La questione del Kosovo ha rappresentato l’ultimo atto del processo di sfaldamento della Jugoslavia. Sottoposto al controllo serbo durante il medioevo, conquistato e governato dagli ottomani per quasi cinquecento anni, alla fine delle guerre balcaniche nel 1913, torna a gravitare attorno a Belgrado divenendo parte della Jugoslavia monarchica prima e comunista poi. Sconvolto da una guerra sanguinosa che ha contrapposto le forze di Slobodan Milošević ai militanti del UCK , il Kosovo ha dichiarato nel 2008 unilateralmente la propria indipendenza dopo un’amministrazione internazionale durata quasi dieci anni, per mezzo della missione UNMIK.
Il Kosovo Jugoslavo
A seguito della breve occupazione delle forze dell’Asse durante il Secondo conflitto mondiale il Kosovo viene liberato alla fine del 1944 e annesso Jugoslavia, diventando nel 1946 una provincia autonoma (assieme alla Vojvodina) all’interno della Serbia.
Per tutti gli anni ’40 e ’50, che corrispondono al periodo di attività di Aleksandar Ranković[1] la regione verrà mantenuta sotto un rigido controllo, in quanto nell’opinione del potentissimo capo della polizia jugoslava gli albanesi del Kosovo rappresentavano una minaccia per la sicurezza e l’unità del paese.
Con l’uscita di scena di Ranković unitamente a movimenti di piazza in diverse parti del paese (tra cui in Kosovo nel 1968) si assiste alla progressiva fine della politica accentratrice di Belgrado.
Nel 1974 viene approvata la quarta e ultima costituzione jugoslava, che riconosceva non soltanto alle Repubbliche federate, ma anche alle due province di Vojvodina e Kosovo un ampio margine di autonomia. Queste, nel nuovo sistema costituzionale erano virtualmente indistinguibili dal punto di vista di prerogative e poteri dalle altre repubbliche federate. Belgrado riconosce in questo modo diversi diritti alla popolazione albanese, tra cui la possibilità di utilizzare la propria lingua, la fondazione di una università e la nascita di istituzioni propriamente kosovare (pur sempre nel sistema a partito unico).
Con la morte di Tito nel 1980, grande autore della Jugoslavia e a lungo garante della sua unità, la presidenza dello stato passa in mano ad un organo collegiale costituito dai rappresentanti di ogni repubblica e provincia autonoma.
Per tutti gli anni ’80 la Jugoslavia si trova di fronte non solo a sfide di carattere economico ma anche politico-istituzionale. La costituzione, infatti, aveva delineato un sistema che sebbene avesse garantito l’unità grazie alla devoluzione delle competenze, aveva funzionato grazie capacità di Tito di rappresentare il punto di sintesi delle varie anime jugoslave. Con la sua scomparsa si va progressivamente verso la paralisi istituzionale.
In questo contesto il Kosovo risulta, in una situazione già caratterizzata da fortissime disparità tra le diverse zone del paese, una delle regioni più arretrate e già nel 1981 hanno luogo disordini volti a richiedere sia un miglioramento delle condizioni economiche sia il riconoscimento dello status di repubblica all’interno della federazione. Le proteste sedate dalle forze di polizia sono considerate il punto iniziale di scontro tra Belgrado e le rimostranze dei kosovari.
Durante tutto il decennio, e in particolare in concomitanza con l’ascesa al potere di Milošević, le relazioni tra serbi e albanesi vanno deteriorandosi. La forte instabilità e il sempre più aspro scontro tra la repubblica serba e la provincia autonoma vengono risolti dal governo centrale con atti di forza: nel 1989 vengono approvati degli emendamenti costituzionali (ratificati dall’assemblea kosovara sotto la minaccia delle armi) con i quali il Kosovo viene riportato sotto il totale controllo di Belgrado.
A seguito di questo colpo di mano un gruppo di intellettuali forma la Lega Democratica del Kosovo (LDK), che sarà al centro della vita politica kosovara albanese e promotrice della protesta contro le misure intraprese da Belgrado. Alle misure repressive adottate dalla dirigenza jugoslava gli albanesi del Kosovo rispondono in un primo momento, e fino alla metà degli anni ’90, in modo non violento, boicottando le istituzioni del paese, e creandone di parallele, iniziando anche ad avanzare richieste di secessione dalla Serbia. Con la fine del decennio si fa strada l’idea di fare ricorso ad una forma di lotta meno moderata e più violenta, incarnata dall’Ushtria Çlirimtare e Kosovës (UCK), l’esercito di liberazione kosovaro, nato all’inizio degli anni ’90 ma sostanzialmente inattivo fino al 1996. La crescente disillusione nei confronti delle azioni di pressione politica dell’LDK, che non avevano ottenuto risultati, il fallimento nello sviluppare un sostegno alla causa kosovara da parte della comunità internazionale, il progressivo arrivo nella regione di grandi quantità di armi dalla vicina Albania, nel caos nel 1997, sono tutti elementi che insieme hanno comportato una maggiore spinta verso la ribellione violenta.
