Gioconda Belli, ex guerrigliera sandinista ed autrice de “La donna abitata” riflette sulla situazione politica del suo paese e della sinistra latinoamericana poco prima di essere resa apolide dal presidente Ortega insieme ad altri 93 oppositori.
Espulsioni di massa
Nell’ultima settimana, più di 300 persone sono state private della cittadinanza dal governo nicaraguense nell’ambito di due provvedimenti punitivi immediatamente resi esecutivi. Tutto è cominciato col rilascio di 222 prigionieri politici considerati oppositori, caricati su tre bus e trasferiti negli Stati Uniti in seguito alle trattative portate avanti dalla vicepresidentessa e moglie del presidente Daniel Ortega, Rosario Murillo. Sei giorni dopo, il governo di Managua ha reso di fatto apolidi anche 94 fra intellettuali e attivisti dichiarati traditori della patria[1].
Si tratta di una grave violazione dei diritti umani che non trova precedenti nella storia recente del continente. L’ultimo caso risale al brutale regime di Augusto Pinochet e colpì 9 dissidenti. La ben più vasta portata dell’operazione conclusa da Ortega ha naturalmente suscitato l’attenzione dell’UNHCR: l’agenzia ha diramato una dichiarazione in cui invita Managua ad adeguarsi agli impegni sottoscritti tramite la Convenzione sullo stato degli apolidi del 1954 e quella del 1961 riguardante la riduzione dello status di apolidia[2].
Fra i 94 dissidenti colpiti dal secondo provvedimento, il premio Cervantes per la letteratura 2017 Sergio Ramírez, il vescovo cattolico Sergio Báez, l’ex leader sandinista Luis Carrión, attivisti per i diritti umani, giornalisti di fama internazionale e, infine, la scrittrice Gioconda Belli. Raggiunta al telefono dal New York Times, Belli non si è detta del tutto sorpresa e ha denunciato l’impossibilità di fare ricorso rispetto alla decisione del governo, considerando il Nicaragua uno stato privo di legge. I soggetti coinvolti nella sua stessa lista sono in contatto fra loro e con l’ambasciata spagnola, la quale ha offerto loro un canale agevolato per l’ottenimento di cittadinanza.
Mentre Gioconda Belli, l’autrice de La donna abitata (Acquista qui), ha la possibilità di far valere la propria cittadinanza italiana, riconosciutale per discendenza, gli altri dissidenti hanno perso un diritto fondamentale.
Non si tratta solo di una difficoltà burocratica che impedisce, ad esempio, di viaggiare. Dalla privazione dello status di cittadino possono scaturire: la legittimazione di una persecuzione politica, essendo gli apolidi esposti alla possibilità di detenzione arbitraria, di coercizione da parte dell’autorità nazionale sul cui suolo risiedono, la privazione dell’accesso ai servizi, alla sicurezza sociale[3].
La portata di una tale misura adottata contro centinaia di cittadini e personalità intellettuali, religiose e politiche di alto profilo, racconta la torsione sempre più autoritaria del regime dei coniugi Ortega-Murillo, il quale ancora agisce sotto i simboli di quel sandinismo rivoluzionario che nel 1979 rovesciò la sanguinosa dittatura dei Somoza per liberare il paese dalla morsa dell’imperialismo e della repressione
Il Nicaragua attraverso lo sguardo di Gioconda
Solo un mese prima del provvedimento punitivo di Ortega, Gioconda Belli aveva rilasciato un’intervista alla rivista Nueva Sociedad piena di riflessioni che aiutano a comprendere la complessa situazione politica di Managua inserita nel dibattito interno alla sinistra latinoamericana. È un punto di vista eletto, quello della scrittrice, non solo per la profondità delle analisi che scaturiscono dalla sua raffinata sensibilità letteraria, ma anche per l’esperienza politica entro cui la stessa si è formata. In quanto ex militante che imbracciò le armi contro la dittatura dei Somoza, Belli ha assistito alla trasformazione di un universo di significati cui aveva deciso di votare la vita, quello sandinista, in un autoritarismo nemico e che l’ha ricacciata come un corpo estraneo, costringendola ad un secondo esilio[4].
L’intervista a Gioconda Belli[5]
Gioconda Belli come sta vivendo l’esperienza dell’esilio?
Quello che è successo in Nicaragua dopo la ribellione popolare del 2018 [proteste che ebbero origine dalla riforma della previdenza sociale, represse nel sangue con decine di morti e centinaia di arresti[6]] ha messo a confronto molti di noi con una sensazione di irrealtà. Per me già era irreale vedere i simboli del sandinismo e della rivoluzione usati come accessori decorativi. Rosario [Murillo] ha risignificato il sandinismo e o ha vestito di colori psichedelici, rivoltandolo, imprimendogli un carattere decorativo e religioso per riprendere il potere nel 2007. Daniel [Ortega] si è rivelato un lupo vestito da pecora. Erano riusciti ad ingannare una parte del popolo però, nel 2018, dinnanzi alla minima provocazione, reagirono con tale violenza che essi stessi generarono un movimento di rifiuto che li fece traballare. Da allora, per salvaguardare il loro potere, hanno fatto ricorso senza scrupolo a ogni mezzo di repressione possibile, senza curarsi della giustizia, del paese o dell’ opinione pubblica internazionale.
Per me, questo esilio è il prolungamento di quella sensazione di irrealtà creata dalla circostanza che vede il mio paese, per cui tanti morirono e in molti impegnammo la nostra gioventù, finito nelle mani di due persone senz’anima. C’è un istinto che non vorrebbe credere a quel che sta succedendo: l’esilio ha questa stessa caratterizzazione di irrealtà.
Com’è essere esiliati a 72 anni, quando aveva scelto di restare per sempre in Nicaragua?
Quando dovetti lasciare il Nicaragua per la prima volta, nel 1975, avevo due figlie, che fui costretta ad affidare ai miei genitori. Lavoravo in un’agenzia pubblicitaria di giorno, però la mia vita era strutturata in funzione del paese che avevo lasciato, di preparare la lotta contro i Somoza. C’era un senso epico, un proposito chiaro nella mia vita lontana dalla mia terra. Adesso è diverso, perché non sento che a questa fase corrisponda una nuova lotta contro la dittatura; per quanto non smetta di essere coinvolta, adesso spetta ai giovani. Io continuo a lottare, ma da un’altra posizione. E questa volta la lotta è più dura, perché i metodi repressivi sono più sofisticati, le bugie del regime e le sue azioni hanno frammentato l’opposizione. Adesso non c’è un’organizzazione di base e, scegliendo una lotta civica, è molto difficile competere con un esercito disposto ad ammazzare per difendere Ortega e i capitali coi quali ha corrotto i suoi uomini. La minaccia di questa repressione che uccide senza alcun tipo di selezione è quello che sostiene il potere. È atroce.
L’esilio attuale è legato alla sua critica crescente rispetto al regime di Ortega. Cosa le racconta chi è rimasto in Nicaragua e come immagina che possa evolvere la situazione nazionale?
In Nicaragua regna la paura. Chi è al governo è atterrito dall’idea di perdere il potere. La loro libertà dipende dal fatto che nessuno, oltre loro, sia libero. Questo cammino è più un abisso che può condurre solo all’affondamento del senso dell’indipendenza cittadina, alla corruzione dello Stato e del suo personale a tutti i livelli, che si impoverisca e scompaia l’idea di futuro. Ortega e Murillo sono malati di paura. Non possono governare più. Questo farà sì che si gettino fra le braccia di chi proteggerà la loro impunità e che il paese sia sfruttato dal miglior offerente.
Il Nicaragua continuerà ad esistere, però questa dittatura sta uccidendo la specificità di questo popolo: il suo coraggio, la sua allegria, la sua energia. Sarà un paese castrato. Stiamo vivendo qualcosa di simile a quello che il Terrore fu per la Rivoluzione francese, combinato con una restaurazione della monarchia, perché la coppia presidenziale e la loro famiglia si comportano come una famiglia reale medievale. È questa situazione, però a generarne la distruzione. La Storia lo insegna. Loro passeranno. Servirà tempo per guarire e ricostruire.
Lei è stata molto critica rispetto al Venezuela, a Cuba, al Nicaragua di Ortega, però ha dichiarato che le suscita speranza il processo cominciato con Gabriel Boric in Cile ed era a Santiago al suo giuramento. Che tipo di sinistra vede nel progetto di Boric che la entusiasma? Il recente rifiuto espresso dal popolo rispetto alla nuova Costituzione, sostitutiva di quella di Pinochet, che presentava l’elevazione al rango costituzionale di numerosi nuovi diritti può leggersi come un limite dei progetti progressisti?
Per quanto ci piaccia credere che le personalità dei singoli non impattino sul risultato politico, penso che la realtà abbia dimostrato il contrario. Boric, come persona, ha dimostrato impegno rispetto alla democrazia e ai diritti umani. Le sue critiche a Maduro ed Ortega, dalla parte dei diritti e della sinistra, sono state importantissime e si sono smarcate da quella presunta e fallace “lealtà” e soprattutto dalla cecità della sinistra rispetto a se stessa. Non credo abbia trascurato le carenze e il volontarismo di alcune proposte, ma che abbia altresì rispettato il consenso, il lavoro del collettivo che aveva portato come suo risultato il progetto costituzionale e che si sia fatto carico di questo fallimento inziale, proprio come avrebbe fatto in caso di trionfo. Mi sembra un uomo rispettabile, trasparente, non sedotto dai giochi di potere La domanda è se i popoli sono pronti per un dirigente di tale caratura, se non finiranno per rimproverargli di essere “politico”, nell’accezione usata come negativa di questa parola. È paradossale.
Ne Il paese sotto la pelle ha scritto sulla memoria politica della sua generazione, l’allegria della lotta collettiva, il sentimento di un “noi” che supera l’individuale, l’euforia emozionata del trionfo, seguita dal disincanto e dalla rottura. Il libro fu pubblicato nel 2001, appena dieci anni dopo l’inizio della fine del progetto sandinista. Come fu il processo intimo di questa rottura? Fu chiaro dall’inizio o ci furono momenti di contraddizioni, di dubbio, di timore di star facendo in qualche modo “il gioco della destra”, per esempio, come si diceva prima?
Odio la declassificazione implicita di quel “fare il gioco della destra”, perché così si è soliti qualificare chi non si mostra compiacente rispetto ai dirigenti “rivoluzionari”. Sono specchietti per le allodole della propaganda, accuse facili che cercano la denigrazione del messaggero, la rimozione del suo prestigio, senza rispondere al messaggio.
Credo che, nel fronte sandinista, il caso di Daniel Ortega, fu trattato con molta leggerezza. Conoscevano i suoi difetti, ma non li affrontarono con coraggio. Un mistero per chi come me assisteva a questo processo, ma non aveva l’autorità per agire. I dirigenti sì, avevano autorità, ma non ne hanno fatto buon uso. Hanno creduto nella presunta popolarità di Ortega, nonostante fosse stato sconfitto alle elezioni del 1990. Avrebbero potuto riprendere in mano le redini del Fronte Sandinista, però si affezionarono o chissà, furono sopraffatti dalle dispute intestine per il potere. Ortega è riuscito ad imporsi perché non ha scrupoli.
Come si relaziona col suo passato affinché la revisione critica dell’esperienza rivoluzionaria non diventi accettazione dei limiti del possibile? Che cosa le dice oggi la parola “utopia”?
A questo punto della mia vita, credo che bisogni accettare i limiti del possibile. Accettare che certi processi di cambiamento debbano tenere in conto la realtà di quel che esiste, in senso psicologico e culturale. Pensare che ottenere il potere sia il passaggio per giungere all’utopia è immaturo. La compassione e l’empatia devono prodigarsi verso l’insieme della popolazione e cercare in tutti i processi di cambiamento un concetto di gradualità.
L’approccio strettamente economicista si dimostra, ancora una volta, fallace.
Credere che la giustizia sociale possa farsi con la forza allontana la realizzazione di quest’obiettivo.
Ne Il paese delle donne lei ha immaginato una società governata dalle donne. Continua a pensare che se il potere politico venisse esercitato dalla prospettiva femminile dell’empatia e della cura verso gli altri il mondo sarebbe un posto migliore?
Sì, continuo a pensarlo.
Note
[1] https://www.avvenire.it/mondo/pagine/nicaragua-il-vescovo-di-matagalpa-alvarez-sceglie-processo-e-prigione#:~:text=Monsignor%20Rolando%20%C3%81lvarez%2C%20il%20vescovo,Murillo%2C%20e%20deportati%20negli%20Usa.
[2] https://www.unhcr.org/news/press/2023/2/63ef9d4a4/statement-unhcr-arbitrary-deprivation-nationality-nicaragua.html
[3] https://www.unhcr.org/it/wp-content/uploads/sites/97/2020/07/Scheda_Apolidia.pdf
[4] https://it.wikipedia.org/wiki/Gioconda_Belli Gioconda Belli
[5] https://www.nuso.org/articulo/302-lejos-de-una-nicaragua-irreal/
[6] https://www.hrw.org/news/2018/04/27/nicaragua-protests-leave-deadly-toll
Foto copertina: Gioconda Belli