loro sarebbe quella di vincere una battaglia alla Corte Suprema, quindi ottenere il referendum per via giudiziaria. In linea teorica, le richieste degli indipendentisti sono legittime poiché, malgrado un referendum sull’indipendenza fosse già stato concesso, quello del 2014 si fondava su presupposti totalmente diversi. Malgrado ciò, se Johnson si rifiuta di concedere un nuovo referendum sta poi agli indipendentisti “forzare la mano” facendo scendere i propri sostenitori in piazza, cosa che non sembra tutt’ora essere nelle intenzioni dell’SNP. L’unica via all’indipendenza resta, in conclusione, il ricorso alla Corte Suprema.
Note
[1] {https://www.opiniojuris.it/unioni-che-dividono-il-paradosso-della-brexit/}
[2] {www.qub.ac.uk/sites/post-brexit-governance-ni/ProjectPublications/OpinionPolling/TestingtheTemperature1/}
[3] {La backstop solution per il NI prevede un “meccanismo di consenso”, in virtù del quale le istituzioni nordirlandesi verranno periodicamente chiamate a votare per confermare o ritirare il proprio consenso alle disposizioni in materia commerciale contenute agli artt. 5-10 del Protocollo, fino a quando non verrà trovato un nuovo accordo tra UE-UK per l’area. Per ulteriori info vedi: www.instituteforgovernment.org.uk/explainers/northern-ireland-protocol-consent-mechanism}
[4] {Per ulteriori info vedi: www.opiniojuris.it/unioni-che-dividono-il-paradosso-della-brexit/}
[5] {www.theguardian.com/uk-news/2021/mar/15/ira-brighton-bomber-patrick-magee-scouted-labour-conference-seven-years-earlier}
Foto copertina: I lealisti intraprendono violenti disordini il 2 aprile 2021 a Belfast, nell’Irlanda del Nord CHARLES MCQUILLAN / GETTY IMAGES