Piano Mattei, un progetto per tornare ad occuparci di Africa


L’iniziativa fortemente voluta dal Governo Meloni intende ristabilire come prioritario, nella politica estera di Roma, il rapporto con i paesi della sponda sud del Mediterraneo e di tutto il continente africano. Ne abbiamo parlato con il prof. Andrea Ungari, promotore con altri istituti e centri di ricerca del progetto di ricerca “Sicurezza europea integrata: il Piano Mattei nel Mediterraneo Allargato”.


Il Piano Mattei è un progetto di rinnovamento della politica italiana in Africa che esprime chiaramente la l’intenzione di recuperare un ruolo di spicco nel Mediterraneo e le relazioni con gli Stati del continente promuovendo un programma basato sullo sviluppo sostenibile, il rafforzamento delle relazioni commerciali e sulla creazione di opportunità per le imprese italiane, di investire in Africa. Pur apparendo ancora in via di definizione alcuni elementi prioritari sono stati formalizzati nella Legge n.2/2024. Quest’ultima introducendo il Piano Mattei si apre identificandone lo scopo di «Promuovere lo sviluppo in Stati africani al fine di rafforzare la collaborazione tra l’Italia e gli Stati del continente africano».

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Andrea Ungari

Essa istituisce presso Palazzo Chigi un’apposita Struttura di Missione e una Cabina di Regia, quest’ultima presieduta dalla Presidente del Consiglio e composta da rappresentanti del governo, di altri enti pubblici, di soggetti privati e del terzo settore. Rispetto ai contenuti e agli obiettivi del Piano Mattei un momento altrettanto importante è stato senza dubbio il Vertice Italia-Africa, tenutosi a Roma il 28-29 gennaio 2024 alla presenza dei rappresentanti di 46 su 54 Paesi africani oltreché di 25 organismi multilaterali, incluse le massime cariche dell’Unione Europea. In quell’occasione la Presidente del Consiglio Giorgia Meloni, ha delineato le ambizioni di proiezione internazionale dell’Italia, individuando nell’Africa una priorità della politica estera di Roma e il nostro paese quale ponte tra Europa e Africa. In tal senso, il Piano Mattei intende così rappresentare un nuovo approccio, in un’ottica di cooperazione tra pari. Di alcuni aspetti di questa nuova iniziativa di politica estera in una regione come quella del Mediterraneo Nord Africa, caratterizzata da crisi di ordine economico e sociale cruciali per la stabilità e la sicurezza nei prossimi anni, abbiamo parlato con il prof. Andrea Ungari, ordinario di Storia contemporanea all’Università Guglielmo Marconi e Direttore della Fondazione Ugo Spirito e Renzo De Felice.
Insieme a Francesco Anghelone e Marcello Ciola sta curando il progetto di ricerca finanziato dal Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale “Sicurezza europea integrata: il Piano Mattei nel Mediterraneo Allargato” realizzato dall’Università Guglielmo Marconi in collaborazione con l’Istituto di Studi Politici San Pio V e l’OSMED (Osservatorio sul Mediterraneo).

Uno dei lasciti di Enrico Mattei è stato senza dubbio quello di curare gli interessi nazionali senza prevaricare quelli dei paesi con cui stabiliva degli accordi. Da questo punto di vista ritiene che aver voluto richiamare nel nome di questo ambizioso progetto il fondatore dell’ENI, abbia anche dei risvolti pratici e di metodo?
Il recupero del nome di Mattei da parte del premier Giorgia Meloni rientra senza altro in questo obiettivo. Ossia, presentarsi agli occhi dei paesi ai quali il piano è rivolto in una posizione paritaria, come Mattei aveva fatto negli anni Cinquanta e Sessanta, ossia concordando una spartizione dei proventi del petrolio in maniera equa. Questa idea di Mattei doveva rompere il monopolio delle altre compagnie petrolifere, le famose sette sorelle. Riproporre un piano fondato su basi paritarie ed eque non può che avere dei risvolti positivi per quanto concerne la politica estera italiana in Africa, soprattutto in considerazione delle difficoltà in cui si dibatte la Francia proprio per aver imposto i propri rapporti in maniera tutt’altro che paritaria.

Quando si parla di Africa non si può ragionare in maniera unitaria di un continente con geografie, problemi e realtà diverse. Il piano Mattei potrà riguardare tutta l’Africa o dovrà concentrarsi sui paesi della sponda sud del mediterraneo con cui l’Italia ha avuto storicamente delle relazioni?
Ovviamente, il Piano Mattei non potrà riguardare tutta l’Africa anche perché l’Italia non ha le capacità economiche e finanziarie per svolgere un piano globale in Africa. È chiaro che dovrà indirizzarsi verso alcuni paesi, ma non necessariamente devono essere quelli della sponda sud del Mediterraneo. Dal momento che appare evidente che l’Africa, come nell’800, è diventata terreno di scontro tra grandi e medie potenze, la strategia del governo italiano è quella di concentrarsi verso quei paesi che danno maggiori indicazioni di affidabilità e che possano rientrare in una zona di influenza geopolitica italiana. Senz’altro vanno evitati gli errori della cooperazione allo sviluppo che ha caratterizzato la politica estera italiana negli anni passati e che ci ha visto sperperare miliardi di lire in progetti inutili e che non hanno portato ad alcun arricchimento per i paesi coinvolti. Quindi, progetti chiari e ben localizzati in aree di specifico nostro interesse e dove il nostro contributo possa migliorare le condizioni di vita delle popolazioni coinvolte.

