A dieci anni dalla Rivoluzione dei Gelsomini la situazione in Tunisia è ancora molto interessante e sorgono molte domande in merito all’esito del radicale cambio politico: il successo della costituzione del 2014, cosa è cambiato da dieci anni a questa parte e perché la rivoluzione tunisina non ha prodotto esiti disastrosi? Ne parliamo con Leila El Houssi, storica e professoressa di Storia delle istituzioni dell’Africa presso la Sapienza di Roma che ha insegnato anche Storia dei paesi islamici presso l’Università di Padova e Storia del Medio Oriente presso l’Università di Firenze.
Il 17 dicembre di dieci anni fa il gesto estremo di Mouhamed Bouazizi innescò la Rivoluzione dei Gelsomini in Tunisia contro il regime di Ben Alì e segnò l’inizio delle Primavere Arabe che tra il 2010 e il 2011 cambiarono gli assetti politici del Nordafrica[1]. Dieci anni dopo la Tunisia sta ancora percorrendo la strada della democratizzazione riuscendo a distinguersi da altri Stati dove le Primavere Arabe hanno impattato in maniera differente, ma quale sarà il futuro di questo Paese e qual è il suo presente?
A molte delle domande sul presente e sul futuro della Tunisia risponde Leila El Houssi, storica e professoressa di Storia delle istituzioni dell’Africa presso la Sapienza di Roma che ha insegnato anche Storia dei paesi islamici presso l’Università di Padova e Storia del Medio Oriente presso l’Università di Firenze.
Rispetto ad altri Stati magrebini la Tunisia è riuscita ad avere una Costituzione più completa e più moderna. A cosa è dovuto questo processo costituzionale?
Innanzitutto la Tunisia nel 2014 promulgò la nuova Costituzione, nata da un dibattito tra le varie anime che componevano il Governo e il Parlamento Tunisino. Bisogna sempre fare un riferimento storico: la Costituzione del 1959 era già una Costituzione più moderna – tra l’altro quella del 2014 la ricalca molto- perché comunque già dal 1957, dopo essersi liberata dal giogo coloniale francese, la Tunisia era sotto Bourghiba. L’allora presidente Bourghiba ha improntato una riforma modernista per un Paese che fosse “nuovo” all’indomani del Protettorato.
Nell’ottobre del 2011, quasi un anno dopo la fine del regime di Ben Ali, è stata convocata l’Assemblea Costituente con l’obiettivo di redigere una nuova Costituzione che è stata inizialmente il frutto di un acceso dibattito, fatto di scontri e di confronti tra le varie anime politiche e parlamentari nonché con la società civile.
La Costituzione del 2014 ricalca in parte quella del 1959 quindi esiste una continuità, indubbiamente nella Costituzione del 2014 ci sono alcuni elementi di novità: uno degli elementi più importanti è il fatto che è stata sancita la libertà di coscienza.
E’ stato molto dibattuto anche l’ex art 28 riguardante la parità tra uomo e donna, di fatto una parte consistente dell’Assemblea Costituente legata al partito Ennahda[2] insistette per inserire il concetto di complementarietà tra uomo e donna. Questo ha scatenato un confronto acceso e il 13 agosto ci furono manifestazioni che sostenevano scorretto inserire la complementarietà perché in Tunisia c’è sempre stata la parità tra uomo e donna.
In questo ha vinto la società civile e oggi all’interno della Costituzione abbiamo mantenuto la parità. Con la complementarità non si sarebbe tornati indietro, ma si sarebbe “inventata” una tradizione.
Nel gennaio del 2014 lo scrittore Tahar Ben Jelloun indicò la Costituzione Tunisina come “rivoluzionaria” per la parità tra uomini e donne. Qual è la condizione del genere femminile oggi in Tunisia dopo il 2014?
Il discorso della parità tra uomo e donna in Tunisia c’è sempre stato sin dai tempi di Bourghiba e addirittura se vogliamo tornare più indietro abbiamo già negli anni trenta il sindacalista tunisino Ferhat Hached che sosteneva la lotta per l’emancipazione femminile.
Questo concetto di parità non è rivoluzionario nel Paese bensì per la Regione perché la Tunisia aveva già la parità dal punto di vista legislativo, altro conto è l’aspetto sociale: la cultura patriarcale è presente in Tunisia così come lo è in molti altri paesi dell’area mediterranea. La cultura patriarcale è trasversale e non fa parte solo del discorso religioso, anche in Italia e in Europa questo tipo di cultura è presente. Da un punto di vista legislativo la parità c’era anche prima: ricordiamo inoltre che nel 1956 in Tunisia Bourghiba[3] aveva fatto stendere un codice in cui abolisce poligamia e matrimonio riparatore e adotta il divorzio. Tutto ciò diede, già nel 1956, una spinta verso l’emancipazione femminile. Il concetto di parità fa parte della Tunisia e c’è sempre stato.
La Tunisia è tra i Paesi dell’Organizzazione della Cooperazione Islamica dove la Sharia non gioca alcun ruolo nel proprio sistema giuridico. Quanto è importante separare la religione dallo Stato nei Paesi Islamici?
