Politica di difesa comune europea: come cambia la prospettiva a pochi mesi dalle elezioni


Si parla sempre più spesso di Politica di Sicurezza e Difesa Comune europea. Le tensioni internazionali richiedono un cambio di passo e, con le elezioni europee alle porte, l’argomento sarà centrale anche nella campagna elettorale.


Il 2024 si apre come anno delle elezioni: più della metà della popolazione europea si recherà alle urne in questo anno, e con le elezioni europee di giugno, è tempo di interrogativi. Uno dei temi centrali di questa tornata elettorale sarà inevitabilmente la politica di difesa comune europea. Non si può guardare alle politiche europee senza riflettere sullo scenario internazionale in tensione; con il conflitto in Ucraina e quello in Medio Oriente, sono in molti a pensare alla necessità di armare l’Unione per prevenire qualunque evenienza. Il tema per il momento viene dibattuto in sede di Commissione Europea dove una strategia di difesa comune è in fase di elaborazione. La Politica di Sicurezza e di Difesa Comune dell’Unione Europea (PSDC) d’altronde ha conquistato maggiore attenzione nell’agenda della Commissione, proprio alla luce delle maggiori tensioni internazionali; conflitti, rapporti diplomatici incrinati, necessità di fornitura di armi ecc. sono tutti elementi, la cui importanza diviene fondamentale in seno alle istituzioni[1].

PSDC: il quadro completo

Per comprendere al meglio è bene specificare cosa comprendono le Politiche di Sicurezza e di Difesa Comune europee. Per definizione tali politiche mirano a sviluppare negli Stati membri una cultura strategica europea. L’obiettivo sarà, in prospettiva, la risoluzione di tensioni e conflitti in maniera congiunta e con il coinvolgimento di tutti gli Stati membri. Il concetto di base però è stato oggetto di una costante evoluzione, anche a causa dello stravolgimento dello scenario internazionale. Le disposizioni che le hanno dato vita si trovano nel Trattato sull’Unione Europea (TUE) siglato a Lisbona nel 2009. A livello istituzionale è il vicepresidente della Commissione Europea che ne gestisce le fila in qualità di autorità principale. Tale ruolo attribuisce anche un potere decisionale a chi lo detiene. Oggi questo ruolo è di Josep Borrel, in carica dal 2016. Tuttavia negli ultimi 10 anni circa, i cambiamenti sono stati molteplici, ma molti di questi hanno avuto luogo a partire dal 2022, ovvero a seguito dello scoppio del conflitto in Ucraina. In sostanza, la PSDC ha reagito alle pressioni esterne ed in sede di discussione è diventata sempre più centrale. Oggi l’ipotesi di un esercito europeo non è considerata più così assurda.

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Come cambia la difesa comune

Si può dire che la PSDC non è stata concepita come misura statica e, le evoluzioni succedutesi nel corso degli anni ne sono la dimostrazione. Il primo ritocco è avvenuto nel 2016 quando, sotto la guida di Federica Mogherini, sono state individuate cinque priorità per la difesa comune europea: la resilienza degli stati ad est e a sud dell’Unione; prospettive di cooperazione regionale; governance globale; approccio comune ai conflitti; sicurezza dell’UE. Nel 2021 invece, la stessa Unione Europea ha cominciato ad interrogarsi sulla necessità di aumentare il focus sulle politiche di difesa comune. Per questo è stata messa a punto una bussola strategica, ovvero una sorta di vademecum che definisce le strategie d’azione per difesa e sicurezza valida per tutta l’Unione[2]. il documento contempla una visione che va di 5 ai 10 anni, ma che comunque non poteva tener conto della guerra tra Russia e Ucraina scoppiata di lì a poco. Il documento infatti è stato modificato proprio perché bisognava tener conto della nuova situazione internazionale, compromessa dalle violenze. Molte cose sono cambiate: ad esempio la Danimarca, che aveva scelto di non partecipare alle politiche di difesa comune, vi ha aderito proprio a seguito del 24 febbraio 2022. In generale però, è cambiata proprio la posizione europea, che adesso avverte da vicino l’imminenza del conflitto e seppure la minaccia russa su Bruxelles non è ipotizzabile al momento, l’allerta resta alta.

