La Rebel Governance e il conflitto colombiano


Dallo studio della Prof.ssa Ana Arjona alle conseguenze dell’accordo di pace del 2016: quali scelte per il post-pandemia?


 

La Rebel Governance è uno dei fenomeni più interessanti nell’analisi dei conflitti civili. Lo studio portato avanti da Ana Arjona[1] ci permette di comprendere in che modo i gruppi armati organizzano il loro territorio, evidenziandone l’importanza ai fini dell’analisi sulle radici di un conflitto e, in modo particolare, sulle questioni sociali e relative alla sicurezza di una regione.
L’autrice ha identificato, attraverso uno studio empirico sul campo, alcuni aspetti generali della Rebel Governance ed è riuscita a sistematizzare il tema contestualizzandolo all’interno del conflitto civile colombiano.

In questo articolo, viene illustrata in termini generali la Rebel Governance e gli elementi principali del lavoro dell’autrice in Colombia. Successivamente, si evidenziano le principali problematiche relative all’accordo di pace del 2016 e le implicazioni dovute alla pandemia del Covid-19.
La tesi sostenuta in questo articolo ritiene che la Rebel Governance e lo studio di Arjona possano servire da strumenti di vitale importanza per programmare interventi strutturali nelle aree rurali o potenzialmente permeabili dai gruppi armati.

Cosa si intende per Rebel Governance?

Con Rebel Governance si fa riferimento allo studio dell’organizzazione e amministrazione di un territorio occupato da parte di gruppi armati che prendono parte ad un conflitto. In particolare, con il termine “Rebel” ci si riferisce a qualsiasi gruppo armato che partecipi in modo significativo al conflitto, mentre “Governance” fa riferimento al tipo di amministrazione del territorio occupato, con una condizione necessaria: il territorio deve essere stato messo in sicurezza.

La Rebel Governance è un fattore decisivo per i gruppi armati. Questi ultimi, nel tentativo di amministrare un territorio e persuadere la popolazione locale a collaborare, cercano di rafforzarsi per acquisire quel vantaggio relativo sufficiente a prevalere nel conflitto[2]. Molti leader di gruppi armati del passato, tra i quali Mao e Guevara, hanno più volte sottolineato l’importanza del supporto delle comunità locali per vincere una guerra. Proprio perché l’elemento chiave dell’analisi è il supporto locale, lo studio della Rebel Governance si concentra soprattutto sul rapporto tra i gruppi armati e le comunità locali, analizzando in modo particolare la reazione di queste ultime all’arrivo dei ribelli.

I gruppi armati tendono, in linee generali, ad adattarsi alla comunità con cui interagiscono, lo fanno cercando di emulare il modello dello Stato preesistente oppure tentando una completa immersione nei valori locali, promuovendo una profonda integrazione tra le parti. Restando agli elementi generali, tendenzialmente comuni a tutte le situazioni di Rebel Governance, è possibile identificare due principali strategie di interazione: la Diplomazia Ribelle e il Simbolismo[3].

Nonostante possa apparire come un paradosso, anche i gruppi armati ribelli utilizzano la diplomazia, sia sul piano interno e quindi quando interagiscono con la comunità locale attraverso l’uso della negoziazione, oltre, evidentemente, agli attori con cui sono in conflitto; ma anche sul piano internazionale, quando, ad esempio, riescono a costruire un dialogo con altri attori globali di interesse o con organizzazioni internazionali che giocano un ruolo importante nel conflitto (si pensi al dialogo necessario tra le FARC in Colombia e l’ONU o il Vaticano).

Il Simbolismo è un ulteriore elemento decisivo, come si è visto i gruppi armati tendono ad emulare ed imitare le istituzioni preesistenti, il Simbolismo ne è un chiaro esempio: i gruppi armati tendono a rievocare il Simbolismo statale attraverso l’uso di bandiere, inni o anche addirittura di una propria valuta.
Dopo aver visto gli aspetti generali della Rebel Governance, per comprendere in che modo viene studiata, ci si serve di tre fattori: l’interventismo ribelle negli affari locali; il tipo di istituzioni preesistenti; il livello di resistenza della comunità locale.

Interventismo Ribelle negli affari locali

Una volta messo in sicurezza il territorio occupato, i gruppi armati si trovano dinanzi alla scelta cruciale su come amministrare ed organizzare il territorio. I ribelli possono utilizzare il territorio come una fonte di finanziamenti, attraverso la creazione di vere e proprie “catene di approvvigionamento” o attraverso l’imposizione di sistemi di tassazione locale (si pensi alle catene di produzione della cocaina utilizzate in Colombia dai gruppi armati per i propri finanziamenti).

