22 anni, originario di Genova, ex-militante di Casa Pound. Kevin Chiappalone – all’epoca diciannovenne – si è arruolato nella Legione Internazionale nel 2022, a pochi giorni dall’invasione su larga scala dell’Ucraina, ed è regolarmente incardinato nelle Forze armate di Kyiv. Da tre anni combatte in Donbas, dopo una lunga vicenda mediatica e giudiziaria in cui il giovane ha dovuto difendersi dalle accuse di essere un mercenario.
Allo scoppio del conflitto in Ucraina nel 2022, Kevin Chiappalone era solo un giovane ragazzo di 19 anni, genovese, militante di Casa Pound. Dopo aver ascoltato le dichiarazioni del Presidente russo Vladimir Putin, determinato a “denazificare” l’Ucraina, non ha avuto più alcun dubbio: arruolarsi per difendere la libertà e l’autodeterminazione di Kyiv era l’unica strada percorribile. Dapprima intenzionato ad unirsi al Battaglione Azov e poi arruolato nella Legione Internazionale, Kevin ha preso un volo per la Polonia ed ha attraversato il confine ucraino in autobus per recarsi in Donbas. Nessuna preparazione militare pregressa, solo una grande passione per il softair.
La vicenda di Kevin Chiappalone non ha tardato a finire al centro di inchieste giornalistiche e giudiziarie dopo che la Digos ha avviato un’indagine e la direzione distrettuale antimafia e antiterrorismo di Genova ha accusato il giovane di essersi arruolato nella Brigata Internazionale ucraina in quanto mercenario, con il rischio di una condanna da due a sette anni. Un’inchiesta durata più di un anno e terminata con l’accoglimento della richiesta di archiviazione dietro presentazione da parte della difesa dei documenti che attestano l’inquadramento temporaneo di Kevin come soldato di fanteria all’interno delle Forze armate dell’Ucraina. Di conseguenza, Kevin si qualifica come legittimo combattente ai sensi delle Convenzioni di Ginevra del 12 agosto 1949 che definiscono il quadro giuridico applicabile in tempo di guerra. Non un mercenario dunque, ma un regolare dipendente dell’esercito di Kyiv. Oggi combatte in Donbas, si occupa di droni e nonostante gli orrori sul campo di battaglia di cui è testimone da tre anni a questa parte non ha perso lo zelo di combattere per i suoi ideali e per il futuro dell’Ucraina.
Lo abbiamo incontrato.
Che cosa ti ha spinto a lasciare l’Italia e arruolarti in Ucraina?
Sono stato spinto dalla mia immaturità e da un ideale preciso: l’autodeterminazione dei popoli. Questa convinzione si è sviluppata con l’esperienza, prima in CasaPound e poi sul campo di battaglia. Le mie idee esistevano già, ma la guerra le ha rese più chiare. Sono arrivato qui da ragazzo, ma le esperienze vissute mi hanno fatto entrare bruscamente nella vita di un uomo. Il passaggio non è stato graduale, è stato netto: un giorno ero a casa a fare attivismo, giocare alla PlayStation e uscire con gli amici, il giorno dopo mi trovavo con un fucile in mano, in addestramento, pronto a uccidere. Ho capito che non c’era più spazio per me per essere solo un ragazzo quando ho visto cadere i primi compagni.
Data la tua militanza in Casa Pound, vi è qualche tipo di collegamento tra quest’ultima e la legione in cui ti sei arruolato?
Non c’è stato alcun legame tra CasaPound e il mio arrivo in Ucraina, né ho ricevuto aiuti. Sono arrivato qui con le mie forze, rischiando tutto e affidandomi ai social per trovare contatti. CasaPound non mi ha mai supportato, e non lo dico per difenderli, ma semplicemente perché è la verità: non ho mai ricevuto nulla da loro.
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In Italia hai risposto alle accuse che ti sono state mosse dimostrando di non essere un mercenario ma di esserti legalmente arruolato nella legione internazionale, e in seguito di essere effettivamente incorporato nell’esercito di Kyiv.
Ciò che mi ha ferito di più è stato vedere il mio Paese voltarmi le spalle. Sono stato il primo italiano indagato per aver combattuto qui, nonostante altri lo avessero fatto prima di me. Amo l’Italia, e vedere i media e un rappresentante dello Stato definirmi un mercenario è stato un colpo duro. In Ucraina, persone con idee politiche opposte combattono fianco a fianco per una causa comune, mentre in Italia ci si odia ancora tra connazionali.
Come avviene, a livello pratico, il processo di arruolamento?
Ci sono diverse modalità per arruolarsi. Una – la più comune, quella che scelgono molte persone tra cui anche io – è andare in Ucraina e vedere cosa succede.
È possibile anche contattare l’Ambasciata, attendere i permessi, oppure compilare un form sul sito web e poi essere guidato da reclutatori o volontari. Si può anche andare “all’arrembaggio”, allo stand della legione al confine con l’Ucraina. Da lì si va in città in cui ci sono combattenti stranieri o uffici di reclutamento. È veramente facile arruolarsi. All’inizio avevo paura di non essere preso, ma in realtà ho capito che un Paese in guerra ti prende quasi subito se ha bisogno di soldati. La difficoltà è più mentale: come faccio io, Kevin, che non ho questo tipo di esperienza, ad essere preso?
