Accordo Albania – Italia: Tajani alla Camera


Ha riferito ieri in mattinata alla Camera dei Deputati il Ministro degli Esteri e della Cooperazione Internazionale Antonio Tajani in merito all’accordo siglato a inizio novembre da Giorgia Meloni ed Edi Rama, Primo Ministro albanese, e sul quale si è acceso il dibattito politico nelle ultime settimane. Opposizioni soddisfatte della decisione del Governo di sottoporre all’accordo a un passaggio di ratifica.


A cura di Daniele Orso

Un intervento relativamente breve quello del Ministro Tajani che ha rivendicato la valenza del protocollo nella più generale strategia dell’Esecutivo, volta a perseguire un nuovo approccio nella gestione degli sbarchi che nel 2023 hanno raggiunto le 150 mila unità. Nuovo approccio che si basa su diversi elementi più volte sottolineati durante lo scorso anno sia dal Presidente del Consiglio sia, ieri, dal Ministro: “Prevenire le partenze irregolari, rafforzare le frontiere esterne, combattere gli scafisti, migliorare il sistema dei rimpatri, ampliare i canali di immigrazione legale, accogliere chi ha diritto alla protezione internazionale”[1]. Obiettivi che, secondo Tajani, possono essere ottenuti attraverso una collaborazione con i paesi di origine e di transito, nonché attraverso accordi con “paesi amici”, quali l’Albania.

Tajani non solamente ha riassunto i punti principali del protocollo, elencando anche i costi che il nostro Governo dovrà sostenere, ma ha anche ricordato la cooperazione che già esiste tra Roma e Tirana in materia giudiziaria, di polizia e lotta alla criminalità, nonché la prossima firma di un accordo in materia di pensioni e previdenza. In materia di spese, sono state sommariamente elencate quelle a carico dell’Italia: innanzitutto quelle per la “ristrutturazione degli edifici esistenti al porto, costruzione del centro per il trattenimento, gestione delle due aree concesse all’Italia, stipendi e trattamento di missione per il personale italiano”. In secondo luogo quelle relative alle “attività svolte dalle autorità albanesi e soggette a rimborso da parte italiana, ad esempio la vigilanza della Polizia albanese all’esterno delle strutture, gli eventuali ricoveri ospedalieri dei migranti, gli eventuali risarcimenti da contenziosi interni e internazionali e l’accoglienza dei migranti che chiedessero asilo in Albania”. Per questi costi, com’era già previsto dall’allegato II al Protocollo è “previsto un anticipo iniziale di 16,5 milioni di euro” al quale seguiranno dei rifinanziamenti che “potranno avvenire semestralmente, a seguito di rendicontazione”.

Sull’accordo del 6 novembre, inoltre, il Ministro ha sottolineato la collegialità della decisione anche durante la replica, andando a smentire le ricostruzioni che erano apparse sulla stampa rispetto ad una scelta autonoma della Premier senza un accordo con i ministri interessati e, di conseguenza, dei partner di maggioranza.

La necessità del passaggio parlamentare di autorizzazione alla ratifica è stata al centro del dibattito politico all’indomani della firma del protocollo. Sia in Aula che in occasione di interviste e dichiarazioni di stampa, diversi membri del Governo (compreso il Ministro Ciriani) avevano sottolineato che, trattandosi di un protocollo esecutivo di un precedente trattato, la legge precedente garantiva la ratifica. Stessa posizione è stata mantenuta anche durante la conferenza dei capigruppo a Montecitorio. Tuttavia, nella seduta di martedì il Ministro ha comunicato la prossima presentazione di un DDL di ratifica “che contenga anche le norme e gli stanziamenti necessari all’attuazione del Protocollo”. Una mezza inversione di rotta quindi dovuta, si può, immaginare alla consapevolezza che un passaggio simile fosse inevitabile e necessario data la natura dell’accordo. Il “pericolo” era, come sottolineato in dichiarazione di voto dall’On. Richetti (Azione), “che un accordo non ratificato potesse dare vita ad atti le cui conseguenze fossero formalmente inefficaci”. Il capo della diplomazia italiana ha poi escluso che si tratti di un accordo paragonabile a quello tra Regno Unito e Ruanda in quanto “non c’è esternalizzazione a un terzo Paese nella gestione delle domande di asilo e non si deroga ai diritti internazionalmente garantiti, che sono, anzi, più volte espressamente riaffermati nel Protocollo”.

