Il peso del Songun e la doppia incognita Biden/COVID-19
Alla fine d’un anno denso di incognite, scandito perfino da errate voci sulla sua morte, un redivivo Kim Jong-un, durante la celebrazione del 75° anniversario della fondazione del Partito dei Lavoratori, mostra al mondo il missile balistico a lungo raggio Hwasong-16. Le dimensioni del missile, desunte dalle fotografie, delineano un diametro compreso tra 2,4 e 2,5 metri e una lunghezza di 24-25 metri, con la possibilità di trasportare un carico che va da 2500 a 3000 kg.
Pur ammettendo che la Corea del Nord non è nuova a far sfilare mockup nelle parate celebrative, il missile in questione, se operativo, potrebbe costituire un’ancora di salvezza per lo Stato asiatico nel medio e lungo periodo. Nel breve periodo, infatti, difficilmente sarà utilizzabile poiché una tecnologia MIRV (Multiple Independently targetable Reentry Vehicles) necessita di un articolato meccanismo per il rilascio sequenziale delle testate durante il volo, oltre che di un insieme di navi posizionate al largo della penisola per la ricezione e trasmissione di telemetria. Inoltre, un missile così grande difficilmente potrebbe essere mobile, dal momento che le vibrazioni del viaggio potrebbero danneggiare le giunture; sarebbe necessario, quindi, costruire siti sotterranei con pompe adiacenti alla rampa di lancio [1].
Lo Hwasong-16, anche se allo stato attuale sembra inutilizzabile, è l’ennesima rappresentazione di una politica sempre più contraddistinta dall’ideologia del Songun (“prima l’esercito”) a scapito dell’originale idea di Juche (“autarchia”). Questa visione militaresca si è consolidata a partire dagli anni ’90. Con la dissoluzione dell’Unione Sovietica, la Corea del Nord, colpita da una grave carestia e dalla crisi economica, comprese che, non potendo più contare sull’aiuto russo, doveva pensare autonomamente alla difesa, soprattutto alla luce dell’interesse statunitense per l’Asia[2]. Tutto ciò, col passare del tempo, ha portato a un ridimensionamento delle altre istituzioni, causando l’emarginazione del Consiglio di amministrazione.
L’importanza della componente militare è tale che il governo riserva ad esso la preminenza nell’allocazione delle risorse. Ma in un contesto mutato come quello odierno quanto può essere logico adottare una simile scelta? La celebre frontiera di possibilità di produzione “Guns versus Butter model” ci insegna che, se si evitano i conflitti armati, la spesa per le armi costituisce un “effetto inerziale”, ovvero risorse che avrebbero potuto essere allocate più efficacemente per il “burro”, la spesa civile. Capita, poi, che questi “beni”, come qualsiasi altro bene, siano soggetti a deprezzamento, diventando armi obsolete. Per adottare un trade off armonico fra le due componenti spesso gli Stati ricorrono ad alleanze, suddividendo l’onere delle spese militari, ma nel caso della Corea, aldilà dell’alleanza cinese, questo è impossibile. L’espressione “Si vis pacem, para bellum” è celeberrima, ed anche la formula d’epoca napoleonica con i termini invertiti è universalmente nota e semanticamente razionale, ma quanto a lungo potrà essere sostenibile un simile modus operandi prima che il sistema imploda? Riuscirà, poi, una nazione quasi interamente basata sulle forze armate a non cadere nel vortice della corruzione e della misoginia?
L’irrealistica ipotesi di un leader donna
Le notizie dallo Stato-eremo arrivano col contagocce e, talvolta, in modo contraddittorio, ma la recente investitura di Kim Yo-jong a dirigente per i rapporti con la Corea del Sud e gli USA, è stata enfatizzata dai mass media come un possibile passaggio di consegne tra i fratelli. Eppure, ammesso che le condizioni di salute di Kim Jong-un siano così precarie come dicono i media occidentali, difficilmente una donna, quantunque laureata presso la Kim Il-sung Military University, potrebbe essere accettata come leader di uno Stato autoritario di stampo militarista. Il clamore sulla sua persona ricorda, casomai, il clamore che suscitò Aisha Gheddafi quando qualcuno ipotizzò che potesse succedere al padre e, in modo più che plausibile, qualcun altro iniziò a pianificare la fine del Raìs.
In altre parole, l’attenzione dei giornali potrebbe essere utile sia per attuare l’eterno “divide et impera”, mettendo a dura prova gli equilibri di potere nordcoreani, sia per monitorare le reazioni ostili dello Stato asiatico ad una sua nomina. Uno Stato che, stando ad un rapporto trapelato all’esterno, è attanagliato da un esercito sempre più corrotto, dedito a sottrarre le vettovaglie e a venderle sul mercato nero [3]; anche gli stupri commessi dai militari, a giudicare dalle testimonianze pervenute, non sono affatto rari [4]. Le condizioni di vita di molte donne, malgrado l’ostentazione ideologica, appaiono drammatiche e la corruzione, nonostante le punizioni draconiane, è diffusa. Nel Corruption Perceptions Index del 2019 la Corea del Nord è al 172esimo posto su 180 Stati [5].
