Tra il fragore delle battaglie e il silenzio delle infanzie rubate, Milunka Savić visse divisa tra guerra e cura. Soldatessa in prima linea, madre nell’ombra: un’eroina senza clamore, dimenticata dalla storia ma non dal coraggio.
Introduzione
Milunka Savić è stata una figura controversa, una donna-soldato che irrompe in una realtà, quella bellica delle guerre balcaniche e della Grande Guerra, dalla narrazione e dall’azione esclusivamente maschile, in cui il femminile non è una categoria combattente, bensì preda, bersaglio, vulnerabilità. Ma la straordinarietà di questa figura è tutta qui: l’anima feroce della guerrigliera si incastra alla perfezione a quella materna, in una contraddizione che si realizza in tutta la sua verità, quella in cui la cura degli altri non è esclusività bensì abbraccio totalizzante delle sfaccettature dell’animo umano. L’eredità dell’eroina serba ci porta ad interrogarci proprio su questo: cosa vuol dire servire la patria quando il fragore dell’artiglieria cessa?
Il volto nascosto del coraggio: Milunka tra le fila dell’esercito
Nel vortice delle guerre balcaniche (1912-1913), che videro Serbia, Montenegro, Grecia e Bulgaria allearsi per sconfiggere l’Impero Ottomano ed estendere i propri territori e a riunire le popolazioni di lingua e cultura simile sotto un unico governo, Milunka Savić compì un gesto audace e fuori dal comune. Per sostituire il fratello maggiore, richiamato alle armi e gravemente ferito, si travestì da uomo assumendo il nome di “Milosav Savić” e si arruolò nell’esercito serbo. In un’epoca in cui le donne erano escluse dalla linea del fronte, questa scelta la proiettò in un mondo dominato da uomini e dal fragore della guerra, dove avrebbe scritto una delle pagine più eroiche e dimenticate della storia militare. Durante le guerre balcaniche, Milunka dimostrò subito un coraggio e una tenacia fuori dal comune. Partecipò alla difesa di Belgrado, al duro assedio di Prilep[1] e alla sanguinosa ritirata attraverso le montagne albanesi nel 1915, anche conosciuta come “Golgota Albanese”, fu un’epopea disastrosa che vide l’esercito serbo, stremato dalla guerra, attraversare le montagne dell’Albania in direzione del mare Adriatico. La ritirata, iniziata a novembre 1915, fu causata dall’offensiva degli Imperi Centrali, che avevano occupato la Serbia. In queste condizioni, il governo serbo e l’esercito dovettero ritirarsi verso il Montenegro e l’Albania, in condizioni climatiche avverse e con difficoltà di approvvigionamento.
Lì, tra neve e morte, Milunka si fece notare per la sua forza e per la sua abilità nel mantenere il morale dei compagni.
Con l’inizio della Prima Guerra Mondiale, il suo valore si consolidò sul fronte macedone, in particolare nella battaglia di Kaymakčalan (settembre 1916), uno degli scontri più aspri del conflitto. Qui, Milunka si distinse per la sua abilità tattica e il suo coraggio, riuscendo a catturare decine di prigionieri nemici senza sparare un solo colpo, come racconta la testimonianza raccolta negli archivi militari serbi[2].
Ferita gravemente durante uno di questi combattimenti, fu ricoverata in un ospedale militare dove la sua vera identità di donna venne scoperta. Invece di essere punita o congedata, come era prassi all’epoca, fu lodata dai superiori per il suo valore. L’ufficiale comandante, ammirato dal coraggio e dalla dedizione dimostrati, le permise di continuare a combattere, un riconoscimento raro e straordinario in un mondo rigidamente maschile[3].
Milunka divenne la donna più decorata della Prima Guerra Mondiale, ricevendo due volte l’Ordine della Stella di Karađorđe con spade, la prestigiosa Legione d’Onore francese per ben due volte, la Croce di Guerra con palma d’oro — unica donna della Grande Guerra a ottenerla —, la Medaglia dell’Ordine di San Michele britannica e la Croce di San Giorgio russa per il suo coraggio. Eppure, nonostante queste gloriose imprese, la sua figura rimase a lungo un’ombra nella narrazione ufficiale, oscurata da una storia militare dominata dalle figure maschili che non lasciava spazio alla straordinaria vicenda di un’eroina senza tempo.
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Un impegno senza armi: difendere la vita oltre la guerra
Dopo aver sopportato i tormenti della guerra e conquistato onori in battaglia, Milunka Savić non ripose la sua forza e il suo cuore al termine del conflitto. Nel dopoguerra, scelse di vivere nella città di Novi Sad, nel cuore della sua amata Serbia, rifiutando un’offerta che pochi avrebbero osato declinare: una pensione vitalizia offerta dal governo francese in segno di riconoscimento per il suo contributo durante la Grande Guerra. Come raccontano le cronache degli gli archivi militari serbi, Milunka preferì mantenere la propria indipendenza e fedeltà alla patria, dimostrando con un gesto potente la fedeltà verso la sua terra, un attaccamento viscerale che esprimeva l’urgenza di dover restare per continuare quell’opera di coraggio e dedizione iniziata nei campi di battaglia[4].
Il suo impegno si spostò così dal fragore delle armi al silenzioso, ma non meno eroico, compito di prendersi cura dei più fragili: i bambini orfani di guerra e le vedove abbandonate. Attraverso iniziative personali e collaborazioni con associazioni benefiche serbe, contribuì alla fondazione di case famiglia e scuole, offrendo a quei bambini non solo un rifugio ma la speranza di un futuro dignitoso. La sua casa a Novi Sad divenne spesso un porto sicuro, aperto a chi aveva perso tutto, e lei stessa si spese con dedizione per garantire cure mediche, educazione e conforto a chi più ne aveva bisogno[5].
