Artico, ultima frontiera!


L’Urss e la Russia hanno sempre guardato all’Artico quale strategico e incontaminato “giardino di casa” ma la guerra in Ucraina ha cambiato qualcosa?


Di Martina Maddaluno e Andrea Minervini

Introduzione: ghiaccio “rosso”

La grande “partita a scacchi” che fu la Guerra fredda vide impegnati i due blocchi (l’Unione Sovietica e gli Stati Uniti d’America), in una moltitudine di teatri politici e militari diversi su tutto il globo: dalle sabbie africane e mediorientali sino alle foreste tropicali del sud est asiatico e del sud America, dallo spazio al Circolo Polare Artico. Tra i tanti scenari, proprio quest’ultimo fu da sempre considerato di vitale importanza per l’Urss prima e per la Russia poi. Tra le tante motivazioni, quella che le batte è di natura geostrategica, prima ancora che geopolitica. La Russia è la più grande nazione di “terra” del pianeta e come tale, in accordo con le parole dello studioso e geografo Kaplan, ha sempre vissuto una forte insicurezza nei riguardi della difesa del suo territorio e con la paura latente dell’isolamento. Nonostante sia la potenza terrestre più estesa al mondo il suo sbocco primario sul mare è a nord, e risulta essere accessibile solo per pochi mesi all’anno, quando non è bloccato dal ghiaccio artico[1].
Le potenze terrestri sono perennemente insicure, come ha lasciato intendere Mahan. Senza mari a proteggerle, sono sempre insoddisfatte e devono continuare ad espandersi o essere conquistate a loro volta. Questo è particolarmente vero per i russi, la cui distesa piatta è quasi priva di confini naturali e offre poca protezione.
La paura della Russia dei nemici terrestri è uno dei temi principali di Mackinder.[2]
Questo, fu ampiamente dimostrato dall’onnipresente ricerca da parte della Russia imperiale, sovietica e anche federale, dello sbocco sui mari caldi (principalmente il Mediterraneo). Fra i tanti oppositori che la storia ha posto sul cammino intrapreso per raggiungere questo obiettivo, Mosca si ritrova a dover far i conti con la NATO. Uno dei principali compiti dell’Alleanza Atlantica è proprio quello di impedire una particolare presenza ed ingerenza russa soprattutto nel Mediterraneo[3]. Dunque, in questo quadro di “accerchiamento terrestre”, meglio definito, in seguito, come conteinment (strategia “teorizzata” dal diplomatico Kennan negli anni Quaranta[4]), l’unico vitale sbocco marittimo è sempre stato l’impervio Mare Artico, che la Russia, in tutte le sue accezioni politiche, imparò a sfruttare e a difendere strenuamente.

La rotta marittima attraverso il Mare Artico, conosciuta come Northern Sea Route[6], fu di cruciale e vitale importanza per la Russia. Accessibile (sino all’avvento delle grandi navi rompighiaccio e degli effetti del riscaldamento globale) per soli due mesi all’anno, era più veloce di altre lunghe rotte marittime e un collegamento marittimo diretto con il “vecchio continente” estremamente prezioso[7].

Il Circolo Polare Artico, però, vista la sua vicinanza al territorio russo e grazie alla sua natura impervia che lo rende, ancora oggi, una terra “vergine”, acquistò rapidamente una forte importanza geopolitica e militare per la Russia. Soprattutto durante il periodo sovietico vennero costruite molte basi militari tra le nevi (allora perenni) e le immagini dei sottomarini nucleari della Flotta del Nord tra i grandi banchi di ghiaccio artici sono forse tra le più iconiche nell’immaginario comune, tanto da diventare anche francobolli di propaganda sovietica.
Questo è stato particolarmente vero durante il periodo della Guerra Fredda come ai giorni nostri e ha palesato, tra le righe della politica di potenza russa nell’artico, il fatto che per il Cremlino quello spazio non solo è un importante hub strategico, ma anche uno snodo vitale, forse più di altri che da sempre sono sotto i riflettori del mondo internazionale.
“La differenza tra i tempi della Guerra Fredda e i nostri, è che allora, negli anni Settanta, l’Artico era il luogo della contesa, oggi è l’oggetto del contendere, quindi più pericoloso. La militarizzazione russa non è solo in chiave anti-Nato, ma è a difesa della ricchezza. L’Artico per la Russia è una polizza sulla vita”[9] 