Con un simile contesto non solo l’ipotesi di un leader donna è irrealistica, ma anche una gestione ottimale delle esigue risorse lo è. Oggigiorno è essenziale investire nella ricerca ma, anche quando la Corea del Nord lo fa, è evidente l’interesse per la componente dual use. Le collaborazioni scientifiche, soprattutto con la Cina e la Germania, sono utili a bypassare le risoluzioni del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite che vietano la fornitura alla Corea del Nord di formazione tecnico-militare. Centinaia di collaborazioni scientifiche trattano l’isolamento di cavi ad alta tensione per le centrali nucleari, la tecnologia di smorzamento applicabile ai missili, la plasmonica, il tracciamento ottico e la cybersecurity. Anche quando alcune ricerche sembrano innocue, come nel caso della forestazione, in realtà nascondono una valenza dual use poiché potrebbero essere utili per attuare il camouflage delle basi missilistiche [6].
Nonostante problemi come la corruzione, il maschilismo, la malnutrizione e un ambiente economico e socio-culturale chiuso, la Corea del Nord resta uno dei paesi con il più alto q.i. medio al mondo: 102 (posizione 9) a fronte del 106 (posizione 4) della Corea del Sud [7]; il governo ha sempre incentivato, nonostante tutto, uno studio competitivo e, al tempo stesso, inclusivo, anticipando di molto il Distance Learning. Se ci fossero le condizioni favorevoli, gli scienziati nordcoreani potrebbero contribuire in modo significativo allo sviluppo umano ma il metus hostilis lo impedisce o, perlomeno, lo limita. Kim Jong-un, tuttavia, adesso deve misurarsi, come tutti i leader del mondo, col COVID 19 e questo potrebbe mutare le priorità nell’allocazione delle risorse.
Anche se ufficialmente non ci sono vittime di SARS-CoV-2, sembra statisticamente improbabile che un virus che potrebbe durare anni, per il quale si profilano anche le ipotesi di endemia e panzoozia, possa risparmiare una nazione di circa 25 milioni di abitanti. Su TripAdvisor è impossibile scovare immagini recenti, ma su Flickr, Tiktok e sulla pagina Fb dell’ambasciata russa a Pyongyang è possibile vedere diverse foto e, cliccando sui likes degli utenti, si può risalire ad altri profili e ad altre immagini; è ciò che vogliono mostrare? È lecito supporlo, eppure, qualche dettaglio sfugge inesorabilmente alle reti della propaganda: carrozze della metro stracolme di gente senza mascherina, l’inaugurazione di un quartiere costruito a tempo di record dopo il tifone ma che è pieno di case accatastate e non funzionali per l’urbanistica post-Covid, l’assenza totale di mascherine ffp2 e ffp3, gente che maneggia frutta senza guanti, bambini che giocano imperterriti in un parco senza alcuna protezione, scienziati con gli occhi non schermati da lenti protettive [8]. Tutto ciò dimostra quanto anche i nordcoreani siano a rischio.
La quarantena di un mese per chi rientra dall’estero e l’ordine di restare in casa durante le tempeste di polvere provenienti dai deserti della Mongolia e della Cina, temendo che il particolato possa trasportare il COVID [9], dimostrano che la Corea del Nord adotta alcune misure anche più stringenti di altri, tuttavia, è evidente che nel breve periodo sarà necessario stanziare più fondi a sanità, ricerca, logistica ed edilizia, ridimensionando il Songun, anche a costo di affrontare l’ostracismo dei militari o un intervento di Biden, che finora non ha certo usato toni accondiscendenti o concilianti nei confronti del leader asiatico.
Qualunque sia la decisione finale riguardo agli stanziamenti, il margine di manovra è piuttosto ridotto ed esiste la concreta possibilità, pur considerando il prevedibile appoggio cinese, che lo status quo venga sovvertito per fattori interni (golpe) o esterni (attacco mirato). Sarà, in ogni caso, estremamente difficile per Kim Jong-un fronteggiare le due incognite, addossandosi un rischio calcolato e, allo stesso tempo, destreggiandosi fra soft power e hard power.
Lanciare sporadicamente un missile balistico intercontinentale come monito, quasi sicuramente, non basterà.
Note
[1] https://www.38north.org/2020/10/melleman102120/
[2] http://www.juche-nepal.org/page/first-trace-of-songun-leadership
[3] https://www.dailynk.com/english/north-korean-probe-military-uncovers-vast-levels-corruption/
[4] https://www.hrw.org/report/2018/11/02/you-cry-night-dont-know-why/sexual-violence-against-women-north-korea
[5] https://tradingeconomics.com/north-korea/corruption-rank
[6] https://nonproliferation.org/wp-content/uploads/2018/12/op43-dprk-international-scientific-collaborations.pdf
[7] https://www.worlddata.info/iq-by-country.php
[8] https://www.flickr.com/search/?sort=date-posted-desc&text=pyongyang&advanced=1&view_all=1
[9] https://www.bbc.com/news/world-asia-54655692
Foto copertina: I soldati nordcoreani partecipano a una manifestazione di massa nella piazza Kim Il-Sung a Pyongyang il 29 novembre 2017. KIM WON-JIN / AFP / GETTY IMAGES. Foreign Policy