Una tale decisione è, evidentemente, il frutto di lunghe negoziazioni che dipendono fortemente sul tipo di resistenza che i gruppi armati affrontano una volta messo in sicurezza il territorio. Prima di analizzare le diverse forme di resistenza locale, è necessario comprendere anzitutto i diversi sistemi di amministrazione che i ribelli possono mettere in campo.

In particolare, i ribelli tendono a scegliere per un interventismo più profondo, strutturale e rigido chiamato “Rebelocracy” o per un sistema meno ingombrante, meno restrittivo chiamato “Aliocracy”. Il primo, detto anche “governo dei ribelli”, è un sistema in cui i gruppi armati amministrano ogni singolo aspetto del territorio, dalle questioni politiche, quelle economiche fino ad arrivare a quelle sociali, si tratta di una vera e propria sostituzione totale delle istituzioni preesistenti in cui si evince con chiarezza la predominanza dell’autorità ribelle su quella locale.

Al contrario, il sistema “Aliocracy”, detto anche “legge degli altri”, comporta un’amministrazione parziale se non inesistente sul territorio (limitata cioè ad una pacifica convivenza tra le parti). Un’amministrazione parziale significa che i ribelli si limitano a stabilire alcune norme generiche o piccoli sistemi di tassazione (sostanzialmente contributi), oppure la loro azione consiste nella semplice gestione dell’ordine pubblico[4].

Le istituzioni preesistenti

Per comprendere fino in fondo le ragioni delle diverse forme di resistenza della comunità locale, è necessario essere a conoscenza delle istituzioni che amministravano il territorio in precedenza. Bisogna specificare che per istituzioni non si intendono necessariamente quelle dello Stato, ma anche governi locali sia dell’amministrazione decentrata, sia di altre forme di organizzazione delle comunità (si pensi alle comunità indigene in Colombia di cui si parlerà dopo).

Le istituzioni preesistenti vengono studiate sulla base di aspetti qualitativi: la legittimità che la comunità locale riconosceva alle istituzioni e l’efficienza delle stesse nell’amministrazione del territorio. In relazione alla forza di questi due aspetti, la comunità locale si identifica o meno nelle istituzioni preesistenti e nelle loro norme. Di conseguenza, sulla base dell’analisi degli aspetti elencati, le istituzioni vengono suddivise in due tipologie: low-quality e high-quality.

Le prime evidenziano una chiara mancanza o della legittimità o dell’efficienza mentre le seconde vantano la presenza di entrambi gli aspetti. In base al tipo di istituzioni preesistenti e al rapporto di queste con la comunità locale, si avrà una forma di reazione diversa all’arrivo dei gruppi armati[5].

 

Le forme di resistenza

La reazione delle comunità locali e le forme di resistenza che vengono messe in campo, sono gli elementi essenziali della Rebel Governance, nonché gli aspetti decisivi per i gruppi armati nell’ottica di acquisire un vantaggio relativo importante. In base al tipo di resistenza che i gruppi armati affrontano o temono di affrontare, è necessario adattarsi scegliendo la strategia migliore e più consona. Sia in un sistema di amministrazione di tipo Aliocracy, sia in un sistema di tipo Rebelocracy, i gruppi armati possono trovarsi di fronte ad una resistenza “parziale”.

Questo tipo di resistenza si presenta in una forma lieve, limitata alla messa in campo di proteste pacifiche o di semplici osservazioni critiche su una singola norma o decisione. La resistenza parziale può essere sia collettiva sia individuale e può essere risolta, rapidamente ed efficacemente, attraverso strumenti di “micro-negoziazione”, evitando eventuali situazioni di conflitto più acuto e mantenendo ordine ed equilibrio.

A differenza della resistenza parziale, una forma di resistenza “totale” può verificarsi solo in un sistema di tipo Rebelocracy con delle istituzioni preesistenti “High-Quality”. In questo specifico contesto, la comunità locale chiede al gruppo armato di lasciare il territorio, anche ricorrendo all’uso della forza. Si tratta di una situazione molto complessa in cui i ribelli possono scegliere tra diverse opzioni: affrontare la comunità, anche militarmente se necessario; negoziare; proporre il passaggio ad un sistema Aliocracy, lasciando quindi l’amministrazione ad altri (si tratta di una strategia decisamente perdente per i ribelli, comporterebbe una netta perdita di potere e, soprattutto, dei finanziamenti necessari).