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I driver della politica russa nell’Artico

Sicurezza energetica e competizione militare. Sono le due parole chiave che aiutano a capire il movente dell’interesse geostrategico russo per il Grande Nord, quella fascia di terra che si è abituati a pensare come «an uninhabited, romanticized land of outside adventurers and ice»[10]. La verità, però, è che quest’immensa distesa di neve che salta alla mente pensando all’Artico, oltre ad essere solo una parte dell’intera regione composta da ben otto Stati ovviamente abitati, di cui alcuni parte dell’Unione europea, altri parte della NATO ed altri ancora parte di entrambe le organizzazioni, nasconde un tesoro di cui la Russia e le altre potenze regionali ed internazionali conoscono accuratamente il valore.
L’Artico per molti versi è l’ultimo tra i mercati emergenti del mondo, sostiene il professore e direttore del programma di studi marittimi alla Fletcher School della Tufts University, Rockford Weitz[11]. L’interesse verso la regione è aumentato circa 15 anni fa, quando il ghiaccio marino ha cominciato a sciogliersi. Si tratta di due fattori inversamente proporzionali: l’uno cresce e l’altro diminuisce a causa del surriscaldamento globale che facilita l’accesso alle riserve di idrocarburi che la regione conserva. Secondo lo U.S. Geological Service (USGS[12]), infatti, oltre il 30% delle rimanenti risorse mondiali di gas naturale sotterraneo ed oltre il 13% delle residue risorse petrolifere conosciute[13] risiede nell’Artico. Di queste, sembra che il 60-90% (prendendo in considerazione rispettivamente fonti statunitensi e russe[14]) si trovi sotto giurisdizione russa. La percentuale aumenterebbe qualora ci spostassimo a 350 miglia nautiche dalla costa russa, dove i giacimenti diventano più che consistenti. Tuttavia, si ricordi che il confine marittimo è di 200 miglia nautiche. Se, però, la Russia riuscisse a convincere il Comitato delle Nazioni Unite sui limiti della piattaforma continentale (CLCS) che le dorsali Lomonosov e Mendeleev sono un’estensione della piattaforma continentale siberiana, allora potrebbe rivendicarli sulla base delle disposizioni della Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare (UNCLOS[15]). Ma qual è la ragione specifica che spinge la Russia a volersi appropriare di quest’immensità di riserve di idrocarburi? Aprendo addirittura le porte ad investimenti stranieri poiché essa non ha le competenze tecnologiche per entrarne in possesso autonomamente?  Non è di certo solo “fame” di energia. Sicuramente, l’importanza del petrolio e del gas nelle ambizioni artiche è stata evidenziata sin dal 2006 come parte dell’agenda del Cremlino per raggiungere il ruolo di superpotenza energetica[16], di quelle capaci di rendere gli amici ma soprattutto i nemici internazionali da essa dipendenti ed in grado di assicurare prosperità e stabilità interna al Paese. Ciononostante, il desiderio di Mosca va ben oltre ciò. Essa mira a mantenere una posizione di leadership mondiale anche, e soprattutto, a livello militare. Farlo non è compito da poco e, poiché le fonti di reddito principali della Russia, cioè i giacimenti di petrolio e gas finora abbondanti in Siberia, secondo il Ministero dell’Energia[17], si stanno lentamente ma inevitabilmente esaurendo, il governo russo ha rivolto il suo sguardo verso nord per continuare a finanziare il potenziamento militare intrapreso post 2008 sotto la guida del Ministro della Difesa Anatoly Serdyukov.
Un tale processo di ammodernamento interessa anche la Flotta del Nord presente nella regione artica, in particolare a ridosso della penisola di Kola. Si tratta di aerei da trasporto missilistico e antisommergibile, di navi missilistiche, porta-aerei e antisommergibili, e soprattutto di sottomarini missilistici e siluranti a propulsione nucleare che garantiscono alla Marina russa capacità di secondo colpo[18]. Quanto detto porta a soffermarsi anche sull’obiettivo numero due che la Russia consegue nel Grande Nord, un obiettivo più strategico anziché prettamente militare: preservare la sua credibilità in materia di deterrenza nucleare. Sì, ancora una volta il discorso di voler bilanciare le forze USA/NATO sembrerebbe essere un mero movente. Soprattutto se si pensa che Finlandia e Svezia – Paesi artici – hanno formalizzato la loro richiesta di adesione nell’Alleanza Atlantica. Infine, correlato a quest’interesse, ve n’è un altro sempre di natura geo-strategica: proteggere la sua capacità di operare nel Mare di Barents, nel Mare di Norvegia e nell’Oceano Atlantico poiché in caso di conflitto con la NATO, l’accesso a queste aree da parte della Flotta del Nord potrebbe essere decisivo nel far pendere l’esito finale a suo favore.
Quanto detto corrisponde alla militarizzazione della parte centro-occidentale che il Cremlino ha intrapreso nell’Artico. Tuttavia, esso ha agito in modo analogo anche nel distretto militare orientale della regione: nei pressi dello stretto di Bering ha – ovviamente – installato numerose stazioni radar e di controllo così da fornire al governo russo una vigilanza attenta e permanente sugli spostamenti aereo marittimi di quella zona, unitamente a basi aeree e di soccorso. Tuttavia, questa esasperata militarizzazione nell’Artico – le postazioni militari riaperte dopo l’epoca sovietica sono oltre 50[19] – è diventata anche una militarizzazione per l’Artico, infatti, almeno una parte delle esercitazioni russe nell’area si è concentrata sulla protezione della Northern Sea Route. Il governo russo spera che l’industria marittima internazionale possa sempre più vedere il vantaggio di risparmiare fino a quasi 4.000 miglia nautiche e due settimane di vita in un viaggio da Ulsan, in Corea, a Rotterdam, in Olanda. Non solo per il crescente guadagno che ne deriverebbe dalla tassazione, ma anche perché questa rotta assumerebbe una grande valenza nella cooperazione energetica con i suoi partner commerciali. 

Le eco della guerra in Ucraina arrivano anche all’Artico

La guerra in Ucraina ha scosso, senz’altro, l’intero scacchiere internazionale e come in una sorta di effetto domino, ben pochi aspetti delle relazioni internazionali sono rimasti invariati dopo il 24 febbraio del 2022. Le diverse condanne alla Federazione Russa da parte della comunità internazionale, sia in seno alle Nazioni Unite, con storiche risoluzioni come la “ES-11/1. Aggression against Ukraine”[20] sia da parte di organizzazioni regionali come l’Unione Europea (materializzatesi nei diversi pacchetti di sanzioni economico-politiche oramai arrivate al decimo “pacchetto”[21]) hanno colpito, più o meno sensibilmente la Russia e, per estensione, anche le proiezioni esterne di quest’ultima. L’Artico, sebbene sia una zona remota, quasi lontana dai riflettori del panorama internazionale mondiale, ha subito parte delle eco della disastrosa guerra in Ucraina. Per aggiungere ulteriori livelli di complessità a questo vasto tema è bene analizzare queste eco sotto due lenti ben distinte, quella che inquadra la situazione politica e di governance artica e quella della proiezione militare russa.
Che quest’ultima sia stata generalmente influenzata dal drenaggio di forze economico-strategiche che l’Ucraina si è rivelata essere per Mosca, è un fatto abbastanza diffuso. Errori tecnico-strategici hanno reso la campagna Ucraina estremamente sanguinosa e costosa in termini di uomini e mezzi per il Cremlino. Anche l’immagine della nazione “guerriera”, da sempre sostenuta da una narrativa nazionale ancora fortemente ancorata al passato[22], ne è stata danneggiata: questa sembra aver subito un forte ridimensionamento. Rivolgendo lo sguardo all’Artico, invece, saranno i progetti di ammodernamento della flotta del nord e la presenza militare in loco che, per motivi strategici ed economici, subiranno il contraccolpo dell’invasione che la Russia ha iniziato poco più di un anno fa.
Infatti, dal punto di vista strategico, la guerra in Ucraina e l’effettivo “battesimo del fuoco” delle tecnologie militari russe, soprattutto con lo scontro diretto con tecnologie “occidentali” donate a Kiev, hanno dimostrato di non essere sempre all’altezza delle aspettative. Le difese antiaeree di Mosca si sono dimostrate tutt’altro che impenetrabili soprattutto se rapportate ad attacchi da parte di nuove tecnologie quali i droni, ampiamente utilizzati da Kiev. Alcuni esempi di attacchi ucraini ad aeroporti militari interni ai confini russi[23], di entità più o meno importante, hanno rimarcato proprio alcune falle nella difesa antiaerea russa, che è la stessa installata in aree nevralgiche come la regione artica.