Milunka non mancò di denunciare pubblicamente le difficoltà e le ingiustizie che affliggevano i più vulnerabili, diventando una voce autorevole nel panorama sociale post-bellico serbo. In un’intervista pubblicata il 12 marzo 1938 sul quotidiano Politika, uno dei più autorevoli giornali serbi, Milunka dichiarò con forza: «La vera vittoria non si conquista solo sul campo di battaglia, ma nella pace, donando ai nostri figli ciò che la guerra ha loro tolto». L’intervista, parte di un reportage intitolato “Le donne della Grande Guerra: voce di speranza e ricostruzione”, si inserisce nel contesto della difficile ricostruzione postbellica e testimonia l’impegno costante di Milunka per la giustizia sociale e il sostegno ai più vulnerabili[6].
L’ombra lunga dell’oblio: la difficile memoria di un’eroina dimenticata
Nonostante il coraggio straordinario dimostrato in battaglia e le innumerevoli onorificenze ricevute la vita di Milunka Savić dopo la guerra fu segnata da un’amarezza profonda e da un progressivo oscuramento della sua figura nell’immaginario collettivo. L’eroina, acclamata sul campo di battaglia come una leggenda vivente, fu relegata ai margini della memoria storica per decenni, vittima di una narrazione ufficiale dominata da protagonisti maschili e di una società che faticava a riconoscere il ruolo attivo delle donne nella guerra[7].
Le difficoltà economiche che accompagnarono il suo ritorno alla vita civile furono severe. Pur avendo diritto a pensioni e riconoscimenti, Milunka visse in condizioni modeste, senza il sostegno economico e sociale che le sarebbe spettato per diritto. Dopo il rifiutò della pensione vitalizia offerta dal governo francese, la sua patria serba non riuscì a garantirle quella sicurezza economica duratura. La sua esistenza quotidiana, lontana dai fasti della gloria e dai riconoscimenti ufficiali, fu segnata da forti privazioni e dal peso di un’ombra storica che tendeva a cancellare la memoria delle donne soldato.
In un’intervista rilasciata negli anni ’70 al giornalista serbo Dragoslav Petrović, Milunka raccontò con lucidità e amarezza: «Ho combattuto per la mia patria con il cuore e il corpo, ma la patria spesso dimentica le sue figlie più coraggiose. La guerra mi ha dato onori, ma la pace mi ha lasciato sola»[8].
Questa testimonianza, raccolta a pochi anni dalla sua morte, è uno dei pochi momenti in cui la voce diretta di Milunka emerge dall’oblio, rivelando il dramma personale dietro l’eroismo. Questo silenzio si intreccia con una realtà culturale e politica che, nel secondo dopoguerra, promosse una visione della guerra dominata dagli uomini, relegando ai margini le figure femminili che, anche in contesti bellici, trovavano maggiormente spazio in ruoli di assistenza verso i soldati feriti, e di cura delle ferite invisibili che la guerra aveva prodotto. Solo con la rinascita dell’interesse storico e culturale negli ultimi decenni, attraverso documentari, libri, e anche grazie alla musica contemporanea la figura di Milunka Savić sta progressivamente uscendo dall’oblio. Questo lento riscatto testimonia non solo il coraggio e la determinazione in battaglia, ma anche la lotta silenziosa contro un’ingiustizia storica che ha a lungo negato il giusto riconoscimento a quelle donne che, nel gigantesco caleidoscopio di conflitti globali, hanno rotto gli argini di uno stereotipo che tendeva a soffocare la possibilità di una natura battagliera femminile che mal si conciliava con quella retorica di sottomissione naturalmente corrisposta alla donna durante uno scontro armato.
Milunka Savić resta così simbolo di una memoria da riscoprire e celebrare, eredità viva di coraggio, umanità e rottura, che soprattutto oggi offre un monito ed un insegnamento quanto mai attuali: il vero valore dell’eroismo non si esaurisce con la fine dei conflitti armati, ma la costruzione della pace, la cura degli indifesi e degli invisibili e la ricostruzione in nome della speranza e della solidarietà rappresentano la vera sfida che rende realmente ciascuno di noi parte di una comunità globale.
Note
[1] La battaglia di Prilep, o battaglia di Pirlepe, fu combattuta durante la prima guerra balcanica, dal 3 al 5 novembre 1912, fra il Regno di Serbia e l’Impero ottomano nella città di Prilep, oggi appartenente alla Macedonia del Nord. La battaglia durò tre giorni e si concluse con la vittoria dell’esercito serbo che costrinse quello ottomano a ritirarsi.
[2] Archivio Militare Serbo, Fascicolo Savić M., 1916
[3] Vojni arhiv Beograd, Rapporto ufficiale, 1917
[4] Sabaton History, “Lady of the Dark – Milunka Savić”, 2020
[5] Istituto Storico Militare Serbo, Fondo Milunka Savić, 1920-1940
[6] Politika, 1938; Biblioteca Nazionale di Serbia, Fondo Politika, Fascicolo n. 4217)
[7] Žarković, Le donne dimenticate della Serbia, 1999; Archivio Militare Serbo)
[8] (Petrović, Interviste con Milunka Savić, 1974, Archivio Radiotelevisivo Serbo)
Foto copertina: