Le rovinose strategie statunitensi nel contrasto alle coltivazioni di oppio e come queste hanno contribuito al fallimento delle politiche di Washington nel Paese centro-asiatico.
A cura di Stefano Marighella
“La coltivazione di oppio in Afghanistan nel 2023 è diminuita del 95% in seguito al divieto della droga”, così titola il rapporto sulla nuova ricerca dell’Ufficio delle Nazioni Unite contro la droga e il crimine (UNODC)[1], pubblicata il 5 novembre 2023.
Nel rapporto viene sottolineato come la coltivazione di oppio sia diminuita in tutto il Paese, vedendo le aree coltivate a papavero ridursi da 233.000 ettari a soli 10.800 ettari nel 2023. Questo ha causato un calo del 95% della fornitura di oppio, passando da 6200 tonnellate nel 2022 ad appena 333 tonnellate nel 2023.
La principale causa di questa drastica diminuzione di papavero sarebbe da imputare alla legge promossa dal nuovo Governo talebano che ha preso il potere nel 2021 a seguito del precipitoso abbandono dell’esercito degli Stati Uniti dal Paese asiatico.
I talebani hanno così dimostrato di essere in grado di fermare un fenomeno dilagante nel Paese, obbiettivo inseguito per quasi 20 anni dalla leadership statunitense con scarsissimi risultati. Infatti la produzione e l’esportazione di oppio dall’Afghanistan ha vissuto la sua massima espansione proprio tra il 2001 e il 2020, gli anni della operazione militare statunitense nella regione, dimostrandosi una piaga dilagante e una spina nel fianco per gli obbiettivi di Washington nello Stato.
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Un problema subito chiaro a tutti
L’Afghanistan per secoli è stato una riserva mondiale di papavero da oppio. Ma nel luglio 2000, quando i talebani controllavano la maggior parte del Paese, il mullah Moahmmad Omar dichiarò l’oppio una sostanza anti-islamica e vietò la coltivazione dei papaveri. Il divieto venne rispettato e secondo le stime la produzione della pianta crollò di oltre il 90%.
Nel 2001, a seguito dei fatti dell’11 settembre, l’esercito statunitense invase l’Afghanistan e rimosse dal potere i Talebani. In quel momento i contadini afgani ricominciarono a coltivare il papavero in tutti i terreni disponibili, come avevano sempre fatto per generazioni.
Queste piante, grazie a una semplice irrigazione, prosperano in climi aridi e caldi e rappresentano una coltura molto redditizia. A differenza della verdura o dei cereali, infatti, la resina del papavero non marcisce, può essere facilmente immagazzinata e trasportata per lunghe tratte senza intaccarne la qualità. La resina viene poi inviata in raffinerie o laboratori della droga e viene pagata bene dai narcotrafficanti.
Come spiegato da Craig Whitlock in Afghanistan Papers[2], il problema fu subito individuato dai funzionari statunitensi, i quali però erano troppo concentrati alla lotta contro Al-Qaeda per organizzare una strategia sul lungo termine per questa situazione. Fu così che nella primavera del 2002 alcuni funzionari del Regno Unito promossero il primo tentativo di eradicare la piaga del papavero da oppio in Afghanistan. La strategia prevedeva di ricompensare i contadini afghani ben 700 dollari per ogni acro di piantagione di papaveri distrutto[3].
La strategia si rivelò un vero e proprio fallimento. I contadini iniziarono a coltivare quanti più campi possibili per poter distruggere una porzione di essi ed essere pagati, raccogliendo comunque i frutti da quelli preservati. Alcuni addirittura raccoglievano la linfa dell’oppio prima di distruggere i campi, venendo poi pagati ugualmente.
L’operazione River Dance
Col passare del tempo, l’amministrazione Bush decise di cambiare regime, abbracciando una politica repressiva nei confronti dell’oppio. L’oppio diventava ufficialmente un nuovo nemico, un secondo fronte aperto parallelamente a quello già esistente contro i talebani.
Nel marzo del 2006 iniziò così l’Operazione River Dance. Questa operazione era una vera e propria campagna di sradicamento delle piantagioni di oppio nella provincia di Helmand. Con trattori e bastoni, centinaia di lavoratori distruggevano i campi di papaveri più prosperi del mondo.
Sebbene inizialmente sia stata venduta come un’iniziativa che avrebbe portato notevoli progressi, fu presto chiaro che le aspettative non avrebbero trovato riscontro nella realtà.
Oltre ai problemi tecnici legati alla difficoltà di manovrare i trattori e i bulldozer in quelle zone e alla difficoltà dello sradicamento “manuale”, si aggiunse la corruzione dei partner locali che spesso intascavano i frutti dei campi invece che distruggerli o accettavano tangenti per “salvare” determinate piantagioni.
La campagna di sradicamento colpì quindi principalmente i contadini poveri e privi della possibilità di corrompere i funzionari locali. Uomini abbandonati che avevano perso la loro unica fonte di sostentamento: reclute perfette per ingrossare i ranghi dei talebani.
L’Operazione River Dance si può considerare come uno dei peggiori errori della leadership statunitense della guerra in Afghanistan. La campagna generò un forte malcontento e frustrazione nella popolazione locale. La fiducia del popolo negli Stati Uniti e nel nuovo governo da loro sostenuto si incrinò profondamente e la regione dell’Helmand, prima del 2006 relativamente tranquilla, si trasformò presto in una delle roccaforti dei talebani. Come se non bastasse, le quantità di campi di papaveri distrutti era comunque marginale e non decisiva nella lotta contro l’oppio.
L’Operazione Iron Tempest
Negli anni successivi si susseguirono una serie di campagne contro l’oppio, questa volta però incentrate su un diverso approccio. In particolar modo sotto l’amministrazione Obama si tentò di investire nella conversione delle coltivazioni tramite incentivi ai contadini e la costruzione di infrastrutture che facilitassero le colture, come impianti di irrigazione più elaborati. I risultati furono scarsi, addirittura in alcune zone il nuovo sistema di irrigazione rese ancor più fiorente la coltivazione del papavero.
L’amministrazione Trump decise allora di cambiare ancora una volta registro e tornare a pugno duro contro l’oppio. Questa volta però la strategia prevedeva non più l’attacco alle piantagioni, ma ai laboratori di lavorazione della sostanza. Nel 2017 iniziò così l’Operazione Iron Tempest, presentata come la svolta decisiva nella guerra contro l’oppio. L’obbiettivo dell’operazione era quello di distruggere una rete di laboratori che, secondo i funzionari statunitensi, stava generando entrate per oltre 200 milioni di dollari ai talebani.
I bombardieri B-52 e i caccia F-22 per settimane colpirono numerosi obbiettivi utilizzando sofisticate bombe guidate da satellite, presentando i risultati come un grande successo. Eppure l’operazione fu completamente annullata dopo pochi mesi. Un’indagine indipendente del ricercatore britannico David Mansfield[4], dimostrò come molti degli obbiettivi colpiti non fossero altro che semplici baracche con pareti di fango o piccoli laboratori secondari, nei quali venivano lavorati marginali quantità di oppio.
Fu quindi subito chiaro che sostenere una spesa così elevata, per aerei e munizioni all’avanguardia, contro obbiettivi di così bassa importanza era divenuto insostenibile. La perfetta fotografia della guerra all’oppio condotta dagli Stati Uniti in Afghanistan. Miliardi di dollari investiti in misure che hanno solo aggravato la situazione. La produzione di oppio è aumentata, la popolazione locale si è radicalizzata contro Washington e l’industria della droga ha prevalso su qualsiasi altro settore dell’economia afghana.
Note
[1] Afghanistan opium cultivation in 2023 declined 95 per cent following drug ban: new UNODC survey, comunicato stampa Nazioni Unite, Office on Drugs and Crime, 5 novembre 2023 https://www.unodc.org/unodc/en/press/releases/2023/November/afghanistan-opium-cultivation-in-2023-declined-95-per-cent-following-drug-ban_-new-unodc-survey.html
[2] The Afghanistan Papers, a Secret History of the War, Craig Whitlock, Simon & Schuster, New York, 2021
[3] Counternarcotics: Lesson from the U.S. exprerience in Afghanistan, SIGAR 2018, https://www.sigar.mil/pdf/lessonslearned/SIGAR-18-52-LL-Executive-Summary.pdf
[4] Bombing the heroin labs in Afghanistan: the latest act in the theatre of counternarcotics, David Mansfield, LSE, 2018 https://www.lse.ac.uk/united-states/Assets/Documents/Heroin-Labs-in-afghanistan-Mansfield.pdf
Foto copertina: coltivatori di oppio in Afghanistan