Intervista a Sasa Dragojlo, giornalista investigativo di Balkan Insight.
Belgrado, Serbia. Nonostante siano una regione confinante all’Unione Europea e in particolar modo all’Italia, i Balcani restano poco studiati oltre le narrative stereotipate e i clichés storici. Dall’interno, sembra che stia soffiando un vento di cambiamento. Accanto alle divisioni etniche e le dispute territoriali, la regione balcanica è in cerca della sua posizione strategica nel bel mezzo di un costante processo di revisione internazionale delle sfere di influenza delle grandi potenze. In pieno ritorno del realismo politico nelle relazioni internazionali, i Paesi balcanici (e specialmente la Serbia) optano per un approccio multivettoriale. Ne abbiamo discusso con Sasa Dragojlo, corrispondente di Balkan Insight e giornalista presso il Balkan Investigative Reporting Network.
Cosa sta accadendo in Serbia dopo le proteste che hanno scosso il Paese dal novembre dell’anno scorso, provocando le dimissioni del Primo Ministro Vučević? Si prospetta l’ombra di una crisi politica che potrebbe portare ad un cambio di governo o il rischio di una “rivoluzione colorata” sul modello ucraino?
Quando mi viene posta questa domanda, mi rendo sempre conto che ci sono così tante cose che meritano di essere spiegate, dato che dall’esterno la situazione sembra differente da ciò che è. La narrativa della “rivoluzione colorata” è un’affermazione governativa, ma è totalmente assurda – ci torneremo tra un attimo.
Siamo in realtà già nel bel mezzo di una crisi politica da quando il Partito Progressista Serbo (Српска напредна странка, Srpska napredna stranka) e Vučić hanno preso il potere. Per mesi, ci sono state manifestazioni da parte di studenti, insegnanti, avvocati, contadini e altri gruppi sociali. Ci sono proteste quasi tutti i giorni e tutte le settimane in diverse città. È di certo la più grande crisi che abbiamo mai dovuto affrontare.
Il nostro Primo Ministro ha dato le dimissioni solo formalmente, ma da ciò che possiamo vedere non si tratta di una mossa ufficiale in quanto ancora ha le redini del governo.
È un altro degli espedienti governativi: il Primo Ministro è una figura totalmente irrilevante, è solo un burattino di Vučić, pertanto queste mosse mostrano solamente che hanno paura. È la prima volta da anni che accade qualcosa che li terrorizza. C’è solo un precedente: un progetto per l’apertura di una miniera di litio. Ma ora la questione è ancora più grande, poiché le proteste sono diffuse e gli studenti sono in maggioranza contrari al governo, chiedendo una transizione e chiarezza dopo l’incidente che a Novi Sad ha ucciso 15 persone.
In parole povere: abbiamo una rivolta nel sistema educativo statale. Anche i cittadini in aree periferiche non stanno più ignorando la questione, nonostante le proteste non sono rese visibili nei media mainstream. Anche questa gente vota, e dunque è un problema per Vučić. Le dimissioni del Primo Ministro mostrano solamente che hanno paura, pertanto usano diverse tattiche per gestire la situazione.
Una di queste è la narrativa della rivoluzione colorata: è semplicemente stupido, ma in questo Paese può trovare terreno fertile dato che l’Occidente non è popolare. Il fatto è che tutti i Paesi occidentali supportano Vučić e non i manifestanti al momento. Stati Uniti, Unione Europea, Germania e Francia in particolare si sono schierati con il governo, dunque si ripete uno schema secondo il quale il Presidente sta cercando di ribaltare la situazione. Due giorni fa la polizia serba è entrata negli uffici di alcune organizzazioni non governative senza un mandato d’arresto, investigando nelle loro finanze solo perché il Presidente Trump ed Elon Musk hanno definito queste organizzazioni “criminali”. Il fatto è che il 90% del denaro proveniente da USAID è in realtà andato a finire al governo: vari esponenti politici sono stati fotografati accanto al logo di USAID. A loro non importa niente, è solo propaganda. È per questo motivo che è difficile immaginare cosa accadrà in futuro. È certo che la situazione non può andare avanti per anni, ma l’opposizione politica serba non è molto forte. Non sono in grado di approfittare dello spazio che hanno creato gli studenti, e questo è il paradosso in cui viviamo.
Hai citato un progetto di estrazione di litio. La Cina è particolarmente attiva in questo tipo di business sia a livello globale che nel Paese. Si tratta di un progetto finanziato da Pechino?