Un discorso analogo è possibile ricondurlo anche alle capacità navali della Federazione Russa, che ad oggi, poggia ancora principalmente su vascelli di produzione tardo sovietica ammodernati. Come per gli aeroporti, anche le navi da guerra della flotta del Mar Nero hanno subito perdite, sia durante le operazioni di guerra (ne è un esempio il discusso affondamento della nave “bandiera” Moskva[25]) sia nei porti di provenienza, come avvenuto a Sebastopoli in Crimea[26]. È opportuno specificare che in caso di guerre e conflitti è la storia stessa ad insegnarci che le perdite da un punto di vista militare sono inevitabili e che l’invulnerabilità degli assets militari una mera utopia. Ciò detto, che i campi di battaglia ucraini siano considerabili un banco di prova ben diverso da quello siriano per le forze armate di Mosca (e non solo), è un fatto, per quanto questo possa essere costoso per il Cremlino. Ed è proprio questo punto ad essere fonte della seconda eco, da un punto di vista militare, che la guerra in Ucraina può riflettere sulla proiezione artica di Mosca. Il governo russo già nel 2010, sotto la presidenza Medvedev, aveva avviato un costoso programma di ammodernamento delle proprie forze armate, conosciuto come GPV-20, che però subì una brusca frenata a causa della diminuzione del prezzo del petrolio tra il 2014 e 2015. Questo impattò negativamente sui piani del Cremlino, ridimensionando conseguentemente l’entità dei fondi allocati per il riarmo e diverse problematiche “storiche” interne alla Federazione come la corruzione e l’arretratezza tecnologica in alcuni settori contribuirono a rallentamenti e frenate[27]. In particolare, i fondi allocati per la marina (che previsionalmente godevano dei maggiori investimenti nel prospetto di GPV-20) subirono dei forti ridimensionamenti, soprattutto con l’annessione della Crimea del 2014 che vide un taglio netto con le partnership ucraine, vitali per la costruzione di alcune componenti delle navi da guerra russe. Questo portò ad un rapido cambio di passo che dalla costruzione di nuovi vascelli scivolò verso un ammodernamento di quelli già esistenti ed in servizio con le diverse flotte[28]. Questo andò subito in contrasto con quella che invece doveva essere la svolta marittima della Federazione Russa (ri)annunciata dalla nuova dottrina navale 2030[29] annunciata nel 2019 che in un certo senso riaffermava gli obiettivi della stessa dottrina del 2015.
L’elenco dei problemi evidenziati è riconosciuto e ben documentato altrove e include: la mancata consegna di navi militari a causa di continui problemi nella sostituzione di componenti importanti, come i propulsori, precedentemente forniti dall’Ucraina e dalla Germania, tra gli altri; la bassa quota di cantieri navali russi nel volume totale degli ordini effettuati da utenti civili; l’alto costo di produzione; e la scarsa qualità del capitale umano e il cattivo stato dei piani per migliorarlo[30].
Approfondire questa tematica risulta essere funzionale per le conseguenze che le ben più estese sanzioni che hanno seguito l’invasione dell’Ucraina hanno portato. Sebbene la Russia non sia “sola” in questo momento storico e nonostante gli aiuti e la loro entità che le Nazioni vicine a Mosca stanno fornendo siano quanto mai fumosi, un dato certo è che la quasi totalità della tecnologia che il Cremlino acquistava dai paesi occidentali è rientrata nei pacchetti sanzionatori e quindi preclusa. Questo sul lungo periodo potrebbe influire pesantemente sulle capacità militari di Mosca e, per estensione, anche sulle sue proiezioni esterne, comprendenti il teatro artico.
Come accennato, però, le eco della guerra ucraina si sono riversate anche su altro: hanno scombussolato la già precaria governance artica. Nel tentativo di riunire gli otto Stati regionali affinché si instaurasse un forum in grado di promuovere tra loro dialogo e cooperazione, fu istituito nel 1996 il Consiglio artico. Quest’organismo non ha potere vincolante nei confronti degli Stati membri, o meglio, non ha affatto potere istituzionale perché non fa né attua leggi, tuttavia, è dotato di un forte potere politico in quanto è un «facilitator of regional diplomacy»[31] che permette discussioni su temi comuni che, a loro volta, guidano gli Stati a redigere accordi giuridicamente vincolanti con responsabilità condivise. Gli accordi passati si sono concentrati su missioni di ricerca e soccorso, su preparazione all’inquinamento marino di idrocarburi, e maggiore cooperazione scientifica[32]. La collaborazione in materia ambientale e scientifica, inoltre, ha portato all’accordo di delimitazione del Mare di Barents del 2010.
