L’Italia e la sfida dell’Africa


Sceso il sipario su Palazzo Madama che ha ospitato vertice Italia – Africa del 28 e 29 gennaio 2024 dall’evocativo titolo “un ponte per crescere insieme”, è necessario cercare di mettere ordine per comprendere quale sia il vero valore di questo primo appuntamento che ha inaugurato, presentando il Piano Mattei, anche la presidenza italiana del G7.


È stato in occasione del suo primo discorso davanti le Camere in qualità di Presidente del Consiglio dei ministri, che Giorgia Meloni ha fatto per la prima volta accenno alla necessità di stabilire «un modello virtuoso di collaborazione e di crescita tra Unione Europea e Nazioni africane, anche per contrastare il preoccupante dilagare del radicalismo islamista, soprattutto nell’area subsahariana»[1] attraverso l’elaborazione di un Piano Mattei per l’Africa. Annuncio poi ripreso già in occasione delle comunicazioni al Parlamento precedenti il Consiglio Europeo del 15 dicembre 2022 e in successivi incontri nazionali e internazionali, fino a diventare in buona sostanza la cifra dell’azione in politica estera del Governo. Una prima specificazione di cosa intendesse il Presidente del Consiglio con “Piano Mattei”, è arrivata già il 13 dicembre 2022, quando Meloni in Parlamento ha patrocinato la necessità di stabilire «un modello virtuoso, di collaborazione e di crescita, tra Unione europea e Nazioni africane. Un approccio che, prendendo esempio da un grande italiano come Enrico Mattei, non sia predatorio nei confronti dei Paesi africani, ma collaborativo, fondato su uno sviluppo che garantisca crescita, dignità, lavoro, che costruisca le condizioni per difendere il diritto a non dover emigrare, piuttosto che il diritto a dover emigrare per forza sostenuto fin qui»[2].

Da quei primi giorni di governo sono passati sedici mesi e quello che dovrebbe essere il più grande cantiere di politica estera del primo governo di destra-centro della Repubblica, sembra muovere i suoi primi timidi passi. Il piano Mattei dovrebbe rappresentare un punto di partenza in una più complessiva strategia di politica estera che ponga maggiore attenzione nei confronti del Sud globale distanziandosi dalle esperienze precedenti (riferimento non troppo velato alla Francia sulla cui politica in Africa, Meloni si è più volte scagliata negli anni), sfruttando a tal fine il ricordo per lo più positivo che il nome del Presidente dell’ENI suscita ancora in alcuni paesi produttori, in particolare in Nordafrica (l’Algeria su tutti). Non si tratta di un percorso semplice, anche per le oggettive difficoltà che l’Italia dovrà affrontare, come ad esempio la concorrenza di competitor da più tempo presenti sul territorio e che, inoltre, hanno maggiori capacità di spesa. In ogni caso, l’Italia ha la possibilità di inserirsi in un quadrante dove si stanno aprendo degli spazi, anche per l’arretramento che la potenza africana per eccellenza, la Francia, sta vivendo, concentrata com’è negli ultimi anni sulla sua dimensione interna.

Un ritrovato vigore e capacità di progettazione da parte della nostra politica estera è sicuramente un aspetto importante e che deve essere riconosciuto come positivo indipendentemente dal posizionamento politico. Negli ultimi decenni, infatti, nel rapporto con il resto del mondo l’Italia si è caratterizzata per la mancanza di progettualità e capacità di individuare il proprio interesse nazionale, anche a causa di una classe politica per lo più impreparata e spesso convinta che la diplomazia, le relazioni internazionali e, in generale, la politica estera siano temi di facile trattazione. Ne è risultata una politica ambivalente, caratterizzata da interventi slegati e molto spesso poco incisiva, che ha lasciato da parte aree fondamentali sulle quali se si fosse progettato con una visione di lungo periodo si sarebbe potuto giocare un ruolo centrale. Tendenza riscontrabile anche nei riguardi dell’Africa, dove, in maniera altalenante, si è investito e si è posta l’attenzione su alcune zone (Corno d’Africa e Libia) e si sono lasciate da parte altre che avrebbero meritato una centralità maggiore. Si è assistito di conseguenza ad un progressivo disinteresse nei confronti del Continente (complice anche la crisi economica del 2008 che ha contratto la capacità di spesa dell’Italia in materia di cooperazione allo sviluppo) che si è poi protratto fino al 2013 quando viene lanciata l’iniziativa Italia – Africa con la quale si è inaugurata la fase delle conferenze ministeriali. Una parziale accelerazione si è avuta negli ultimi anni con diverse iniziative tra cui il lancio del Fondo Africa nel 2016, trasformato in Fondo Migrazioni e incentrato sul tema del contrasto dell’immigrazione irregolare e il traffico di esseri umani, con il quale si sono finanziati interventi in diversi paesi africani, rinnovato per il 2023 con risorse per il Niger e la Libia. Del dicembre 2020 è la presentazione del documento strategico “Partenariato con l’Africa” anche in vista dell’inizio della presidenza italiana del G20 con il quale sono state individuate le aree geografiche e di azione prioritarie per l’Italia. Anche in questo caso però si è trattato di esperienze sporadiche e non inserite in una programmazione politica di ampio respiro, rispondenti per lo più all’emergenza del momento (leggasi emergenza sbarchi). Una rinnovata attenzione e attivismo a seguito dell’inizio della crisi energetica del 2021 che ha impegnato nella sua fase finale il governo presieduto da Mario Draghi che ha posto nuovamente l’attenzione sul quadrante nordafricano nel tentativo di garantire l’indipendenza energetica all’Italia. Ed è chiaramente su questa scia che l’azione di Giorgia Meloni si inserisce.

La cooperazione italiana

La cooperazione allo sviluppo italiana è regolata dalla legge 125/2014, che ne ha aggiornato e modernizzato gli orientamenti. L’intervento normativo del 2014 aveva cercato di creare un quadro più coerente per la gestione della cooperazione allo sviluppo, anche attraverso l’identificazione di un viceministro con delle deleghe ad hoc. Ovviamente, al Ministero si affiancano attori sia istituzionali (il Parlamento che è chiamato a esprimere il parere sul documento triennale di programmazione) sia non istituzionali (AICS – Agenzia Italiana per la Cooperazione allo Sviluppo, Cassa Depositi e Prestiti, ecc.). L’ultimo Documento di programmazione è stato approvato dal Governo nel 2022 (le Camere avevano dato il loro parere nel novembre 2021) ed abbraccia il triennio 2021 – 2023 individuando 20 Paesi prioritari, 11 dei quali in Africa.

Per quanto riguarda i numeri, l’Ocse ha fornito i dati sulla cooperazione internazionale riferiti al 2022 che sono stati analizzati da Openpolis che ha sottolineato come, nonostante vi sia stato un aumento dell’aiuto allo sviluppo in termini assoluti, (che si posiziona allo 0,33% del Reddito Nazionale Lordo), si è ancora lontani dagli obiettivi stabiliti dall’agenda 2030 che prevedrebbe come obiettivo di destinare lo 0,70% del Rnl. Se di aumento in termini assoluti è presente, incide in questo aumento il così detto aiuto gonfiato, cioè la voce che fa riferimento alle risorse utilizzate per gestire l’accoglienza di rifugiati in Italia. Risorse quindi che non sono propriamente ascrivibili alla cooperazione allo sviluppo. Questo tipo di risorse, nel 2022 risulta incidere per il 22,3% di tutto l’aiuto pubblico allo sviluppo[3].

Cos’è il piano Mattei?

Parlare di Piano Mattei al momento in cui si scrive, implica riferirsi a due elementi: un decreto – legge (convertito all’inizio di gennaio) che fornisce la cornice giuridico – organizzativa, e le parole pronunciate dalla Premier durante la conferenza Italia – Africa del 29 gennaio scorso. Manca però, come è scritto nel DL 161/2023 il Piano vero e proprio.

Il decreto-legge 161/2023[4], licenziato dal Consiglio dei ministri il 15 novembre, modificato e approvato al Senato il 19 dicembre e alla Camera l’11 gennaio 2024, ha fornito l’impalcatura che dovrebbe guidare l’esecuzione e la messa in opera del Piano Mattei, in altre parole la governance. Il fine è quello di rafforzare la collaborazione tra Italia e i paesi del Continente africano, nell’ottica di un nuovo rapporto tra pari, da raggiungersi attraverso l’elaborazione di un documento strategico quadriennale Italia-Africa, adottato tramite decreto del Presidente del Consiglio dei ministri (Dpcm) sul quale le Camere saranno chiamate a dare un parere, non vincolante, entro 30 giorni. Gli ambiti di intervento sono numerosi e abbracciano quello che si può definire l’intero “sistema – Italia”, dalla cooperazione allo sviluppo, alla promozione delle esportazioni, dalla ricerca all’innovazione al settore aerospaziale alle energie rinnovabili, oltre che alla “prevenzione e contrasto dell’immigrazione irregolare e gestione dei flussi migratori”[5].  

L’esecuzione del Piano Mattei sarà affidata ad una cabina di regia, vero e proprio motore politico del Piano e ad una struttura di missione, che dovrebbe fungere da braccio operativo. Per quanto riguarda la composizione, siederanno nella cabina di regia oltre che il Presidente del Consiglio e il ministro degli Esteri, gli altri ministri (o viceministri), i rappresentanti delle aziende partecipate pubbliche i presidenti di ICE, SACE, Cassa depositi e prestiti, il direttore dell’AICS nonché i rappresentanti dell’università e della società civile che dovranno essere individuati attraverso un Dpcm ad hoc. Il fine è quello di coordinare “le attività di collaborazione tra l’Italia e Stati del Continente africano”[6] nonché di “promuovere le attività di incontro tra i rappresentanti della società civile, imprese e associazioni italiane e africane”[7]. La struttura di missione svolgerà le funzioni di segretariato della cabina di regia nonché di supporto tecnico-organizzativo e sarà guidata dal nuovo consigliere diplomatico della Premier, nominato a dicembre, Fabrizio Saggio. La struttura di missione sarà incaricata, inoltre, a redigere la relazione annuale sull’attuazione del Piano Mattei entro il 30 giugno di ogni anno da trasmettere alle Camere. Per quanto riguarda le risorse, il decreto ha mobilitato solamente quelle necessarie alle nuove strutture per funzionare. Su questo aspetto le critiche delle opposizioni che lo hanno definito una scatola vuota sono comprensibili, così come dal punto di vista dei procedimenti parlamentari e istituzionali si trova difficile giustificare in questo caso il ricorso allo strumento del Decreto – Legge, salvo che si consideri l’avvicinarsi del vertice Italia – Africa condizione sufficiente a giustificare il ricorso all’articolo 77 della Costituzione. 

Quello che è certo è che Giorgia Meloni intende intestarsi il nuovo rapporto con l’Africa e la buona riuscita del Piano Mattei sul quale ha investito molto del suo credito politico personale. L’attesa comunque resta grande. Il Dpcm che sarà il primo piano Mattei quadriennale, difficilmente conterrà delle novità dal punto di vista economico – finanziario o rispetto ai progetti già annunciati a durante il vertice di gennaio. Sarà però interessante comprendere l’interazione del nuovo piano con le esperienze già esistenti cui si è fatto accenno. La contemporanea presenza delle nuove strutture a Palazzo Chigi e di quelle alla Farnesina rischia di creare una policefalia che può risultare dannosa e mancare l’obiettivo di “fare sistema”. Il nuovo accentramento a Palazzo Chigi del Piano Mattei e, si suppone, dell’intero dossier Africa, che dovrebbe rispondere alla necessità di garantire una maggiore incisività agli interventi, è stato criticato dalle opposizioni che hanno denunciato un depauperamento nelle funzioni e nei compiti della Farnesina nonché, in prospettiva, un indebolimento dell’efficacia degli interventi per la confusione che rischia di crearsi con lo sdoppiamento del dossier cooperazione tra Farnesina e Palazzo Chigi. Sarà sicuramente interessante nei prossimi mesi comprendere come il Governo scioglierà questi nodi, e quindi di come andrà ad inserirsi il Dpcm all’interno del documento di programmazione triennale della cooperazione allo sviluppo che dovrebbe essere in elaborazione.

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Il vertice Italia – Africa

Il vertice Italia – Africa del 29 gennaio a Palazzo Madama, al netto degli entusiasmi della maggioranza e le critiche delle opposizioni, va letto come un primo passo interlocutorio e non il punto di arrivo finale. Valutare se e quanto il Piano Mattei riuscirà nel suo intento richiederà del tempo, tuttavia il vertice di gennaio è stato importante per meglio circostanziare il contenuto del piano.

Quarantasei le delegazioni di paesi africani presenti di cui venticinque a livello apicale, alle quali si sono affiancati i rappresentanti delle organizzazioni internazionali: l’Unione Europea rappresentata dai suoi vertici (Consiglio – Michel, Commissione – von der Leyen, Parlamento – Metsola), l’Unione Africana, l’Onu e le principali organizzazioni finanziarie.