In realtà no. È coinvolta la Rio Tinto, e il progetto è fortemente sostenuto dall’Occidente (in particolare Germania, Stati Uniti e Regno Unito). L’Unione Europea è fortemente interessata alla questione per via del Critical Raw Material Act e per la competizione con la Cina per i minerali strategici, dunque è per questo che sostengono il progetto anche se la popolazione è contraria. Inoltre, Rio Tinto è una delle imprese con la reputazione peggiore.
Hai dipinto l’Occidente come poco popolare in Serbia. Qual è la percezione dei serbi dell’Occidente, nell’ottica delle crisi in Medio Oriente e in Ucraina?
La questione è molto ampia e sicuramente presenta alcune sfumature, poiché ha una dimensione collettiva. Posso tuttavia confermare che l’Occidente non è molto popolare in Serbia, in primo luogo a causa dei bombardamenti della NATO nel 1999 e in secondo luogo a causa della narrativa postbellica secondo cui la Serbia è l’unica responsabile di ciò che è accaduto. Abbiamo iniziato ad entrare nel processo dell’UE che richiede molto tempo, ma abbiamo la percezione che sia una sorta di modo dell’UE per “civilizzarci”.
Questa narrazione, con questa transizione dal socialismo al capitalismo che ha avuto come conseguenza la perdita del lavoro di molte persone nel passaggio alla privatizzazione delle aziende statali, ha influenzato la maggioranza delle persone, che non sono realmente “fan” dell’Europa. Ciò è particolarmente vero per la Serbia, ma per altri Paesi possiamo dire che “Occidente” significa anche cultura woke, diritti delle persone trans, distruzione dei valori tradizionali. In merito a ciò, con l’elezione del presidente Trump la gente crede che ci sarà un certo contenimento di questa deriva. Questo governo in Serbia opera su piani diversi, ma è comunque prevalentemente filo-occidentale: lo si vede nel campo dell’economia, della legislazione… la questione dell’influenza russa è così esagerata nei media occidentali!
Questo mi porta facilmente ad un’altra questione: dal lato europeo, abbiamo l’impressione che la Serbia sia posta sotto la sfera di influenza della Russia perché non ha aderito alle sanzioni contro il Cremlino a causa dell’invasione dell’Ucraina.
Sì, ma durante tutta la guerra la Serbia ha esportato grandi quantità di armi in Ucraina! Sul territorio ucraino vengono utilizzati i razzi serbi, e anche questo è un gioco su due livelli: il nostro Presidente non ha aderito alle sanzioni perché sono solo simboliche. Miliardi di euro in armi sono molto più utili per l’Ucraina e gli Stati Uniti. Poi bisogna anche dire che siccome l’Occidente non è popolare qui, la simpatia per la Russia è da leggere nell’ottica che qualunque altra cosa esista, qualunque alternativa sia migliore dell’Occidente. Ma siamo consapevoli che la Russia non può rappresentare l’alternativa, poiché non ha né soldi né progetti. La Cina qui sta investendo denaro, sta costruendo strade e nuove infrastrutture.
Qualche anno fa ho avuto la possibilità conversare con l’Ambasciatrice della Serbia in un Paese europeo e, parlando del vostro percorso di adesione all’UE mi è stato detto che l’Unione aggiunge costantemente altri criteri e requisiti, anche se state facendo progressi. Perché questo processo richiede così tanto tempo? E alla luce di ciò, qual è la percezione serba del fatto che a causa della guerra l’Ucraina avrà probabilmente maggiori possibilità di aderire più rapidamente all’UE pur non soddisfando alcuni criteri rilevanti?
Penso solo che l’UE non voglia questa parte dell’Europa nell’Unione. Si parla sempre di standard: è un processo politico, altri Paesi dei Balcani che sono entrati nell’UE come Bulgaria o Croazia non sono così avanzati, ci sono problemi di corruzione e non solo. La situazione è cambiata rispetto al periodo in cui furono accettati, abbiamo la questione del Kosovo che è la condizione che emerge sempre. Altri Paesi non hanno questo problema. Penso che se l’UE volesse la Serbia, allora la otterrebbe. Ma per loro è molto più vantaggioso avere questa “zona grigia”: qui si possono fare affari, è un’area di collegamento tra Oriente e Occidente, qui transitano le persone quando migrano, è fondamentale per proteggere le frontiere e così via. Dipende più dall’UE che dalla Serbia: certo Belgrado non ha fatto del suo meglio per soddisfare i criteri, ma questa situazione al momento è quanto di meglio possiamo aspettarci da questo tipo di governo. È un sistema corrotto e collegato ai trafficanti di droga.
Credi che cambierà qualcosa nella regione dopo l’elezione di Donald Trump? Potrebbe essere. Stiamo ancora cercando di capire cosa sta succedendo, ci sono altre questioni da risolvere, ma penso che l’Amministrazione serba sia contenta di Trump. In precedenza era stato fatto un accordo con alcuni membri del suo staff, e il governo Serbo aveva anche offerto a Trump – che è anche una delle cose assurde di questo Paese – l’edificio del quartier generale militare, demolito dai bombardamenti della NATO nel 1999, accanto al governo. Diventerà un Trump Hotel. Stanno concludendo un accordo a riguardo, nonostante le proteste e gli architetti che non sono d’accordo con il progetto. Hanno addirittura inviato gli apparati di sicurezza all’Istituto per la Protezione degli Edifici per fare pressione su di loro. È un edificio protetto e, anche se è una cosa folle, è uno degli esempi del fatto che il governo è contento di Trump, poiché crea opportunità per fare accordi con tutti. Non gli interessano le regole o il governo, ecco perché il governo ha un’attitudine positiva nei confronti di Trump. Non sono sicuro di come li aiuterà, ma vedremo.
E la Turchia? Trovo particolarmente interessante il fatto che sia parte della NATO, parte della KFOR e sostenitrice del Kosovo, pur avendo qui in Serbia interessi strategici. La Serbia si oppone al progetto di “espansione” della Turchia a causa delle differenze etniche e religiose?
Ci sono molti musulmani in Serbia, soprattutto nella parte sud-occidentale. Quindi è “naturale” che la Turchia voglia essere presente. La Serbia inoltre è il Paese più importante della zona, quindi vogliono essere presenti. Personalmente credo che due autocrati facciano un buon affare. Ci sono investimenti turchi in Serbia, molti turchi vengono qui per lavorare, ci sono anche esempi di cooperazione militare dovuta al fatto che la Turchia ha venduto droni Bayraktar al Kosovo, il che è un grosso problema. Ciò influenza i rapporti bilaterali, che in generale possono comunque essere considerati buoni. C’è collaborazione con aziende turche, anche se non ci sono grandi progetti. La Serbia ha utilizzato la Turchia anche come transito logistico attraverso il quale inviare armi all’Ucraina all’inizio della guerra.
Passiamo alle questioni regionali e parliamo del Kosovo. A Belgrado ho visto molte scritte che affermano “Il Kosovo è la Serbia”. Credi che la strada della normalizzazione verrà mai seguita o che la situazione si complicherà ancora di più? In effetti, le tensioni sono aumentate da quando Albin Kurti è salito al potere in Kosovo.
Credo che in questi pochi anni il Kosovo abbia fatto ulteriori progressi per rafforzare il suo Stato, con la completa discriminazione dei serbi che vivono nel nord del Kosovo, numerose forme di pressione, l’esproprio di terreni per costruire le loro stazioni di polizia – cosa che è stata persino criticata dall’UE. Soprattutto dopo l’incidente in cui è stato ucciso un poliziotto del Kosovo, penso che la Serbia abbia perso la sua posizione nel nord. Non so se si tratti di una mossa intenzionale o semplicemente di cattiva politica, ma quello che è certo è che questa mossa ha permesso al Kosovo di ottenere maggiore indipendenza.
Il presidente Vučić si presenta come l’uomo che risolverà la questione del Kosovo, ma poi fa sempre delle mosse che sembrano aiutare la parte kosovara e non quella serba. Non so cosa accadrà in futuro, ma quello che è chiaro è che la situazione sarà molto grave per la minoranza serba nel nord del Kosovo. C’è la possibilità che di qui a poco i serbi vengano espulsi, perché lì le condizioni non sono molto buone: la repressione statale e la discriminazione etnica diventeranno ancora più dure. Ma è anche chiaro che questo governo non firmerà mai un documento in cui si afferma che il Kosovo è indipendente.
Non lo riconosceranno de facto, ma in realtà la situazione sta andando in quella direzione.
Sì, questo è una specie di gioco a più livelli delle istituzioni, delle imprese statali, che hanno ancora tanti problemi da risolvere (per questo lo chiamano “dialogo tecnico”). Questo governo non può permettersi di fare altre mosse dirette.
Anche a causa della presenza della NATO in Kosovo, non credo che se succederà qualcosa la Russia verrà a “salvarvi” dalla NATO.
Sicuro. Ma con questa situazione nel mondo, cos’è la NATO? Cos’è l’UE? Cosa sono gli Stati Uniti? Hanno demolito Gaza e il presidente degli Stati Uniti ha pubblicato un video seduto in spiaggia con Netanyahu, bevendo cocktails in grandi hotel di lusso. Il mondo è diventato satirico e comico. È davvero difficile prevedere cosa aspettarsi in futuro, con questa situazione in Paesi grandi e potenti. Non vedo nessun paese in Europa e negli Stati Uniti che non si trovi in una situazione complicata. La destra (quasi partiti nazisti) con il 20% dei voti alle elezioni…e questo avrà un impatto anche sulla Serbia.