Nuove prospettive in vista delle elezioni

Il progetto europeo potrebbe allargarsi ad est, questa è una prospettiva. Ed è proprio per questi motivi che una politica militare comune e delle discussioni in tal senso diventano centrali nelle istituzioni europee. Lo ha ribadito Macron, ma anche il Ministro degli Esteri italiano Antonio Tajani: serve una difesa comune europea. D’altronde dalla prospettiva dei governi degli stati membri, la percezione è quella di un conflitto che si affaccia ai propri confini, e se si guarda all’Ucraina si potrebbe pensare che la teoria non sia così infondata[3]. Per questo motivo, la tornata elettorale del 2024 nell’Unione Europea, impegnerà i partiti in lizza sul tema della difesa comune. I trionfi e le sconfitte saranno determinati probabilmente da come i partiti si schiereranno in merito a temi quali il supporto logistico e militare all’Ucraina, la posizione nei confronti di Israele e della Palestina, i rapporti con il comparto militare degli Stati Uniti, ed infine con l’Africa. In Italia la lotta in tal senso è già cominciata e si sprecano le prese di posizione. Sta di fatto che, il nuovo Parlamento Europeo post elezioni sarà il frutto di tale dibattito; a tutti gli effetti sarà derivato da una prospettiva di difesa comune totalmente nuova.

Politica di difesa comune europea: nel concreto

Ci sono un po’ di elementi da tenere in considerazione quando si parla di PSDC. Sicuramente l’idea dominante è quella di rafforzare le strategie integrate e favorire politiche comuni, fino a raggiungere l’esercito dell’Unione Europea come fine ultimo. Tuttavia bisogna considerare un paio di cose; una nel breve termine e un’altra nel medio-lungo. In primo luogo infatti, c’è da dire che attualmente, la difesa europea è supportata abbondantemente da truppe e strumentazioni americane. Ora, va tenuto conto che anche negli Stati Uniti si voterà quest’anno e che, nei programmi del candidato Trump, il supporto all’Europa è molto marginale. Questo lo sanno bene gli stati membri dell’UE che nel 2023 si sono affrettati a stipulare dei bilaterali con Washington per sviluppare progetti di difesa congiunta dei confini. Cosa potrebbe succedere se, a seguito dell’elezione di Trump alla Casa Bianca, le truppe statunitensi venissero richiamate? Bisognerebbe colmare quel vuoto[4]. Nel medio-lungo termine invece, c’è da considerare un fattore non secondario quando si parla della creazione di una difesa comune comprendente anche un esercito: il fattore economico. Analizzando per linee generali, anche i paesi che se la passano meglio rispetto ad altri in termini di bilancio, non potrebbero dirsi in grado di finanziare una spesa militare alta, senza fare qualche rinuncia. È possibile pensare che un ipotetico esercito europeo costerebbe molto e gli stati membri potrebbero ricavarli solo sottraendo parte della spesa militare utilizzata a supporto della NATO. Questo costituirebbe un problema importante perché in realtà, le due forze dovrebbero lavorare in maniera complementare. Ad ogni modo, c’è da considerare che alla luce dello scenario internazionale totalmente destabilizzato, l’UE deve calcolare bene le prossime mosse. Armare un esercito in funzione di una sicurezza e una difesa comune va bene, ma ciò potrebbe cambiare il volto con cui l’Unione si è imposta nel mondo fino ad ora, quello di una realtà diplomatica e mediatrice. Con la nuova prospettiva, potrebbe finire per diventare l’ennesimo player pronto a mostrare i muscoli, proprio come gli altri.


Note

[1] https://www.europarl.europa.eu/factsheets/it/sheet/159/politica-di-sicurezza-e-di-difesa-comune
[2] https://www.internazionale.it/opinione/pierre-haski/2024/01/18/difesa-comune-europea
[3] https://www.ips-journal.eu/topics/foreign-and-security-policy/echoes-of-unity-7275/
[4] https://www.leurispes.it/laboratorio-europa-dibattito-condiviso-sulla-sicurezza/


Foto copertina: Presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen