El Salvador: il nuovo megacarcere è un ostacolo ai diritti umani


In El Salvador, il megacarcere voluto da Bukele, fa parte della strategia securitaria nella “guerra alle maras”. Ma le organizzazioni accusano il Governo di violazione dei diritti umani.


Nasce in El Salvador “la più grande prigione d’America”. Presentato in pompa magna dal presiedente Nayib Bukele, il Centro de Confinamiento del Terrorismo (CECOT) accoglierà i membri delle pandillas contro i quali è da tempo in atto una guerra capeggiata dal Governo in carica. Il megacarcere –centrale, secondo Bukele, nella lotta alla criminalità – ha scatenato nuove critiche da parte delle organizzazioni per i diritti umani che già da tempo accusano il Governo di fare ricorso a torture e arresti arbitrari come strumenti per arginare le maras.

Cosa sono le maras?

Le maras, o pandillas, sono gang salvadoregne originariamente nate negli Stati Uniti a cavallo fra gli anni ‘80 e ‘90. Nel giro di pochi anni hanno esteso il proprio raggio d’azione, controllando le periferie più povere e le aree rurali devastate dalla Guerra civile (1979 -1992) combattuta nei territori al confine fra El Salvador, Honduras e Guatemala. Fra i primi mareros abbiamo, infatti, gli orfani della Guerra civile che, a causa delle ostilità, sono stati abbandonati a loro stessi trovando nel sistema delle gang una “famiglia” che li accogliesse e proteggesse.
Ad oggi le pandillas – che contano 60.000 soldati effettivi e 500.000 fiancheggiatori – nelle zone poste sotto il loro controllo si occupano di diverse attività illecite, tra le quali: traffico di armi, furti di auto, estorsione, traffico di droga, sequestri a scopi economici, traffico di organi e omicidi. Al loro interno ci sono prevalentemente giovani e giovanissimi, reclutati con estrema facilità perché spesso cresciuti in un contesto di degrado sociale e violenza che non offre loro alcuna opportunità educativa o professionale.
Qualcuno, raramente, riesce a fuggire verso gli Stati Uniti o in Messico. Tuttavia, nella maggior parte dei casi in tanti restano in El Salvador dove verranno arruolati, anche forzatamente, tra le fila delle maras quando hanno tra i 13 e i 14 anni. Ad oggi sono due le pandillas principali, alle quali si aggiungono altri gruppi minori. La Mara Salvatrucha (MS – 13) è la più nota. Nata negli anni ‘80 a Los Angeles per proteggere gli immigrati salvadoregni dalle violenze delle gang messicane e afroamericane, ha poi approfittato della diaspora causata dalla Guerra civile per estendere la propria rete operativa. Successivamente la Mara Salvatrucha si è attivata anche in patria, sfruttando a proprio vantaggio la politica delle deportazioni portata avanti dagli Stati Uniti alla fine degli anni ‘90.
Da allora la rete tentacolare di quella che è considerata la mara più pericolosa, si è estesa coinvolgendo: Canada, Messico, Guatemala, Honduras, Spagna Portogallo e Italia. Il maggiore rivale della Mara Salvatrucha è Barrio 18, pandilla con la quale ci sono stati numerosi scontri  violenti, spesso mortali, legati alla spartizione dei territori da controllare e alla gestione del narcotraffico. Nata anche quest’ultima a Los Angeles, ma negli anni ‘60, è cresciuta numericamente dapprima grazie al coinvolgimento della mafia messicana e, successivamente,  reclutando nuovi membri nelle scuole e al di fuori delle comunità ispaniche lì presenti.
A partire dalla metà dello scorso decennio, Barrio 18 si è scissa in due parti: da una parte i Revolucionarios, operativi nei dipartimenti di La Libertad, La Paz e San Salvador. A loro va la responsabilità di uno degli assalti più violenti mai commesso da una mara.
Il 20 giugno 2018, infatti, nel comune di Mejicanas (dipartimento di San Salvador) alcuni pandilleros hanno dato fuoco ad un autobus provocando la morte di 17 persone. Dall’altra parte ci sono, invece, i Sureños, attivi nei dipartimenti di Sonsonate, Santa Ana, Cuscatlán, Usulután e nella zona est di San Salvador.
Nel 2009 i suoi membri si sono resi responsabili dell’omicidio di Christian Poveda – fotografo e giornalista franco spagnolo – che durante l’anno precedente aveva girato un documentario sulle maras salvadoregne.

Leggi anche:

Il centro

Lo scorso 31 gennaio è stato inaugurato a Tecoluca (70 km a sud di San Salvador), nel mezzo di un’estesa campagna disabitata, il Centro de Confinamiento del Terrorismo. Il megacarcere, i cui lavori sono stati svolti piuttosto rapidamente nell’arco di 7 mesi, occupa uno spazio formato da 236 blocchi di terreno e 33 di costruzione per un’estensione totale pari a 230 mila metri quadri. Raccoglie al suo interno 8 edifici per un totale di 5.400 metri quadri, al cui interno sono presenti 19 torri di guardia, ognuna presieduta da 7 agenti.
Il tutto è circondato da due recinzioni perimetrali a maglie cicloniche, elettrificate a 15 mila volt, e altre due recinzioni in cemento alte 11 metri e lunghe 2 chilometri.
La megaprigione è – come ha raccontato Osiris Luna, Direttore generale dei Centri penali di El Salvador – sorvegliata da 600 soldati e 250 poliziotti schierati per sorvegliare la struttura.
Ma non solo; i funzionari del Governo hanno assicurato che una pattuglia dell’esercito si occuperà di sorvegliare la periferia della città in modo da evitare qualsiasi tipo di coinvolgimento con la popolazione[2]. Ciascun padiglione del CECOT – che potrà ospitare al suo interno 40.000 detenuti controllabili grazie ad una specifica dotazione tecnologica – comprende una serie di 32 celle dotate di sbarre in acciaio rinforzato in grado di accogliere oltre 80 detenuti. Ciascuna camerata, in uno spazio di 100 metri quadri, disporrà di 2 bagni, 2 lavandini e 80 posti letto in lamiera di ferro senza materassi.
Tutti i padiglioni del CECOT – oltre che da queste celle “più tradizionali” – saranno dotati di una serie di celle di punizione in cemento armato, completamente chiuse e prive di ogni illuminazione, che verranno utilizzate per isolate i detenuti in caso di cattiva condotta. All’interno della megaprigione non sono stati costruiti cortili o spazi ricreativi, pertanto i pandilleros saranno autorizzati a lasciare le proprie celle solo per assistere ai relativi processi che però avverranno in modalità virtuale.
A fine febbraio è stato eseguito il primo trasferimento nel CECOT di 2.000 detenuti, arrestati nell’ambito di una megaoperazione condotta dalla polizia che ha portato all’arresto di 64 mila persone. Durante il trasferimento – effettuato in nottata e accompagnato da rigide misure di sicurezza – i pandilleros hanno percorso i 100 chilometri che speravano la prigione di Izalco dalla loro nuova destinazione sempre ammanettati e a capo chino.

La politica dell’uomo forte di Bukele: il video del primo trasferimento nel CECOT

L’apertura della “prigione più grande d’America” è stata accompagnata da un video pubblicato dagli account Twitter del presidente Bukele e della Presidenza della Repubblica[4]. Nel video – utilizzato per dimostrare quanta forza e quanto potere il Governo è in grado di esercitare – il Presidente assicura che il CECOT «sarà la nuova casa [dei pandilleros] dove vivranno per decenni, mescolati, senza poter più provocare alcun danno alla popolazione»[5].


La messa in scena è imponente e perfettamente organizzata. Le telecamere si focalizzano su centinaia di uomini dal capo rasato – vestiti di sole mutande bianche, ammanettati e incatenati – costretti a camminare con il corpo piegato mentre vengono trasferiti nel nuovo carcere di massima sicurezza. Il video inizia con i detenuti che corrono, con le mani incrociate sulla testa e i volti perplessi su cui indugiano le telecamere, mentre ascoltano gli ordini dei poliziotti.
Rapidamente i membri delle maras vengono fatti sedere nell’imponente androne, uno addosso all’altro, finché l’intero padiglione si riempie mostrando un’enorme massa umana di corpi, teste, braccia e schiene tatuate. Il numero di telecamere utilizzate per questa massiccia operazione mediatica è imponente; sono presenti nelle vecchie carceri, all’interno degli autobus e lungo l’autostrada che collega la vecchia struttura alla nuova.
Il video del primo trasferimento è stato accompagnato poco meno di un mese dopo – il 15 marzo 2023 – da un secondo video, sempre condiviso tramite Twitter dal presidente. La messinscena è ancora una volta imponente, tesa a spettacolarizzare il trasferimento con tanti primi piani e riprese dall’alto. Nella didascalia che accompagna il video, scrive Bukele – quasi burlandosi delle tante critiche precedenti -: «Oggi, con una nuova operazione, abbiamo trasferito il secondo gruppo di 2.000 membri delle pandillas nel Centro di detenzione per il terrorismo (CECOT). Questo porta a 4.000 il numero totale di membri di bande nel carcere più criticato al mondo»[6]. Il piglio cinematografico e propagandistico dei due video, nonché l’imponente struttura voluta da Bukele di fatto non sono altro che gli ultimi due tasselli di una strategia ben precisa e delineata che il presidente salvadoregno sta portando avanti da diverso tempo.
Una strategia securitaria volta a dimostrare quanta forza il Governo è in grado di esercitare nei confronti dei pandilleros per piegarli alla propria volontà. In nome di questa strategia – in atto dopo che nel 2021 gli episodi di violenza e gli omicidi hanno raggiunto cifre stellari – è stato applicato lo stato d’emergenza, tuttora in vigore. Ciò ha prodotto, da un lato, una drastica diminuzione degli omicidi e all’arresto di 60.000 membri di varie bande; dall’altro, all’esecuzione di abusi su larga scala, come confermato da Human Rights Watch (HRW).
Abusi da parte delle forze dell’ordine, arresti arbitrari ed episodi di repressione violenta sono stati dunque presentati alla popolazione come la contropartita necessaria dopo decenni segnati dalla ferocia delle maras. In questo senso è interessante notare quanto questa strategia, sebbene abbondantemente criticata fuori dai confini nazionali, sia ben accolta e apprezzata dalla popolazione nazionale ormai abituata a considerare ordinaria la sospensione dei diritti umani dei pandilleros detenuti, in nome di una maggiore sicurezza interna. Il successo dell’approccio voluto da Bukele è, inoltre, confermato dai recenti sondaggi che assegnano al presidente salvadoregno indici di gradimento elevatissimi. Ciò avvalora la tesi secondo cui la “guerra alle maras” è diventata terreno di battaglia elettorale per Bukele, deciso ad essere rieletto nel 2024 grazie ad una sentenza della Corte Suprema da lui stesso nominata.

Le denunce e i timori delle organizzazioni per i diritti umani: il rapporto di Human Rights Watch

La costruzione del megapenitenziario prima, e il trasferimento dei primi 2.000 detenuti poi, ha generato una nuova ondata di critiche da parte delle organizzazioni per i diritti umani, da tempo dubbiose sulla legittimità delle azioni portate avanti dall’Esecutivo. A fine gennaio 2023 – poco prima dell’apertura del CECOT – l’organizzazione internazionale nel suo rapporto annuale sullo stato dei diritti umani in El Salvador, si è opposta alle violenze perpetrate durante l’ultimo anno mettendone in dubbio l’utilità. Mentre era in vigore lo stato d’emergenza – denuncia l’Organizzazione – «le autorità hanno commesso diffuse violazioni dei diritti umani, tra cui la detenzione arbitraria di massa, sparizioni forzate, maltrattamenti durante la detenzione e violazione delle norme riguardanti il giusto processo»[7]. Nonostante ciò, prosegue HRW, «le bande continuano ad esercitare totale controllo su alcuni quartieri e ad estorcere denaro ai residenti. Reclutano con forza bambini e abusano sessualmente di donne, persone lesbiche, gay, bisessuali e transessuali. Uccidono, fanno sparire, violentano o sfollano con la forza chi si oppone»[8]. Il rapporto dedica ampio spazio agli abusi indiscriminati commessi dalle forze di sicurezza durante lo stato d’emergenza – le quali hanno fatto ricorso a tortura e trattamenti inumani e degradanti – e agli arresti aventi spesso per oggetto reati imprecisati e approssimativi. In questo senso l’organizzazione Cristobal – scrive HRW – ha riferito di oltre 2.900 casi di violazione dei diritti umani durante l’ultimo anno. Oltre 54.000 sono state le persone arrestate e poste sotto custodia cautelare, portando ad un sensibile incremento della popolazione carceraria che è arrivata a 97.000 detenuti – cifra che supera di tre volte le capacità ufficiali -.
Ciò ha prodotto un ulteriore peggioramento delle condizioni carcerarie, già storicamente caratterizzate da sovraffollamento, violenza, scarso accesso a cibo e acqua potabile. Durante l’ultimo anno – denuncia il rapporto – oltre 90 detenuti sono morti in carcere; in alcuni casi le autorità hanno scelto di non svolgere alcuna autopsia e di non seguire gli standard legali e medici richiesti a livello internazionale. Peranto, alla luce di queste evidenze, Human Rights Watch si dice decisa ad opporsi sia l’attuale strategia prescelta da Bukele, che al nuovo megacarcere.
Quest’ultimo non solo prevede spazi per i detenuti notevolmente ridotti[9], ma cristallizza la volontà del Governo a favorire al carcerazione di massa come unica soluzione. Parlando del primo trasferimento di pandilleros realizzato al suo interno, il vicedirettore ad interim della Divisione Americhe di HRW Juan Pappier, ha dichiarato: «Questo trasferimento ha lo scopo di cercare di controllare la narrazione e di diffondere la retorica dell’uomo dalla mano forte. Bukele ha sviluppato un modello di repressione e di negoziati oscuri con le bande, alle spalle del popolo salvadoregno»[10].
Parlando del CECOT Pappier si dice certo della sua inutilità per la popolazione locale: «questa prigione è un simbolo delle politiche di sicurezza punitive di Bukele che gli permettono di mantenere elevatissimi gli indici di popolarità. Ma non ho dubbi che a lungo andare non ci sarà più sicurezza per i salvadoregni. L’esperienza in El Salvador dimostra che queste misure, se non accompagnate da buone pratiche politiche che affrontano i problemi strutturali, non riusciranno a frenare il livello di violenza»[11].


Note

[1] I primi detenuti trasferiti nella nuova prigione di El Salvador a fine febbraio addossati gli uni agli altri prima di essere spostati nelle celle (EPA/Government of El Salvador).
[2]«El Salvador: de Pulgarcito a gran carcelero de América», DW, https://www.dw.com/es/el-salvador-de-pulgarcito-a-gran-carcelero-de-am%C3%A9rica/a-64627889.
[3]Le celle viste dall’interno in una foto condivisa su Twitter dal deputato della commissione Sicurezza pubblica Mauricio Ortiz, https://twitter.com/MauricioOrtizES/status/1636115641303269378?s=20.
[4]Per maggiori approfondimenti si veda: https://twitter.com/PresidenciaSV/status/1629466247946735617?s=20.
[5]Per maggiori approfondimenti si veda: https://twitter.com/nayibbukele/status/1629165213600849920?s=20.
[6]Per maggiori approfondimenti si veda: https://twitter.com/nayibbukele/status/1636074901684494337?s=20.
[7]HUMAN RIGHTS WATCH, «El Salvador events of 2022», https://www.hrw.org/world-report/2023/country-chapters/el-salvador.
[8]Ibidem.
[9]Per farsi un’idea degli spazi a disposizione: se le celle fossero al completo ogni detenuto avrebbe a disposizione circa 1.25 metri quadrati, servizi sanitari compresi. Uno spazio ampiamente al di sotto dei 4 metri quadrati per detenuto previsti dal Consiglio d’Europa.
[10]C. S. MALDONADO, «Bukele exhibe a miles de presos como una demostración de poder sobre las maras», El País, 28/02/2023, https://elpais.com/internacional/2023-02-28/nayib-bukele-exhibe-a-miles-de-pandilleros-en-un-traslado-espectacular-a-su-enorme-carcel-contra-el-terrorismo.html.
[11] Ibidem.


Foto copertina: AME7531. TECOLUCA (EL SALVADOR), 24/02/2023.- Fotografía cedida por el gobierno de El Salvador donde se registra el traslado de pandilleros al Centro de Confinamiento del Terrorismo (CECOT), hoy en La madrugada en Tecoluca (El Salvador).