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La Repubblica Srpska in Bosnia ed Erzegovina: che rapporto ha con la Serbia? Milorad Dodik spera nella “riunificazione” dei serbi che vivono lì, è deliberatamente a favore della Russia ed estremista rispetto al progetto della “Grande Serbia”. È retorica o credi che la Serbia metterà da parte il Kosovo per concentrarsi sulla Repubblica Srpska?
Questa domanda è davvero difficile. Ieri Dodik è stato condannato, ha chiamato Vučić per chiedere aiuto e lui è venuto subito. Giocheranno questa partita, ma dipende da quale sarà la posizione dell’Occidente in Bosnia. Dodik da solo non può fare nulla: penso che l’elezione di Trump e il modo in cui si comporterà con il suo folle staff avrà un grande impatto. In ogni caso, non esiste alcun potere per farlo. Non credo che sarà possibile anche per ragioni militari, è una guerra e nessuno la vuole a lungo termine. Nessuno degli attori lo vuole.
Molti analisti che guardano alla Bosnia (ma anche alla Serbia) ritengono che questa sia un’area di possibile conflitto futuro. Sei d’accordo?
Penso che sia esagerato nei media occidentali. Questa è una narrativa di “balcanizzazione” che dice che qui c’è sempre una guerra. Forse potrebbero esserci delle profezie, ma qui non è così. Completamente diversa è la dinamica che riguarda l’esterno della regione, più che l’interno. L’unica ragione per cui i Paesi qui possono entrare in conflitto è la necessità di restare al potere, non per altre aspirazioni. Con la situazione attuale, se Trump si allineerà alla Serbia, non penso che la situazione del Kosovo cambierà molto, dato che negli Stati Uniti c’è una forte lobby albanese. Anche la Bosnia ha alcune questioni aperte, ma non prevedo che succeda qualcosa del genere. Ma non si può mai dire.
Anche a causa delle differenze etniche? Penso ad esempio alla Bosnia, dove tre etnie sono state riunite in un Paese che di fatto è stato messo in piedi da un trattato.
Credo che i cambiamenti nel Paese possano essere apportati solo con l’accordo di tutte le parti. Lo scoppio di una guerra, in ogni caso, sarebbe per loro una causa persa. Voglio dire, non si può fare una guerra in Bosnia. Hanno il loro territorio, sarebbe un suicidio. Se succede qualcosa del genere è perché la Bosnia è uno Stato completamente disfunzionale, poiché è folle il modo in cui è organizzata la burocrazia, i tribunali e in generale il Paese. I politici hanno creato questa narrazione secondo cui non vogliono questo tipo di Bosnia a favore delle “cose loro”. Forse se la Croazia entrasse in tutto questo, potrebbe verificarsi una sorta di scissione della Bosnia. È qualcosa che non mi sarei aspettato due anni fa, ma ora con questa follia nel mondo puoi aspettarti qualsiasi cosa.
Dato che hai menzionato la Croazia, studiando la regione ho visto che la Croazia sta esercitando il suo potere di veto per impedirvi di aderire all’UE. Ci sono tensioni tra Serbia e Croazia?
Le tensioni tra Serbia e Croazia ci sono sempre, ma per lo più sono farlocche. Serbia e Croazia sono come il topo e il gatto, come l’Inter e il Milan, come la Juventus e il Napoli: qualche disaccordo c’è sempre. In molti articoli pubblicati su Balkan Insight puoi vedere tecnicamente cosa chiede la Croazia, come le riparazioni di guerra, ma in sostanza la Croazia è stata ingenua durante la guerra. C’era un diffuso nazionalismo estremo, il Paese è stato colpito dall’olocausto, e ora il nazionalismo è estremo come lo è in Serbia, ma in Croazia è contro i serbi. Quando vinci una guerra, lo inserisci nelle menti e nella storia di un Paese. Lo hanno fatto vincendo la guerra contro i serbi e praticando la pulizia etnica. Quando ero ragazzino vivevo lì, e posso dire che è tangibile. La Croazia ora può adottare questo atteggiamento perché è in una posizione di potere, essendo un Paese dell’UE. La Serbia, dal canto suo, ha addirittura accusato i servizi segreti croati di aver influenzato gli studenti nelle proteste. Questa è una teoria folle.
Foto copertina: Belgrado. Foto di Valentina Chabert, Opinio Juris