Tajani ha concluso il suo intervento sottolineando come “[si tratti di] uno strumento aggiuntivo per gestire i massicci arrivi di migranti. L’Accordo firmato il 6 novembre è una componente importante di una strategia complessiva e un possibile modello, non solo per l’Italia, per collaborazioni future con Paesi amici”.

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Le opposizioni

Un dato va tenuto in considerazione e che è frutto della discussione delle ultime due settimane: le opposizioni hanno segnato un punto. La mossa del Governo che ha garantito la presentazione di un DDL di autorizzazione alla ratifica, camuffata da Tajani in Aula come volontà di garantire il dialogo politico, va compresa per come si è espressa: una marcia indietro. È probabile che gli uffici tecnici di Ministeri, Presidenza del Consiglio e delle Camere abbiano giocato un ruolo, in quanto era imprescindibile (Costituzione alla mano) un passaggio parlamentare per la natura stessa dell’accordo.

Durante la discussione le opposizioni hanno sottolineato sia i costi che il Governo italiano si troverà ad affrontare, sia la generale difficile applicazione del protocollo, non solo nell’attività di ogni giorno ma anche nell’efficacia generale dei risultati. Il numero limitato di persone che potranno transitare per i due centri in territorio albanese (3000 richiedenti), difficilmente riuscirà a incidere sulla pressione che in questo momento si registra sulla frontiera mediterranea dell’Italia. Sembra esserci stata però una chiarificazione da parte del Governo rispetto alle tempistiche di trattenimento. Fino ad oggi, infatti, le affermazioni contrastanti del Ministro dell’Interno e del Sottosegretario Fazzolari a proposito della permanenza nelle strutture (28 giorni secondo il primo, 18 mesi il secondo), non permettevano con certezza di comprendere i numeri e i tempi reali dei trattenimenti. Tajani ha confermato che nella struttura che sorgerà a Shëngjin verranno sbarcati i “richiedenti asilo soggetti a procedura accelerata di frontiera”: 28 giorni. A Gjadër, invece, verranno ospitate “persone in attesa di rimpatrio dopo l’accertamento dell’assenza dei requisiti del soggiorno in Italia, 18 mesi”. Il problema dei rimpatri però sarà da tenere in considerazione in quanto, al momento, a causa della mancanza di efficaci accordi di riammissione, il nostro Paese riesce a rimpatriare una minima parte di quanti avrebbero già ottenuto l’ordine di lasciare l’Italia.

Quello sferrato dalle opposizioni, in generale, è un attacco a tutto campo contro la politica migratoria del Governo, giudicata propagandistica, inutile, dannosa e costosa per le casse dello stato.

La maggioranza, compatta, difende la scelta del Governo. Sembrano quindi riassorbite le tensioni che erano sorte (secondo la stampa) tra i diversi partners.

Il passo successivo sarà ora attendere il disegno di legge di ratifica e gli atti collegati che saranno necessari a concretizzare quanto previsto dal Protocollo. In ogni caso, politicamente la vittoria è duplice e di segno opposto: delle opposizioni per quanto riguarda la ratifica e, sicuramente, di Giorgia Meloni che è riuscita ad intestarsi la lotta contro l’immigrazione clandestina nella prospettiva delle elezioni europee, sottraendola alla propaganda di Salvini che la minacciava a destra sul suo stesso terreno elettorale. Sull’efficacia reale di queste misure sarà, però, necessario attendere.


Note

[1] Per ulteriori approfondimenti riguardo il testo del discorso del Ministro degli Esteri si rimanda al resoconto stenografico della seduta di martedì, 22 novembre 2023 reperibile al sito https://www.camera.it/leg19/410?idSeduta=0199&tipo=alfabetico_stenografico#


Foto copertina: Antonio Tajani ha riferito ieri in mattinata alla Camera dei Deputati in merito all’accordo siglato a inizio novembre tra Italia e Albania