Durante il 1998 si assiste ad un’espansione delle attività dell’UCK, a cui Belgrado risponde con azioni repressive indiscriminate, anche contro la popolazione civile.
Le violenze provocano, tra le altre cose, un importante flusso di profughi che abbandonano il Kosovo e si muovono verso il resto d’Europa, riuscendo in questo modo a mobilitare le cancellerie europee (e occidentali). I tentativi che si susseguono durante il 1998 e 1999 di portare al tavolo negoziale kosovari e serbi non danno risultati e l’aggravamento della situazione sul campo porta all’intervento internazionale. L’operazione Allied Forces che sottopone la Serbia a 78 giorni di bombardamenti riesce nell’intento di costringere Milošević a trattare. Con l’accordo di Kumanovo del 9 giugno 1999 la Serbia è infine costretta a ritirarsi. Il giorno successivo con la risoluzione 1244 del Consiglio di Sicurezza viene approvata la presenza internazionale nella regione, posta sotto l’amministrazione provvisoria delle Nazioni Unite per mezzo della missione UNMIK.
Negoziati e indipendenza
A partire dal 2006 iniziano i negoziati, facilitati dalle Nazioni Unite, volti a stabilire lo status del Kosovo. Nel 2007 la proposta dell’inviato speciale delle Nazioni Unite Martti Ahtisaari, ex Primo Ministro finlandese, che prevedeva in buona sostanza l’indipendenza sotto la supervisione dell’Unione Europea, viene rifiutata da Serbia e Russia.
Nel febbraio del 2008 si giunge infine alla dichiarazione unilaterale di indipendenza, rifiutata da Belgrado e dichiarata illegale dal governo serbo.
L’ indipendenza del Kosovo è stata riconosciuta da circa la metà dei 193 paesi che siedono all’ONU, sebbene con importanti eccezioni. Russia, Cina e Serbia che continuano a considerare il Kosovo provincia serba. A questi si aggiungono diversi paesi europei, Spagna, Cipro, Romania, Slovacchia e Grecia che notoriamente hanno al loro interno forti movimenti secessionisti. Il governo serbo nel tentativo di bloccare l’indipendenza del Kosovo ha fatto appello alla Corte Internazionale di Giustizia, la quale investita della questione alla fine del 2008[2] ha stabilito in una sentenza (criticata da più parti) nell’estate del 2010 che la dichiarazione di indipendenza non risulta in violazione del diritto internazionale generale o particolare.
Ad oggi nonostante le due parti abbiano cercato di normalizzare le proprie relazioni (favoriti anche dall’UE), la tensione sembra crescere ciclicamente tra i due paesi. Nonostante ciò indiscutibili passi avanti sono stati compiuti sia con la riapertura del dialogo tra Pristina e Belgrado a partire dal 2013 che, più recentemente, nel 2020 con la firma di un accordo volto a normalizzare i rapporti economici favorito dall’amministrazione Trump.
Potrebbe interessarti:
Note
[1] Aleksandar Ranković (1909 – 1983) Stretto collaboratore di Tito, capo della polizia segreta jugoslava, vicepresidente fino al 1966. Fu fautore di un nazionalismo panserbo e di una politica accentratrice.
[2] Resolution A/RES/63/3. Reperibile su: https://www.securitycouncilreport.org/un-documents/document/kos-a-res63-3.php (consultato il 25/01/2022)
Fonti
Bebler A., The Serbia-Kosovo conflict, in “Frozen conflicts” in Europe, Barbara Budrich ed.
Franzinetti G., I Balcani dal 1878 a oggi, Carrocci Editore, 2016.
Keiichi K., Why Kosovar Albanians Took Up Arms against the Serbian Regime: The Genesis and Expansion of the UÇK in Kosovo, in Europe-Asia Studies, Vol. 62, No. 7, The Yugoslav Communist Legacy, September 2010, pp. 1135-1152.
Sterio M., he Right to Self-Determination under International Law “Selfistans,” secession, and the rule of the great powers, Routledge ed., 2013.
Foto copertina: Il giorno dell’autoproclamata indipendenza del Kosovo (in albanese Dita e Pavarësisë së Kosovës) è la ricorrenza nazionale dell’indipendenza del Kosovo e si festeggia il 17 febbraio