Che le questioni turbolente per l’Artico vadano oltre questo è chiaro a tutti: la regione si sta riscaldando quasi tre volte più velocemente della media globale, causando lo scioglimento del ghiaccio marino, l’innalzamento del livello del mare, l’aumento degli eventi meteorologici gravi, la riduzione delle popolazioni di fauna, una maggiore accessibilità di navigazione e conseguente inquinamento. Mettere in pausa quest’organismo proprio non è pensabile perché non è possibile interrompere il flusso di questi eventi catastrofici che si stanno scagliando sull’Artico. I problemi che ne derivano diventano più difficili da risolvere ogni anno che passa. Eppure la regione che per lungo tempo era stata identificata da molti come una parte altamente cooperativa e insolitamente pacifica degli affari internazionali, ha perso questa nomea dopo l’invasione ucraina da parte della Russia.
Il Consiglio artico infatti ha cessato di funzionare quando i sette rimanenti membri hanno sospeso la partecipazione alle riunioni ufficiali. Ciò ha lasciato la regione senza la sua principale sede intergovernativa. Anche in precedenza c’erano stati disaccordi diplomatici tra gli Stati membri, tra cui la guerra in Iraq nel 2003, la guerra georgiana nel 2008 e l’annessione della Crimea nel 2014, ma l’invasione dell’Ucraina è stata considerata un colpo alle spalle[33]. Mosca ricopre (e lo farà almeno fino al maggio di quest’anno) il ruolo di Presidente del Consiglio artico dal 2021. Il rapporto iniziale stilato circa le priorità della presidenza di Mosca aveva menzionato la “cooperazione” trenta volte[34], eppure, dopo è accaduto ciò che tutti conosciamo.
Dunque, è evidente che innanzitutto verrà a mancare la fiducia reciproca, elemento essenziale secondo i liberali per il successo delle istituzioni internazionali. In secondo luogo, e proprio sulla base di quanto appena affermato, i rappresentanti del Consiglio artico probabilmente eviteranno discussioni a livello ministeriale. Il ministro degli Esteri Lavrov è personalmente sanzionato da Stati Uniti, Canada, Unione Europea e Regno Unito ed è improbabile che metta mai piede in una riunione del Consiglio artico. Ciò significa che il gruppo ad hoc dei Cinque artici, che comprende i cinque Stati costieri artici di Stati Uniti, Canada, Danimarca, Norvegia e Russia e che lavora quasi esclusivamente a livello ministeriale, diventerà defunto. I gruppi di lavoro e le operazioni di ricerca scientifica del Consiglio artico continueranno, tuttavia si tratta di un settore politicamente isolato, ininfluente senza il dialogo tra i Paesi.  Infine, seppure il Consiglio decidesse di riunirsi, le alte tensioni tra i membri probabilmente porteranno questi ultimi ad affrontare solo le questioni artiche meno controverse. I recenti progressi nell’imposizione di quadri giuridici internazionali su questioni più delicate come le controversie sulla pesca, la produzione di energia, le rivendicazioni sulla piattaforma continentale e la libertà di navigazione si fermeranno.
In conclusione, la speranza di tutti gli esperti in campo scientifico e ambientale è che gli altri sette Stati artici mettano da parte il rancore e si riuniscano assieme alla Russia non appena la Norvegia avrà assunto la presidenza nel maggio 2023. Lo devono alla comunità internazionale per rilanciare e portare a termine le missioni fondamentali di sviluppo sostenibile e gestione ambientale il prima possibile. Tuttavia, se ciò non dovesse accadere, è probabile che la tanto propagandata corsa per l’Artico accelererà in un pericoloso vuoto di governance, all’interno del quale qualcuno – per motivi di sicurezza – sta rafforzando alleanze politiche che potranno avere «serious political and psychological consequences for Moscow»[35]. È il caso della richiesta di adesione della Finlandia e la Svezia alla NATO.


Note

[1] R. D. KAPLAN, The revenge of geography, Ed Random House, New York 2012, p. 98
[2] Ibidem.
[3] “Poiché durante la Guerra Fredda la funzione della Nato era esclusivamente rivolta ad assicurare la difesa collettiva dall’Unione Sovietica, il ruolo dell’Alleanza nell’antico Mare Nostrum era sostanzialmente quello, piuttosto tradizionale per le potenze occidentali europee, di tenere Mosca fuori dai “mari caldi”.” In A. MARRONE, M. NONES, «La sicurezza nel Mediterraneo e l’Italia», Quaderni Iai, Ed. Nuova Cultura, 2015, p. 82
[4] La concettualizzazione del Long Telegram dell’Unione Sovietica come minaccia espansionistica ed egemone imperiale rivale con cui non si poteva scendere a compromessi fu enormemente influente. Kennan ha articolato la nuova politica di contenimento che gli Stati Uniti avrebbero implementato in Europa. In M. NOLAN, The transatlantic century, Cambridge University Press, New York 2012, p. 182
[6] Ibidem
[7] Ibidem
[8] In: https://www.ilpostalista.it/polare/polare_001.htm[9] In: https://essay.ispionline.it/?page_id=401
[10] E. C. H. KESKITALO, Negotiating the Arctic. The Construction of an International Region, Routledge, New York and London 2004, p.1
[11] In: https://theconversation.com/competition-heats-up-in-the-melting-arctic-and-the-us-isnt-prepared-to-counter-russia-149341
[12] Si veda: https://www.usgs.gov/
[13] J. WEBER, Handbook on Geopolitics and Security in the Artic: The High North Between Cooperation and Confrontation, Springer 2020, p.6
[14] Ibidem
[15] In: https://eur-lex.europa.eu/IT/legal-content/summary/united-nations-convention-on-the-law-of-the-sea.html
[16] Russia in the Arctic—A Critical Examination – Carnegie Endowment for International Peace
[17] J. WEBER, Handbook on Geopolitics and Security in the Artic: The High North Between Cooperation and Confrontation, Springer 2020, p.5
[18]In: www. eng.mil.ru/en/structure/forces/navy/associations/structure/forces/type/navy/north/about.htm
[19]In:  www.csis.org/analysis/ice-curtain-russias-arctic-military-presence
[20] United Nations Digital Library, Aggression against Ukraine: resolution / adopted by the General Assembly. In: https://digitallibrary.un.org/record/3965290
[21] European Commission, Statement by President von der Leyen on the 10th package of sanctions against Russia, 15 February 2023. In: https://ec.europa.eu/commission/presscorner/detail/en/statement_23_907
[22] Per approfondire: https://www.opiniojuris.it/russia-una-giovanissima-nazione-millenaria/
[23] In: https://www.analisidifesa.it/2022/12/gli-ucraini-colpiscono-due-aeroporti-delle-forze-strategiche-russe/
[24] Aeroporto militare russo colpito da droni ucraini, immagine. In: https://www.rainews.it/articoli/2022/12/esplosioni-in-due-basi-russe-mosca-accusa-gli-ucraini-abbattuti-droni-ucraini-436d9f4e-bd9f-4d1c-bf25-382af9ed054c.html
[25] In: https://www.youtube.com/watch?v=eYPXpLtcY0A
[26] In: https://www.ansa.it/sito/notizie/mondo/2022/10/29/raid-contro-la-flotta-in-crimea-mosca-si-sfila-sul-grano_bb2cf195-c2a2-4ab6-8573-45c7e43e123c.html
[27] Per approfondire: https://www.opiniojuris.it/esercito-russia-vecchie-ruggini-nuovo-acciaio/ In: http://government.ru/docs/all/123507/
28] R. CONNOLLY, C. SENDSTAD, Russian Rearmament, Routledge 2018, pp. 147-148
[29] R. CONNOLLY, Review of Russia’s strategy for the development of marine activities to 2030. In https://www.ndc.nato.int/research/research.php?icode=618
[30] Ibidem.
[31] In: https://www.cfr.org/blog/how-russia-ukraine-war-challenges-arctic-governance
[32] In: https://foreignpolicy.com/2022/04/04/arctic-council-members-russia-boycott-ukraine-war/
[33] [33] In: https://www.cfr.org/blog/how-russia-ukraine-war-challenges-arctic-governance
[34] Ibidem
[35] In: https://carnegieendowment.org/politika/88096


Foto copertina: Artico, ultima frontiera