La Cina è quel Paese la cui economia cresce a ritmi spaventosi, che possiede l’esercito più grande al mondo e che ha avviato un progetto, la Belt and Road Initiative, troppo ambizioso per la posizione di secondo piano a cui deve soggiacere.
I leader cinesi lo sanno che per scalzare la leadership a stelle e strisce gli strumenti del soft power non basteranno e che bisognerà ricorrere anche alla forza, almeno nel “cortile di casa”.
Ma di quale forza parliamo? E siamo sicuri che anche il suo utilizzo possa bastare?
Introduzione
Nel “calcio che conta” è onnipresente l’ombra lunga delle società cinesi. È dal 2012, anno in cui Xi Jinping è diventato segretario del Partito Comunista Cinese (PCC), che montagne di soldi vengono riversate nei club europei, dall’Internazionale di Milano al Manchester City nel Regno Unito.[1]
Ma il calcio, proprio come l’esercito cinese, è un gigante dai piedi di argilla. Il desiderio di Xi di vincere prima o poi la Coppa del Mondo è grande tanto quanto quello di raggiungere la sicurezza nazionale “globale”, dove per globale si intende la protezione degli interessi commerciali ed economici oltre confine. Un desiderio che ha allarmato, e allarma ancora oggi, molti analisti americani su come la Cina, attraverso l’innovazione tecnologia, la crescita economica e il consolidamento del Partito Comunista, possa effettivamente superare gli Stati Uniti e diventare la prima cyber-potenza al mondo. Ma in tutto questo, in quali condizioni versa l’apparato militare cinese?
Non è una novità che la Cina possegga il più grande esercito al mondo ma lo è il fatto che risulta al terzo posto nella classifica delle potenze militari, dietro Stati Uniti e Russia. Ma il cambio di rotta intrapreso negli anni Ottanta dall’ex Impero Celeste, che ha visto crescere la sua economica ed estendere le ambizioni globali, ha posto gli americani innanzi ad una sfida diversa e più complessa rispetto a quella che l’Unione Sovietica presentava durante gli anni della Guerra Fredda.
La forza terrestre cinese.[2]
La Cina è il Paese più popoloso del mondo con una popolazione stimata di circa un miliardo e mezzo di abitanti (quasi il 20% della popolazione mondiale).
Il suo esercito, conosciuto ufficialmente come Esercito Popolare di Liberazione (PLA), raggruppa le forze di terra, la marina militare, la forza aerea, la forza missilistica e la forza di supporto strategico.
Esso conta circa 3.4 milioni di soldati, marinai, aviatori e paramilitari (quasi il doppio dei militari americani) di cui quasi 2/3 sono impiegati nelle forze di terra al fine di garantire la stabilità interna e proteggerne i confini.
Tuttavia, da un punto di vista logistico, questi numeri non sembrano confortanti: muovere grandi unità di soldati da una parte all’altra del territorio diventa un fattore cruciale in caso di conflitto armato e quindi di difesa della patria. In particolare, le ferrovie e le strade mostrano la maturità delle infrastrutture di una nazione e permettono, da una parte, l’accesso a settori industriali e infrastrutturali, dall’altro, una mobilitazione più efficiente in caso di guerra totale.
Ad oggi, la Cina possiede una rete ferroviaria che copre 86.000 km del territorio e una rete stradale di circa 4 milioni di km. Per farsi un’idea, anche qui diventa utile il paragone con gli Stati Uniti, i quali, a parità (o quasi) di superficie terrestre, posseggono una rete ferroviaria che copre 224.000 km del territorio e una rete stradale grande tre volte quella cinese. Inoltre, si stima anche che meno della metà delle forze di terra siano adeguatamente attrezzate (es. risorse mobili, strutture di riparazioni ecc.) per muoversi all’interno della Cina stessa in caso di “emergenza”.
Forza aerea e marina militare.
Passiamo alla forza aerea. È proprio in questo settore che l’ex Impero Celeste evidenzia la sua debolezza, oltre che nella marina militare. Si stima che la Cina possegga una flotta area attiva di 3.260 unità (tra cui elicotteri, caccia, bombardieri, ecc.) contro le 13.232 unità degli Stati Uniti e le 4.143 unità possedute dalla Russia[3]. Inoltre, come è possibile notare[4], la Cina possiede solo qualche centinaio di aerei da combattimento di “4th generation” (come il Chengdu J-10), rispetto alle migliaia degli aerei americani di quarta (tipico è il F-16 Fighting Falcon) e quinta generazione (F-22 Raptor tra gli altri).
Per quanto riguarda la marina militare, anche in questo settore la Cina domina in termini quantitativi: si stima una flotta da guerra di 777 navi e sottomarini contro le 490 unità americane. È chiaro che questi numeri incutono timori negli analisti americani, ma appuntano restano tali. Non sarebbe azzardato il paragone alla corsa agli armamenti navali anglo-tedesca del XIX secolo che accelerò lo scoppio della Grande Guerra.