Il concetto di piano presuppone un impegno di lungo periodo, strutturale e che dunque non tenga conto degli avvicendamenti alla guida dei governi. Crede che sarà possibile un così ampio respiro e soprattutto una certa coerenza per la politica estera italiana nei prossimi anni?
Purtroppo, non sempre la politica estera italiana è stata coerente, subendo spesso gli ondeggiamenti della situazione politica interna. Questo, soprattutto, nella fase successiva alla cosiddetta “Prima Repubblica” dove i cambi di governo hanno spesso portato a mutamenti nel quadro politico. Il progetto presentato, però, ha un suo respiro e credo che, se le capacità finanziarie del paese lo permetteranno, potrà essere perseguito anche in futuro ed è ipotizzabile che sia proprio lo stesso premier Meloni a farlo. Il suo consenso nel paese mi pare a oggi consolidato e non è detto che ci sia un cambio di governo alle prossime elezioni. In ogni caso, abbandonare l’area africana ad altri competitors internazionali, come è successo dal 2011 in poi, non è una cosa che l’Italia si può permettere visti gli interessi finanziari, economici, politici e migratori che il nostro paese ha nei confronti del continente africano.

Dal punto di vista pratico, l’istituzione di una struttura di missione presso la Presidenza del Consiglio dei ministri potrà contribuire a rendere più spedito il raggiungimento degli obiettivi che il Piano Mattei si è prefissato?
È chiaro che tale misura può essere ampiamente e diversamente commentata dagli attori politici. A mio avviso, però, l’aver avocato alla Presidenza del consiglio, con la struttura di missione indicata, gli oneri di realizzare il Piano Mattei conferma l’importanza che il premier Meloni conferisce a tale progetto e come si voglia impedire che il Piano si frammenti in tanti piccoli rivoli gestiti da entità diverse e che porti ad una spesa a volte senza controllo. Credo che Meloni voglia evitare gli errori della cooperazione allo sviluppo commessi decenni fa.

Un aspetto che non può essere secondario quando si parla di investimenti, come in questo caso, è quello legato alle risorse finanziarie che verranno utilizzate per sviluppare i progetti in Africa. La dotazione economica potrà crescere nel corso degli anni?
Questa possibilità dipende dagli indici economici del paese. A oggi mi pare che il grosso degli investimenti ricada su azioni già messe in atto dall’Eni e da altri fondi governativi. Non credo, però, che il discorso sia relativo solo all’entità dei fondi; l’importanza è spenderli bene. Abbiamo investito miliardi di lire in Eritrea negli anni Ottanta e li abbiamo letteralmente buttati. Quindi, i soldi a disposizione, tanti o pochi che siano, devono essere spesi con obiettivi precisi, realizzabili, economicamente e socialmente remunerativi per i paesi nei quali vengono investiti. Altrimenti, sarà un’altra occasione mancata da parte del nostro governo di giocare un ruolo di rilievo in Africa e sarà un ulteriore aggravio della bilancia dei pagamenti.

Un altro passaggio importante del Piano Mattei riguarda lo sviluppo dei paesi africani, tenendo conto dei diritti umani e del rispetto dell’ambiente. Rispetto al ruolo consolidato di alcune potenze come la Cina, non crede che questo possa rappresentare un limite nella messa a terra degli investimenti previsti nel piano?
Il tema dei diritti umani e del rispetto dell’ambiente è uno dei canoni della politica messa in atto dall’Unione europea da molti anni a questa parte. Ed è un tema dal quale non possiamo certo prescindere. Tutto ciò ci mette in difficoltà, ovviamente, nella competizione con paesi che non hanno intenzione di rispettare gli stessi canoni e atteggiamenti europei. Quindi, l’Italia per forza di cose dovrà mediare la sua azione tra il rispetto dei diritti umani e la tutela dell’ambiente e la difesa dei propri interessi nazionali in coincidenza con gli interessi dei paesi coinvolti dai progetti del Piano.

Il Piano Mattei potrà integrarsi nel Global Gateway, il progetto fortemente voluto da Ursula Von der Leyen per competere con la Belt and Road Initiative cinese?  Personalmente, credo proprio che sia possibile e anzi che debba farlo. Al di là dei giudizi sul funzionamento dell’Unione europea, noi siamo tra i paesi fondatori e in questa fase storica, mi pare impensabile che l’Italia possa andare da sola e che in maniera solitaria possa svolgere un’azione di lungo raggio nei confronti del continente africano e in competizione con la Cina. È chiaro che la storia, anche recente, ci insegna che la rivalità tra gli Stati europei si è spesso riversata sul continente africano (il caso della Libia è lampante); ma queste divisioni hanno aperto le porte alla Cina, alla Russia, alla Turchia, alle Monarchie del Golfo. Ebbene, solo se gli Stati dell’Europa riusciranno a sopire almeno in parte le loro differenze, si potrà pensare di far fronte all’invadenza di questi paesi nel continente africano e nella sponda sud del Mediterraneo. Quindi, la possibilità che il Piano Mattei possa inserirsi nel Global Gateway e possa integrarlo a mio personale avviso è una strada che va perseguita.


Foto copertina: Meloni e Piano Mattei