Chiaramente dipende anche dall’unità in cui vieni arruolato: quando l’ho fatto io mi sono unito ad un corpo nato per gli stranieri, che vengono addestrati e mandati al fronte. All’epoca poi non c’era nemmeno tutto questa procedura. Io ho fatto un mese e mezzo di addestramento e poi mi hanno spedito al fronte. Altri ragazzi con esperienza sono stati mandati subito: io ero piccolo, avevo 19 anni, era la mia prima esperienza militare e la mia prima esperienza di vita in generale. Hanno avuto “pietà” di me, hanno capito che sarei caduto subito senza addestramento.
Come sei arrivato in Ucraina?
Prima di andare in Ucraina mi ero organizzato con un gruppo telegram di sudamericani “volontari per l’Ucraina”.
Ci siamo dati appuntamento in Polonia – pensa, quello stesso giorno stavo per uscire di casa per andare in aeroporto e la Digos è venuta a casa mia a prendermi. Ero certo di perdere il treno o il volo, e così è stato. Ho preso il treno successivo, sono corso a Bergamo per partire e sono riuscito ad arrivare a Cracovia. In quell’aeroporto ho incontrato un ragazzo in uniforme, spagnolo, stava partendo con il mio stesso volo per andare in Ucraina. Mi sono avvicinato, e siamo rimasti in contatto. Al mio arrivo, ho incontrato in Polonia il mio contatto e da lì ci siamo spostati in hotel. All’epoca io ero uno studente, non avevo i soldi per pagarmi un hotel, portavo le pizze. Ma da quel momento è nato tutto: abbiamo pianificato i passi successivi, ci siamo conosciuti meglio, abbiamo accolto altre 15-20 persone che si sono unite al gruppo e abbiamo passato il confine. Uno dei miei contatti aveva già connessioni nell’esercito: si parlava della legione georgiana, di quella internazionale, di Azov. Al confine c’era lo stand della legione, che ci ha fermato e ci ha chiesto che cosa stessimo andando a fare in Ucraina. Abbiamo spiegato che volevamo combattere per l’Ucraina, ci hanno detto di aspettare un’ora. In quel momento ho chiamato mia mamma e mio papà per informarli della mia scelta. Si sono messi a piangere. Avevo detto loro di essere a Sanremo a fare una vacanza con gli amici. Poi ci hanno preso e portato al fronte.
Com’è la situazione in Donbas al momento? Quali sono le principali sfide che tu e i tuoi compagni dovete affrontare quotidianamente e di che tipo di aiuto avreste bisogno?
Il fronte è statico e rovente: centinaia di morti ogni giorno per pochi metri di terra. Ho visto amici morire, come Talita, una volontaria arrivata da pochi giorni e bruciata viva. La sua morte mi ha segnato profondamente. Qui ogni metro si conquista col sangue, e senza il supporto esterno il futuro dell’Ucraina è incerto.
Qual è il tuo ruolo al fronte?
Dopo quasi tre anni di guerra, sono stanco. Ora opero con i droni, ma ho ricoperto ogni ruolo in fanteria. Ho combattuto accanto a persone di ogni ideologia, tutte unite per la libertà dell’Ucraina. Spero che gli italiani capiscano il valore dell’unità nazionale: solo così potremo tornare a essere una grande nazione.
A parte questo, al momento sono l’unico italiano al fronte che lavora con i droni terrestri. Siamo state una delle prime brigate a prendere stranieri per fare questo lavoro: nella pratica muovo droni e macchine a distanza, ed è qualcosa di non comune. Motivo per cui il mio è un lavoro molto richiesto e suscita curiosità. I droni che muovo sono di dimensioni pari a quelli di una Mercedes con cambio automatico, militarizzati per essere droni-kamikaze (letteralmente una macchina con dell’esplosivo dentro) telecomandati a distanza con un controller. Anche io sono rimasto estasiato e stupito la prima volta che ho visto una cosa del genere, e ora sono l’unico italiano a fare questo lavoro.
Dall’invasione dell’Ucraina, la destra italiana si è come “spaccata” tra coloro che sostengono la Russia, accusando l’Occidente di una deriva valoriale e proclamando la difesa dei valori tradizionali, e coloro che sostengono l’Ucraina per ragioni simili ed opposte – tra cui la libertà di un popolo contro l’invasore straniero. Che cosa ne pensi? Ci può essere, a tuo parere, una spiegazione per questa tendenza?
Guarda, a mio avviso in Italia abbiamo ancora una mentalità da anni 80, da anni di Piombo. Se sei di destra sei un essere spregevole, se sei di sinistra idem. Chiaramente provengo da Casa Pound quindi la mia base, l’idea politica che si è sviluppata in me è quella. Qui al fronte devo dire però che ho avuto più supporto dai comunisti che da Casa Pound. È una commedia, ma quando in Italia vedo che ci sono centri sociali, compagni e collettivi che si prendono a botte mi chiedo perché non si possa mettere fine alla guerra politica in favore di una cooperazione che possa portare allo sviluppo di una società migliore, al di là dell’ideologia.
Foto copertina: Un italiano in Donbas: la storia di Kevin Chiappalone