Meloni nel suo intervento introduttivo, ha ribadito la volontà del Governo di ristrutturare su un approccio paritario il rapporto tra Italia e Nazioni africane, sulla scia di quel riferimento alla dottrina Mattei che dovrebbe rassicurare gli interlocutori rispetto alla veridicità delle intenzioni. Il piano Mattei quindi come una «piattaforma programmatica aperta alla condivisione e alla collaborazione con le Nazioni africane, sia nella fase di definizione sia in quella di attuazione dei singoli progetti»[8]. Cinque le iniziali direttrici di intervento: istruzione, salute, agricoltura, acqua ed energia e per le quali sono stati forniti alcuni esempi di progetti pilota. Dei dieci citati vanno sottolineati due aspetti: innanzitutto il posizionamento geografico e in secondo luogo la natura di questi investimenti. Geograficamente si tratta di interventi che hanno luogo in paesi nei quali l’Italia è saldamente presente da diversi anni, come ad esempio in Kenya, Mozambico, Etiopia; secondariamente, si tratta di interventi che rientrano a tutto tondo nella definizione di cooperazione allo sviluppo e quindi forse un po’ distanti dalla definizione di nuova collaborazione paritaria alla quale ha fatto riferimento la Premier, ma che possono dare l’impressione del solito rapporto dall’alto in basso più volte lamentato dai paesi africani e dal quale, nell’idea di Meloni, il piano Mattei dovrebbe distanziarsi.  

Il vertice, poi, ha resto ancor più evidente la forte sintonia tra il Presidente del Consiglio italiano e il vertice dell’esecutivo europeo, Ursula von der Leyen, la quale ha sottolineato l’importanza dell’iniziativa italiana che dovrebbe porsi come strumento complementare del Global Gateway Strategy messa a punto dalla Commissione Europea che dovrebbe portare investimenti per 150 miliardi di euro. È anche sulla complementarietà dei due strumenti che sarà interessante valutare la capacità dell’Italia di fare sistema con l’Europa, anche in virtù della sproporzione di risorse che possono essere mobilitate da Roma e da Bruxelles: la dotazione iniziale del Piano Mattei sarà abbastanza modesta, pari a 5,5 miliardi di euro provenienti dal Fondo Italiano per il Clima e dalle risorse della cooperazione. Non nuove risorse, quindi ma diversa allocazione, quello che le opposizioni, cinicamente hanno definito come “un gioco delle tre carte”.

Liberando il campo dalla densa rete di retorica che ha circondato gli interventi da parte italiana ed europea durante il vertice di Roma, rimane sul campo il tentativo di accreditarsi da parte del Presidente del Consiglio come una figura autorevole in campo internazionale. L’accoglienza da parte dei rappresentanti africani non è sicuramente stata ostile, ma nemmeno eccessivamente entusiasta e ciò deriva dalla consapevolezza che questo tipo di progetti in passato hanno lasciato sul campo pochissimi risultati. È stato il Presidente della Commissione dell’Unione Africana, Moussa Faki Mahamat, a dare una panoramica se vogliamo delle perplessità e delle premesse che nel Continente sono ritenute fondamentali affinché una nuova partnership possa svilupparsi efficacemente: libertà anche rispetto il mantenimento di rapporti con diversi soggetti internazionali senza costrizioni, nonché quella dei vantaggi reciproci. Il discorso del Presidente della Commissione è stato importante anche per aver messo sul tavolo, con chiarezza, forse in una modalità che in pochi al Senato si sarebbero aspettati, e forse in meno hanno colto, il fatto che i paesi africani sanno di cosa hanno bisogno, sono consapevoli di quelle che sono le priorità per il Continente e non sono in attesa degli occidentali per farsi dettare l’agenda. Una maggiore collaborazione, un dialogo che sia serio è quello al quale si aspira: questa la grande sfida di Meloni, un peso non indifferente considerato l’alto investimento politico che sul Piano Mattei ha fatto personalmente.


Note

[1] Resoconto stenografico della seduta di martedì 25 ottobre 2022, reperibile https://www.camera.it/leg19/410?idSeduta=0004&tipo=alfabetico_stenografico#
[2] Resoconto stenografico della seduta di martedì 13 dicembre 2022, reperibile https://www.camera.it/leg19/410?idSeduta=0024&tipo=stenografico#sed0024.stenografico.tit00030
[3] “Chiari e scuri della cooperazione italiana” Openpolis, giovedì 15 febbraio 2024 https://www.openpolis.it/esercizi/per-laps-italiano-si-confermano-tendenze-preoccupanti/
[4] Decreto-legge 15 novembre 2023, n. 161, “Disposizioni urgenti per il “Piano Mattei” per lo sviluppo in Stati del Continente africano” pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 267 del 15 novembre 2023.
[5] Art. 1, comma 2, DL 161/2023
[6] Art. 3, comma 1, lett. a), DL 161/2023
[7] Art. 3, comma 1, lett. a-bis), DL 161/2023
[8] Vertice Italia-Africa, l’intervento di apertura del Presidente Meloni Lunedì, 29 Gennaio 2024, https://www.governo.it/it/articolo/vertice-italia-africa-linterventi-di-apertura-del-presidente-meloni/24857


Foto copertina: Piano Mattei