La complessità dello scenario appena descritto, deriva anche dalla perenne ossessione, comune a quasi tutti i gruppi armati, nel voler mantenere quanto più possibile un sistema di tipo Rebelocracy, è chiaro che i gruppi armati sono consapevoli dell’importanza strategica della Rebel Governance. Per questa ragione, è molto frequente il passaggio all’uso della forza tra le comunità locali e i ribelli in presenza di sistemi Rebelocracy con istituzioni preesistenti High-Quality. Al contrario, nei casi di resistenza parziale, i gruppi armati tendono più facilmente a cedere alle micro-negoziazioni[6].

Il caso colombiano: il contesto dei gruppi armati

In Colombia, la più lunga guerra civile della storia (dal 1964)[7], affligge il paese senza sosta, nonostante i numerosi tentativi volti a promuovere una pace stabile e duratura[8].

Nel paese andino, sono coinvolti nel conflitto civile numerosi attori non-statali, tra i quali, i principali sono due gruppi armati di sinistra (le FARC e l’ELN) e diversi gruppi paramilitari di destra, sorti in contrapposizione ai primi. Sebbene l’accordo di pace del 2016 e il successivo processo di DDR (disarmament, demobilization and reintegration) delle FARC dai territori occupati stiano portando i primi frutti, tra mille difficoltà, i dissidenti del principale gruppo armato ribelle colombiano continuano a mantenere vivo il conflitto (passato ad una fase low-intensity), usando le stesse tattiche repressive e violente predilette in precedenza. Parallelamente, sin dalla sigla dell’accordo di pace, l’altro gruppo armato, l’ELN, si è rafforzato in modo evidente soprattutto nella parte orientale del paese.

La Pandemia del Covid-19, dopo un’apparente tregua, ha permesso all’ELN di acquisire un vantaggio decisivo soprattutto al confine con il Venezuela dove, a causa della chiusura delle frontiere durante la prima fase della Pandemia, i ribelli gestivano il traffico illegale dei migranti, anche attraverso atti violenti in netta violazione dei diritti umani (stupri, rapimenti, estorsioni ed omicidi di esponenti di primo piano della società civile)[9]. I gruppi armati colombiani appaiono diversi, in contrasto l’uno con l’altro, ma se questo è parzialmente vero sul piano ideologico, lo è meno sul piano tecnico[10].

Tutti i gruppi armati colombiani, di destra e di sinistra, si sono serviti dei finanziamenti locali, principalmente della cocaina, per fornirsi delle risorse necessarie a combattere. Tutti i gruppi armati hanno tendenzialmente privilegiato tattiche di guerrilla e atti violenti quali stupri, rapimenti o assassini[11]. Infatti, anche nell’analisi della Rebel Governance in Colombia, nonostante l’eterogeneità del territorio, non sarà necessario evidenziare grosse differenze tra i gruppi armati.

Rebel Governance in Colombia

In Colombia sono presenti, per la maggior parte, sistemi di tipo Rebelocracy, sebbene con una forte varietà e complessità. Nei pochi sistemi Aliocracy colombiani, i gruppi armati hanno stabilito alcune regole di ordine pubblico generali, quali il divieto di furto o il divieto di stupro, oltre a dei sistemi contributivi lievi, relativi soprattutto alla fornitura di beni di prima necessità.

La complessità e la varietà dei sistemi Rebelocracy permettono, tuttavia, di tracciare alcuni elementi comuni. In tutti questi contesti, a differenza di quanto detto sopra sull’impianto generale della Rebel Governance, i gruppi armati tendono a non sostituirsi alle amministrazioni locali, preferiscono creare dei sistemi di governance paralleli[12]. In particolare, si evince con chiarezza che l’obiettivo dei ribelli non è quello di amministrare direttamente i territori, ma quello di influenzarli nelle decisioni strategiche, sia sul piano politico che su quello economico (ad esempio nella distribuzione dei beni).

I ribelli creano sistemi di giustizia paralleli, catene di produzione della cocaina per finanziarsi e promuovono campagne di “Social Cleansing” per eradicare la criminalità, una strategia volta a guadagnare e rafforzare il supporto locale. L’unica eccezione a questa tendenza generale è individuabile nei contesti in cui viene stabilito un sistema Rebelocracy ma con istituzioni preesistenti Low-Quality, in questo caso, trovandosi in presenza di un vero e proprio vuoto amministrativo, i ribelli assumono totalmente il controllo della gestione del territorio. Da quanto detto finora, emerge con chiarezza la particolarità del caso colombiano.

Il paese andino, infatti, rappresenta una peculiarità nell’analisi della Rebel Governance. Le comunità locali con cui i ribelli interagiscono, molto spesso si presentano con istituzioni preesistenti non statali, di solito amministrazioni locali decentrate con chiare caratteristiche Low-Quality, oppure comunità locali afro-colombiane o indigene (istituzioni preesistenti governative High-Quality sono meno presenti in Colombia). I gruppi armati in Colombia incontrano molte difficoltà a stabilire sistemi Rebelocracy puri, per questo motivo tendono a privilegiare strategie di amministrazione parallela, come si è visto prima.

Per questo motivo, è anche raro identificare casi di Resistenza totale nel paese andino, tranne in quei contesti dove i gruppi armati cercano di imporre Rebelocracy perché il territorio è di fondamentale interesse strategico. Se è vero che la maggior parte delle istituzioni preesistenti in Colombia vengono individuate nella categoria Low-Quality, vi sono alcune eccezioni, un caso molto particolare è quello del dipartimento del Cauca, dove la maggior parte delle istituzioni preesistenti è di tipo High-Quality a causa della forte presenza indigena[13]. Durante gli anni 2000 questo dipartimento era diventato una zona chiave per la risoluzione del conflitto, soprattutto per le FARC. Per tale motivo, queste ultime hanno cercato più volte di imporre passaggi a sistemi Rebelocracy puri, nonostante la presenza di una forte resistenza locale.

Nel dipartimento del Cauca, le comunità indigene locali sono riuscite, più volte, a respingere i tentativi di imposizione delle FARC, a volte costringendole a lasciare la regione, a volte attraverso negoziazioni che hanno stabilito sistemi di Aliocracy. In pochi casi le parti sono arrivate all’uso della forza, nonostante l’importanza strategica della regione. Proprio a causa delle difficoltà incontrate nei rapporti con le comunità locali, le FARC non hanno potuto godere del vantaggio decisivo che il controllo del Cauca avrebbe comportato[14].

Uno studio fondamentale per le policies

Uno dei più grandi problemi relativi alla gestione del conflitto da parte del governo colombiano, è stato l’approccio adottato. La Colombia è, senza dubbio, un paese con uno scenario interno molto complesso, le enormi difficoltà nella guerra al narcotraffico e nella lotta alle milizie urbane nelle grandi metropoli (soprattutto Medellìn), non vanno lette come separate dalla guerra civile con le FARC e l’ELN. Lo studio di Arjona, appena illustrato, sull’organizzazione del territorio occupato da parte dei gruppi armati e del loro rapporto con le comunità locali, fornisce degli spunti di riflessione molto interessanti sul piano delle policies da adottare. In particolare, ci permette di analizzare alcune problematiche relative alle difficoltà riscontrate sia dal governo, sia dalle organizzazioni internazionali, nel compimento dell’accordo di pace del 2016. Se si guarda agli ultimi sviluppi storici del conflitto, precedenti all’accordo di pace del 2016 e ai primi tentativi di dialogo del 2012, il conflitto sembrava andare nella direzione di una chiara e progressiva sconfitta delle FARC, ormai decimate.

Quest’ultimo elemento, viene spesso considerato come un fattore decisivo per l’avvio delle successive negoziazioni con il governo[15]. Eppure, è proprio nelle ragioni dell’arretramento delle FARC che va individuato il non completo raggiungimento degli obiettivi dell’accordo di pace. L’approccio estremamente securitario e coercitivo, adottato dal governo di Uribe durante gli anni 2000, parallelamente al Plan Colombia che diede un contributo decisivo alla lotta al narcotraffico in quegli anni, riuscì ad ottenere ottimi risultati sul piano militare. Come si è detto, le FARC furono decimate e il governo sembrava poter contare su un netto vantaggio tecnologico e logistico. Allo stesso tempo, vi fu un intensificarsi delle attività ribelli nelle coste del Pacifico e al confine con il Venezuela[16] (un preludio della situazione attuale). Se, però, i risultati militari furono notevoli, gli interventi strutturali sul piano sociale ed economico, furono inefficaci. In questa mancanza di un piano strutturale di intervento nelle zone occupate, vanno individuate alcune delle ragioni del parziale fallimento dell’accordo di pace. Da un lato, molti ex combattenti delle FARC non hanno smesso di combattere, manifestando un vivo dissenso verso l’evoluzione politica successiva all’accordo di pace, al punto da formare un vero e proprio gruppo ribelle interno alle FARC, il quale ha ripreso le ostilità. Dall’altro, l’ELN non ha mai smesso di combattere, acquisendo, ai giorni nostri, un ruolo predominante nello scacchiere del conflitto. Il processo di DDR guidato dalle Nazioni Unite è riuscito a disarmare e smobilitare molti combattenti, ma non è riuscito ancora a raggiungere in modo convincente lo step finale, quello della reintegrazione.
L’analisi della Rebel Governance in Colombia ci fornisce uno scenario preoccupante per il governo centrale. Come Arjona ha evidenziato, in Colombia le istituzioni preesistenti governative High-Quality, sono diffuse solo in alcune aree, nel resto del paese sono presenti comunità locali con una forte solidità propria.

Il governo centrale necessita di un lavoro maggiore sul piano strutturale nelle aree rurali del paese. Approcci meno securitari e volti soprattutto alla costruzione di una forte presenza statale, spingerebbero le comunità locali ad opporre una resistenza più dura all’arrivo dei gruppi armati, mettendo seriamente in difficoltà le capacità logistiche degli stessi. Un interesse maggiore verso le questioni relative alle popolazioni afro colombiane ed indigene, promuoverebbe un dialogo maggiore tra il governo centrale e tali comunità, permettendo un ulteriore rafforzamento dello Stato nelle regioni di importanza strategica.

La sfida del post-pandemia

Come si è già visto, la pandemia non ha fermato le ostilità. L’ELN si è rafforzato, soprattutto al confine con il Venezuela, traendo vantaggio dalla chiusura delle frontiere e usando le rotte migratorie tra i due paesi come una fonte di finanziamento e di sfruttamento. Il governo colombiano sta reagendo con tattiche repressive e coercitive, sulla linea, continuativa, dell’approccio securitario vincente di Uribe.

Il confine con il Venezuela rappresenta la sfida principale per il post-pandemia, la presenza dei gruppi armati nella regione è consistente ed è necessario dare una svolta. Un primo passo è sicuramente quello di riallacciare i rapporti con il vicino Venezuela, le relazioni diplomatiche tra i due paesi sono un elemento imprescindibile per poter combattere efficacemente e strutturalmente il problema (che riguarda anche il lato venezuelano della frontiera). Oltre a riaprire la frontiera e a costruire un dialogo importante con il vicino, i due paesi devono necessariamente affrontare la questione migratoria come un tema sociale ed economico oltre che di sicurezza.


Note

[1] Ana Arjona è Professore Associato presso il Dipartimento di Scienze Politiche della Northwestern University. È stata direttrice del Centro per lo studio della sicurezza e della droga presso la Los Andes University di Bogotà, in Colombia nel 2018-2019, dove ora è ricercatrice associata. https://polisci.northwestern.edu/people/core-faculty/ana-arjona.html
[2] ARJONA A., KASFIR N., MAMPILLY Z., Introduction, in “Rebel Governance in Civil War”, Cambridge University Press, 2015, pp. 1-6.
[3] ARJONA A., KASFIR N., MAMPILLY Z., Introduction, cit. pp. 7-11.
[4] ARJONA A., Civilian Resistance in Rebel Governance, in “Rebel Governance in Civil War”, Cambridge University Press, 2015, pp. 182-183.
[5] ARJONA A., Civilian Resistance in Rebel Governance, cit. p. 183.
[6] ARJONA A., Civilian Resistance in Rebel Governance, cit. pp. 183-188.
[7] ARJONA A., Civilian Resistance in Rebel Governance, cit. p. 188.
[8] FELTER C., RENWICK D., Colombia’s Civil Conflict, Council on Foreign Relations, 11 Gennaio 2017, pp. 1-2.
[9] International Crisis Group, Disorder on the Border: keeping the peace between Colombia and Venezuela, Latin America Report n. 84, 14 Dicembre 2020, pp. 11-13.
[10] FELTER C., RENWICK D., Colombia’s Civil Conflict, Council on Foreign Relations, cit. p. 2.
[11] FELTER C., RENWICK D., Colombia’s Civil Conflict, Council on Foreign Relations, cit. pp. 3-4.
[12] ARJONA A., Civilian Resistance in Rebel Governance, cit. pp. 189-190.
[13] ARJONA A., Civilian Resistance in Rebel Governance, cit. pp. 191-194.
[14] ARJONA A., Civilian Resistance in Rebel Governance, cit. pp. 195-196.
[15] [15] FELTER C., RENWICK D., Colombia’s Civil Conflict, Council on Foreign Relations, cit. pp. 5-6.
[16] ARJONA A., Civilian Resistance in Rebel Governance, cit. p. 188.


Foto copertina: Federico Rios Escobar per The New York Times

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