È vero che la Cina è la “potenza revisionista” del nostro secolo, ed è vero che per proiettare la forza oltre i propri confini il mare resta sempre una via fondamentale, ma non bisogna dimenticare che gli Stati Uniti posseggono ben 11 portaerei a propulsione nucleare (vere e proprie basi aerei capaci di muoversi in mare), mentre la Cina ne possiede solo 2, peraltro a propulsione convenzionale.
Inoltre, diversamente dalla U.S. Navy che è dispersa in tutti i mari, la flotta cinese sembrerebbe più concentrata nella gestione del “proprio cortile”, una regione che presenta questioni di importanza politico-economica come Taiwan e il Mare Cinese meridionale.[5]
Finanziamenti e utilizzo delle risorse prime.
Altri due fattori per poter comprendere la portata militare cinese sono i finanziamenti e l’utilizzo delle risorse prime.
Per quanto riguarda il primo punto, durante la quarta sessione del XIII Congresso nazionale del popolo tenutasi il 5 marzo scorso, la Cina ha annunciato che la spesa per la difesa del 2021 ammonterà a circa 1,35 bilioni di yuan (circa 209 miliardi di dollari americani), un aumento del 6,8% rispetto ai 1,27 bilioni di yuan del 2020.[6]
Nonostante le stime possano variare, dovuto anche dalla poca trasparenza di Pechino, la spesa militare cinese si presenta come la seconda più grande al mondo dopo quella degli Stati Uniti, che a sua volta ammonta a circa 740 miliardi di dollari, quattro volte maggiore rispetto a quella cinese.
Ma non è tutto oro quello che luccica. La Cina, nonostante la sua crescita, i forti investimenti nelle tecnologie dual-use e la rincorsa all’innovazione, è ancora in ritardo rispetto al meglio equipaggiato e ben addestrato esercito americano. Inoltre, e qui passiamo al secondo punto, la Cina dipende fortemente dalle importazioni di petrolio e, in parte, di gas naturale.
In termini bellici, il petrolio è oggigiorno una risorsa fondamentale per i grandi eserciti e, teoricamente, maggiore è il suo consumo, peggiore è l’effetto su eventuali sforzi bellico. Mentre gli Stati Uniti restano il primo Paese produttore di petrolio, con circa 11 milioni di barili prodotti al giorno, la Cina è invece al settimo posto con scarsi 4 milioni di barili al giorno ed un consumo quattro volte maggiore.
Insomma, un vuoto strategico che Pechino è costretto a colmare con ogni mezzo possibile, in primis attraverso l’utilizzo di strumenti diplomatici ed economici avviati con la nuova Via della Seta.
La presenza cinese all’estero.
Mantenere la stabilità interna e accrescere il proprio status di potenza nell’Indo-Pacifico sono gli interessi immediati della Cina. Inoltre, come Xi Jinping ha avuto modo di evidenziare più volte, Pechino è chiamata anche a proteggere i propri interessi “globali”.
Ma gli strumenti di soft power non bastano per raggiungere un tale obiettivo, e ciò spiega l’impegno militare di Pechino (seppur ridotto) all’estero. Oltre alla partecipazione in alcune missioni di mantenimento della pace autorizzate dall’ONU (peacekeeping), come quella in Sud Sudan, o alle missioni di accompagnamento (escort missions), la Cina possiede anche alcune basi militari nel mondo. Basti ricordare la prima base navale aperta nel 2017 a Djibouti a soli sette chilometri di distanza da quella statunitense.
È proprio in questo Paese del Corno d’Africa, oggi conosciuto come la “Singapore africana” per via della sua posizione strategia, che la Cina ha aumentato i propri investimenti nelle infrastrutture (in primis nella rete ferroviaria), accrescendone anche la propria influenza politica, e conferendo al piccolo Stato africano lo status di partner commerciale privilegiato.[7]
Tra le altre basi militari cinesi, oltre a quelle presenti su alcune isole del Mare Cinese meridionale e dell’Oceano Indiano che formano la c.d. “collana di perle”, sono quella in Tajikistan, formalmente segreta, da cui la Cina controlla il corridoio Wakhan dell’Afghanistan[8] (le cui origini e la cui importanza strategia risalgono al “Great Game” avviato nel XIX secolo tra Regno Unito e Impero russo), e la stazione spaziale militare in Patagonia. Al di là della presenza militare, la Cina mantiene una forte presenza economica sia in Africa (di cui è il partner principale) che in America Latina, il che si tradurrebbe in influenza politica e desta preoccupazioni agli occhi dell’Occidente.
Il punto sulla Cina.
Alla luce di tutto ciò non sembra che la Cina possa raggiungere, o tantomeno superare, gli Stati Uniti nel breve periodo. Come già detto, la Cina si presenta come la Germania revisionista del XIX secolo, stanca di vivere all’ombra degli Stati Uniti, così come lo era la neo-potenza tedesca nei confronti di Francia e Regno Unito, e impaziente di trovare il suo “posto al sole”.
Ma diversamente da Guglielmo II (e da Guglielmo I prima di lui), Xi Jinping, il quale è anche stato definito l’uomo più potente al mondo[9], non dispone di uno statista quale lo fu il Bismarck. Con l’aggravante che la geografia ha sempre giocato a sfavore della Cina. Essa, infatti, confina con 14 Paesi, quattro dei quali dotati di armi nucleari (Russia, India, Pakistan e Corea del Nord) e alcuni che ospitano controversie territoriali irrisolte. Come se non bastasse, oltre a questi vicini con forti identità nazionali e ostili agli interessi dell’ex Impero Celeste, anche gli Stati Uniti sono presenti nella regione attraverso accordi di accesso (access agreements) e lo stabilimento di basi militari.
Inoltre, Pechino è molto vulnerabile quando si parla di sicurezza energetica. Come già accennato, la Cina importa enormi quantità di greggio per soddisfare il proprio fabbisogno nazionale. Più di ¾ di questo greggio vengono importati per via marittima attraversando il Mar Cinese meridionale, ma per arrivare in quel mare è necessario, a sua volta, attraversare lo Stretto di Malacca, nonché la via marittima più breve tra la domanda cinese e l’offerta dei Paesi africani e del Golfo Persico. Questo hub strategico è controllato da Singapore, un Paese (uno tra i tanti) tradizionalmente amico degli Stati Uniti.
Leggendo dietro le righe, l’interesse americano sta proprio nel mantenere l’accerchiamento delle Cina con l’obiettivo di spezzare la sua “collana di perle”.[10] Non è un caso, quindi, che i leader cinesi stiano diventando impazientemente più aggressivi, stanchi della superiorità strategia statunitense nel proprio cortile, e desiderosi di proiettare il proprio potere fuori dalla regione. Riprendendo la teoria dell’ammiraglio statunitense Alfred Mahan[11], gli Stati Uniti, partendo da potenza revisionista verso la fine dell’Ottocento, sono stati in grado di utilizzare il mare per proiettare ed espandere la propria leadership in tutto il mondo, scalzando gli inglesi dai loro domini e consolidandone il controllo.
Chissà se Xi, da grande studioso che è, aveva immaginato tutto ciò prima di affermare quali sarebbero state le ambizioni della Cina. Probabilmente, anche se di difficile realizzazione proprio come vincere un Mondiale di calcio.
Note
[1]cfr. China’s football troubles reflect broader issues within the economy,The Economist, 2021, https://www.economist.com/china/2021/05/15/chinas-football-troubles-reflect-broader-issues-within-the-economy.
[2]cfr. Global Fire Power, https://www.globalfirepower.com/country-military-strength-detail.php?country_id=china.
[3]cfr. World Air Forces – Flight Global, https://www.flightglobal.com/download?ac=75345.
[4]cfr. Military Factory, https://www.militaryfactory.com/aircraft/4th-generation-fighter-aircraft.php.
[5]cfr. ZIEZULEWICZ G., China’s navy has more ships than the US. Does that matter?, Navy Times, https://www.navytimes.com/news/your-navy/2021/04/12/chinas-navy-has-more-ships-than-the-us-does-that-matter/.
[6]cfr. Ministry of National Defense of the People’s Republic of China, http://eng.mod.gov.cn/news/2021-03/05/content_4880448.htm.
[7]cfr. CHAZIZA M., China Consolidates Its Commercial Foothold in Djibouti, THE DIPLOMAT, 2021, https://thediplomat.com/2021/01/china-consolidates-its-commercial-foothold-in-djibouti/.
[8]cfr. SHIH G., In Central Asia’s forbidding highlands, a quiet newcomer: Chinese troops, The Washington Post, 2019, https://www.washingtonpost.com/world/asia_pacific/in-central-asias-forbidding-highlands-a-quiet-newcomer-chinese-troops/2019/02/18/78d4a8d0-1e62-11e9-a759-2b8541bbbe20_story.html.
[9]cfr. The world’s most powerful man, The Economist, 2017, https://www.economist.com/leaders/2017/10/14/xi-jinping-has-more-clout-than-donald-trump-the-world-should-be-wary.
[10]cfr. BOZHEV V., The Chinese String of Pearls or How Beijing is Conquering the Sea, De Re Militari, 2019, https://drmjournal.org/2019/08/26/the-chinese-string-of-pearls-or-how-beijing-is-conquering-the-sea/.
[11]cfr. MANSHIP H.K., Mahan’s Concepts of Sea Power, in Naval War College Review, 1964, pp. 15-30, https://www.jstor.org/stable/45236517?seq=1#metadata_info_tab_contents.
Foto copertina:Soldiers of People’s Liberation Army (PLA) march in formation during the military parade marking the 70th founding anniversary of People’s Republic of China, on its National Day in Beijing, China October 1, 2019. REUTERS/Thomas Peter