Bisogna fare anzitutto una premessa sul discorso della Sharia: questa, in alcuni Paesi dell’area MENA3, gioca un ruolo importante nel sistema giuridico ma in Tunisia non è assolutamente all’interno dei principi costituzionali. Bisogna distinguere quello che è il sistema giuridico nazionale del paese rispetto alla questione religiosa, nella costituzione tunisina il primo articolo dice che la Tunisia è una Repubblica e l’Islam è la sua religione ciò però non significa che ci sia pienamente condizionata dall’Islam. Ci sono norme che si distinguono dall’aspetto religioso, poi non c’è dubbio che su alcune questioni-come il discorso dell’eredità o dell’omosessualità- ci sia l’aspetto religioso che in un certo senso entra. Prendiamo ad esempio il discorso sull’eredità, sappiamo che in molti paesi mussulmani ci sono norme che dimezzano l’eredità della donna rispetto quella dell’uomo, in Tunisia si dovrebbe superare questa situazione e il discorso è già cominciato con Essebsi. Già negli anni ’50 però Bourghiba cambiò la legge permettendo alle figlie donne uniche di ereditare tutto il patrimonio della famiglia mentre in altri paesi islamici l’eredità anche se si è figlie uniche va condivisa con altri parenti. Altro discorso è quello poi del matrimonio tra una donna mussulmana che voglia sposare un uomo di fede differente: in altri Paesi l’uomo si dovrebbe convertire all’Islam in caso di matrimonio. In Tunisia la questione resta invece aperta anche se non è stata risolta, ancora si sta lavorando sul superamento.
Quali sono i prossimi passi per la crescita della Tunisia?
La Tunisia sta facendo dei passi in avanti abbastanza importanti dal punto di vista del processo di democratizzazione da quando c’è stata la rivolta nel 2011. Siamo ancora all’inizio, a mio avviso, nel senso che dobbiamo sempre pensare che è un Paese dal 1956 al 2011 ha avuto soltanto due presidenti e quindi stiamo parlando di un “deficit di democrazia” perché per trent’anni c’è stato Bourghiba[4] al potere e per ventiquattro anni c’è stato Ben Alì e quindi è dal 2011 che la Tunisia sta costruendo un faticoso percorso di transizione democratica.
Questo percorso non potrà essere portato a compimento in pochissimo tempo, ci vuole molto più di 10 anni per un percorso di democratizzazione. Io credo che ancora la Tunisia sia in transizione ma è possibile già vedere la crescita basti pensare al fatto che nel 2011 ci sono state le prime elezioni libere, poi nel 2014 la promulgazione della Costituzione, poi ci sono state altre elezioni ed un’alternanza politica: abbiamo avuto un partito islamico e poi un altro partito, l’anno scorso è stato eletto un presidente non legato ad alcun partito politico ma con un grande consenso popolare.
Siamo sulla via della democratizzazione, ci sono ancora molti passi da fare ma avverranno con il tempo. Il percorso per la democrazia è sempre stato duro nella storia e la democrazia non arriva in due giorni!
Le primavere arabe sono ancora in corso in alcune zone o sono un processo che può dirsi terminato?
Io non amo il termine Primavere Arabe: lo trovo mediatico e sminuisce il sentimento espresso dalle popolazioni di quella regione contro dei sistemi di regime, dittatoriali, corrotti, senza libertà di espressione e dove i diritti umani venivano violati.
Io definisco le “Primavere Arabe” delle rivolte che sono avvenute a cavallo tra il 2010 e il 2011 e che hanno visto alcuni paesi cambiare completamente il sistema ed altri invece non modificarsi in modo così netto come è successo in Libia, Turchia ed Egitto pur sentendo l’influenza delle rivolte.
Sul fatto che questi paesi stiano ancora “lavorando” per la democratizzazione io ci credo abbastanza: è sicuramente una situazione molto complessa, ogni Stato ha una sua specificità e una sua peculiarità. Indubbiamente tra tutti questi paesi ad oggi forse la Tunisia è quella che sta lavorando faticosamente ma molto per un percorso di democratizzazione.
Io credo che se la Tunisia fosse aiutata anche di più dall’Europa potrebbe rappresentare quel faro nel Mediterraneo in una regione così complessa.
In molti di questi Paesi ci sono state anche delle involuzioni e ancora oggi vivono in regimi di fatto, quindi il processo non è mai finito. Quello in cui credo molto è la società civile ed in quel mondo culturale ed intellettuale di questi Paesi.
Note
[1] Per uno sguardo alla storia nel decennio 2010-2020 della Tunisia https://www.opiniojuris.it/tunisia-dieci-anni-dopo-le-primavere-arabe-il-cammino-e-ancora-lungo/
[2] Ennahda (Ḥarakat al-Nahḍa) o Movimento della Rinascita, è un partito politico tunisino di orientamento islamista moderato
[3] Il termine MENA è un acronimo di “Medio Oriente e Nord Africa”(Middle East and North Africa), spesso usato da accademici, pianificatori militari ed economisti.
[4] Fu il leader della lotta per l’indipendenza e primo Presidente della Tunisia per 30 anni, dal 25 luglio 1957 al 7 novembre 1987, quando venne destituito per mano di Zine El-Abidine Ben Ali con un colpo di Stato
Foto copertina: I tunisini celebrano il quinto anniversario della Primavera araba a Tunisi il 14 gennaio 2016. VoaAfrique