Ai sensi dell’art. 51 della Carta ONU, la legittima difesa è espressamente prevista come eccezione al divieto dell’uso della forza nelle relazioni internazionali. Nello studio del diritto internazionale pubblico, particolare rilevanza ricopre la discussione concernente l’ammissibilità per uno Stato di reagire in legittima difesa dinanzi ad un “attacco armato” sferrato da attori o enti non statali, quali ad esempio individui e/o gruppi privati.
La legittima difesa è espressamente prevista dall’art. 51 della Carta ONU come eccezione al divieto dell’uso della forza nelle relazioni internazionali, stabilito dall’art. 2, para. 4 della Carta stessa. Si tratta di un’eccezione ritenuta appartenente al diritto internazionale consuetudinario, sancita da una disposizione che si è formata di pari passo con la proibizione dell’uso della forza[1].
Stando all’enunciato di cui l’art. 51, “nothing in the present Charter shall impair the inherent right of individual or collective self-defence if an armed attack occurs against a Member of the United Nations, until the Security Council has taken measures necessary to maintain international peace and security”. Affinché il diritto di legittima difesa possa essere esercitato, è necessario, pertanto, che si sia verificato un “attacco armato”: è generalmente escluso che violazioni del divieto dell’uso della forza minoris generis siano qualificabili come attacchi armati che possano giustificare il ricorso a siffatto diritto, come del resto statuito dalla Corte Internazionale di Giustizia nella sentenza sulle Piattaforme petrolifere del 2003[2].
Nell’ambito della questione in esame, un contributo fondamentale al chiarimento sul contenuto essenziale del diritto di legittima difesa è stato fornito dalla Corte Internazionale di Giustizia nella sentenza del 27 giugno 1986 con riferimento all’affare Nicaragua c. Stati Uniti[3], sebbene alcune problematiche restino tuttora irrisolte.
Tra queste, particolarmente interessante risulta la questione relativa all’ammissibilità che uno Stato possa reagire in legittima difesa dinanzi ad un “attacco armato” sferrato da attori o enti non statali, quali ad esempio individui e/o gruppi privati.
Infatti, l’art. 51 qualifica l'”attacco armato” come presupposto per l’esercizio del diritto alla legittima difesa, senza però qualificare il soggetto autore dell’attacco stesso.
A tal proposito, una parte della dottrina stabilisce l’ammissibilità del ricorso alla legittima difesa contro attori non statali se si parte dalla premessa che esista uno stretto legame fra il divieto di cui l’art. 2, par. 4 della Carta e il diritto di agire in legittima difesa ex art. 51, in base al quale per poter esercitare la legittima difesa occorre l’esistenza di una violazione notevolmente qualificata della disposizione relativa al divieto di uso della forza da parte degli Stati.
Al contrario, secondo l’autore Ronzitti, non vi sarebbe strada per la configurabilità di un diritto di agire in legittima difesa dinanzi ad attacchi armati sferrati da entità non statali, in quanto la nozione di attacco armato è da ritenersi autonoma dal dettato di cui l’art. 2, par. 4 della Carta ONU, tanto che la nozione di legittima difesa esisteva già prima della statuizione del divieto del ricorso all’uso della forza, sebbene la sua evoluzione sia avvenuta di pari passo con la proibizione in esame[4].
Ebbene, sulla presente questione si è pronunciata in modo particolarmente interessante la Corte Internazionale di Giustizia nel parere del 9 luglio 2004 relativo alle “Conseguenze giuridiche derivanti dalla costruzione del muro nei territori palestinesi occupati”[5]; a tal riguardo, la Corte ha respinto le argomentazioni di Israele, secondo cui la costruzione di un muro in Palestina costituirebbe un’adeguata misura di legittima difesa ai sensi della Carta Onu, nel rispetto altresì delle risoluzioni del Consiglio di Sicurezza 1368 e 1373 del 2001[6], le quali riconoscerebbero – inter alia – il diritto di uno Stato ad agire in legittima difesa nei confronti di attacchi terroristici.
Nello specifico, la Corte ha stabilito che l’art. 51 della Carta ONU “recognizes the existence of an inherent right of self-defence in the case of armed attack by one State against another State. Tuttavia, “Israel does not claim that the attacks against it are imputable to a foreign State”[7].
Come prevedibile, il parere della Corte ha suscitato non poche critiche in particolare, il giudice Kooijmans nella sua opinione individuale ha contestato il dictum della Corte, ritenuta “responsabile” (N.d.A.) di non aver adeguatamente considerato l’elemento di novità apportato dalle risoluzioni sopracitate, che avrebbero de facto riconosciuto il diritto di agire in legittima difesa contro attori non statali, senza avanzare nessun riferimento alla sussistenza di un attacco armato[8].
Successivamente, la Corte Internazionale di Giustizia è tornata a pronunciarsi sulla problematica in esame con riferimento alla controversia “Attività armate sul territorio del Congo (Congo c. Uganda)”: con sentenza del 19 dicembre 2005[9], dopo aver rilevato che gli attacchi compiuti da bande di ribelli provenienti dal Congo ai danni dell’Uganda non potevano essere imputati alla Repubblica Democratica del Congo (RDC), la Corte ha altresì dichiarato che non vi fosse la necessità di approfondire la questione dell’ammissibilità del ricorso alla legittima difesa nei confronti di attori non statali. Ancora una volta, la decisione è stata oggetto di contestazione da parte dei giudici Kooijmans e Simma, i quali, nelle rispettive opinioni individuali, hanno evidenziato che, nella fattispecie in questione, la Corte si era ritrovata a dover affrontare un fenomeno particolarmente noto al diritto internazionale, relativo alla quasi completa assenza del potere governativo di uno Stato sul proprio territorio.
Di conseguenza, in questi casi, se un attacco armato viene sferrato da un gruppo di ribelli che agiscono in maniera totalmente indipendente dalle attività poste in essere da uno Stato, il Paese aggredito ha il diritto di ricorrere alla legittima difesa[10]. A tal proposito, il giudice Simma ha ritenuto l’Uganda vittima di un attacco armato, sottolineando, pertanto, che lo Stato ugandese avesse il diritto di reagire in legittima difesa, sebbene siffatto attacco non fosse formalmente imputabile alla RDC[11].
Orbene, a partire dagli attentati dell’11 settembre 2001, la prassi si è evoluta in senso favorevole all’ammissibilità del diritto di agire in legittima difesa contro attori non statali. Basti pensare che gli Stati Uniti ed altri Paesi alleati hanno reagito in anni più recenti contro l’ISIL (Islamic State of Iraq and the Levant), gruppo insurrezionale con base territoriale in Iraq e Siria, invocando la teoria della legittima difesa collettiva nonché giustificando il loro intervento in aiuto dell’Iraq, obiettivo di un attacco armato da parte degli insorti stessi.
Anche la Francia, dopo gli attentati terroristici del novembre 2015 imputati all’ISIL, è intervenuta in Siria sancendo il suo diritto di agire in legittima difesa. Risulta interessante sottolineare che la posizione francese è stata avallata dall’Unione Europea, i cui Stati membri hanno riconosciuto il diritto della Francia di ricorrere alla legittima difesa ai senti dell’art. 42, para 7 TUE; infatti, tale disposizione stabilisce che “qualora uno Stato membro subisca un’aggressione armata nel suo territorio, gli altri Stati membri sono tenuti a prestargli aiuto e assistenza con tutti i mezzi in loro possesso, in conformità dell’articolo 51 della Carta delle Nazioni Unite”.
In conclusione, è indubbio che l’istituto della legittima difesa, soprattutto alla luce dell’evoluzione della prassi più recente, meriterebbe una più approfondita riflessione e aggiornamento, allo scopo di estendere la nozione a nuove ed importanti fattispecie, nonché la fine di tutelare a pieno l’integrità e la sicurezza non solo dello Stato, ma anche della popolazione stanziante nel suo territorio.
Invero, nonostante allo stato attuale sia dubbia la sua liceità da un punto di vista squisitamente giuridico, la legittimità di una reazione difensiva implicante l’uso della forza potrebbe ammettersi nei confronti di attori non statali configurabili come aggressori, a condizione che sussistano i requisiti di proporzionalità, necessità e immediatezza rispetto allo scopo di far cessare un “attacco armato”[12].
Note
[1] Cfr. N. Ronzitti, Diritto internazionale dei conflitti armati: Sesta edizione, G.Giappichelli Editore, Torino, 2017, p. 35.
[2] Corte Internazionale di Giustizia, “Oil Platforms”, sentenza del 6 novembre 2003. Per approfondimenti sulla nozione di “attacco armato” rilevante ai fini della legittima difesa, si veda anche C.Focarelli, Diritto internazionale: terza edizione, Wolters Kluwer, CEDAM, 2015, p. 443.
[3] Corte Internazionale di Giustizia, “Military and Paramilitary Activities in and against Nicaragua (Nicaragua v. United States of America)”, sentenza del 27 giugno 1986.
[4] Si veda N. Ronzitti, Diritto internazionale: sesta edizione, G. Giappichelli Editore, Torino, 2019.
[5] Corte Internazionale di Giustizia, “Legal Consequences of the Construction of a Wall in the Occupied Palestinian Territory”, parere del 9 luglio 2004.
[6] Le risoluzioni S/RES/1368 (2001) e S/RES/1373 (2001) sono state adottate dal Consiglio di Sicurezza in seguito agli attentati terroristici dell’11 settembre 2001 a New York e a Washington ad opera dell’organizzazione Al Qaeda.
[7] Cfr. para. 139 del parere della Corte.
[8] Separate Opinion of Judge Kooijmans. Il giudice ha dichiarato che la Corte non avesse preso pienamente in considerazione un nascente “new approach to the concept of self defense” Cfr. par. 35 dell’opinione individuale.
[9] Corte Internazionale di Giustizia, “Armed Activities on the Territory of the Congo (Democratic Republic of the Congo v. Uganda)”, sentenza del 19 dicembre 2005
[10] Cfr. A. Maneggia, “Attori non statali, uso della forza e legittima difesa nella giurisprudenza della Corte Internazionale di Giustizia”, in In.Law, 4(2006), p. 17.
[11] Separate Opinion of Judge Simma. Cfr. par.4-15. Per approfondimenti, V. Cannizzaro, “La legittima difesa nei confronti di entità non statali nella sentenza della Corte internazionale di Giustizia nel caso Congo c. Uganda”, in Rivista di diritto internazionale, 2006, pp. 120-122.
[12] Ivi. p. 174.
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