Le imprese zombi sono quelle che non crescono e operano in perdita. Di fatto, sono imprese virtualmente in default, tecnicamente fallite, ma vengono artificialmente mantenute in vita da interventi pubblici o da crediti bancari.
L’espansione delle imprese zombie, accelerato con l’attuale crisi pandemica, sembra contraddistinguere uno scenario economico a tinte fosche. Le imprese zombie, infatti, rischiano di creare una bomba economica che, se non verrà disinnescata da opportune politiche industriali, potrebbe produrre una serie di fallimenti aziendali e una disoccupazione esorbitanti. Le imprese zombi sono quelle che non crescono e operano in perdita. Di fatto, sono imprese virtualmente in default, tecnicamente fallite, ma vengono artificialmente mantenute in vita da interventi pubblici o da crediti bancari. Esse impediscono a qualsiasi sistema economico di sopravvivere o di svilupparsi adeguatamente, sottraendo risorse utili che potrebbero andare in settori economici più sani.
Nel nostro Paese esistono diverse stime sulla loro presenza.
Secondo un rapporto congiunto Mediocredito e Svimez[1], sono oltre 84.000. Potrebbero salire a 166.000 se si prende in considerazione anche una stima de Lavoce.info[2]. In essa vengono incluse anche le “zombie light”, ovvero le imprese vulnerabili prima della pandemia e passate poi alla categoria di rischio. Si tratta di cifre destinate a salire. Due sono le motivazioni: innanzitutto perché gli aiuti economici dello Stato, erogati con la pandemia, presto finiranno; poi perché stanno emergendo alcuni segnali finanziari che ne peggioreranno l’esistenza.
Si tratta del risveglio dell’inflazione, il ritorno del patto di stabilità UE – ora sospeso – o la fine del quantitative easing. Le agevolazioni finanziarie e monetarie hanno sempre svolto un ruolo facilitatore per lo sviluppo delle imprese zombie, e questi aspetti incideranno sull’esistenza artificiale che le caratterizza.
La zombificazione dell’economia non è un problema nuovo. Esso nasce durante la grande depressione giapponese degli anni novanta. Il malessere economico del Giappone, in quegli anni – caratterizzato dal collasso del mercato azionario e immobiliare – sembra dovuto all’errata allocazione del credito alle imprese zombie, ovvero a imprese deboli e in difficoltà, con alte probabilità di insolvenza. Alle responsabilità del sistema bancario si sono aggiunte quelle del governo, che indirettamente ha sostenuto il fenomeno, ma anche le relazioni tra imprese e sistema creditizio che esiste nei keirestu. I risultati di questa zombificazione economica sono illustrati da diverse ricerche.
Un gruppo di economisti, formato da Ricardo Coballaro, Takeo Hoshi e Anil Kashyap[3], evidenziano come l’alta presenza di imprese zombie favorisce la distorsione della concorrenza sul mercato del credito, la depressione dei prezzi dei prodotti e della creazione di lavoro, il rallentamento della ristrutturazione economica e l’innalzamento dei costi salariali.
La situazione economia attuale, in Paesi dell’OCSE (Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico), sembra correre altrettanti rischi. Un altro gruppo di economisti, che comprende Müge A. McGowan, Dan Andrews e Valentine Millot[4], afferma che le imprese zombie hanno anche livelli di produttività della manodopera molto bassi e, contemporaneamente, mettono in difficoltà la crescita della produttività della manodopera delle altre imprese più solide, nonché la loro possibilità d’investimento e di occupazione. In pratica, le imprese zombie favoriscono l’esclusione e l’uscita dal mercato delle imprese virtuose e con buone potenzialità di crescita.
Come si sviluppano oggi le imprese zombie? Pandemia a parte, ad incidere è la bassa produttività che caratterizza le imprese di molti Paesi – Italia in primis -, come pure l’assenza di management nelle piccole e micro imprese, dove si naviga a vista, con scarse possibilità di pianifica il futuro. Se nelle piccole e micro aziende il management non c’è, nelle grandi è stagnante, incapace di turnover e di contaminazioni con manager acquisiti dall’esterno. Sul versante finanziario, come illustrato, ci sono spesso gli azzardi creditizi, ma anche politiche monetarie iperespansive, scelte acquisitive e fusioni azzardate, risultati economici e premi di risultato tra loro slegati. Al livello di politica industriale, i danni maggiori vengono creati da sussidi alle imprese indiscriminati, ma anche dall’incapacità di individuare i settori con alti margini di crescita e le filiere con potenzialità aggreganti.
Se le imprese zombi costituiscono un serio problema per l’economia, occorre sapere come captarle per evitare di sostenerle. Spesso per individuare le imprese zombie si ricorre esclusivamente a dei criteri finanziari, come gli indici di solvibilità creditizia utilizzati dal sistema bancario.
Sono indicatori utili ma non esaustivi. Uno studio pubblicato dalla Banca d’Italia[5] afferma che il numero di imprese zombie esistenti varia a seconda degli indicatori di bilancio adottati. Inoltre, un terzo di esse migliora la propria posizione nell’arco di un triennio. Molte aziende in crisi potrebbero esserlo solo momentaneamente, avendo potenzialità espansive pronte ad emergere.
È per questo che agli indicatori finanziari andrebbero aggiunti altri non convenzionali, di tipo sociologico. Questo per l’esigenza di prevedere delle tendenze, anticipare degli impatti, distinguere imprese con performance strutturali negative da quelle in cui è in corso una transizione al new normal.
Una soluzione potrebbe essere quella di studiare la temporalità d’impresa. Spesso le aziende zombie navigano in una dimensione presentistica. Assolutizzano il presente. Non hanno nessuna cognizione del passato e del futuro. Le imprese zombie vivono nei qui e ora. Amano Orazio, anche se nel modo sbagliato. È il loro presentismo che impedisci di muoversi, di superare una condizione di staticità radicale. Una ricerca orientata all’individuazione di indicatori temporali potrebbe allora integrare le analisi finanziarie delle imprese zombie, per andare oltre la situazione patrimoniale attuale e individuare la situazione temporale futura. Del resto è stato un guru dell’economia d’impresa, George Stalk[6], a ritenere la temporalità d’impresa uno degli elementi fondamentali per capire l’evoluzione di un trend economico.
Note
[1] Svimez e Mediocredito, Fondo di garanzia per le PMI. Il sostegno alla liquidità delle imprese nell’emergenza Covid-19, report, 2021.
[2] Romano G. e Schivardi F., Imprese “zombie”: quante sono davvero, Lavoce.info, 05/03/2021.
[3] Coballaro R., T. Hoshi ed A. Kashyap Zombie Lending and Depressed Restructuring in Japan, NBER Working Papers 12129, National Bureau of Economic Research, Inc., 2006.
[4] McGowan M. A., Andrews D. e Millot V., The Walking Dead? Zombie Firms and Productivity Performance in OECD Countries, OECD Economics Department Working Papers No. 1372, 2027.
[5] Rodano G. ed E. Sette E., Zombie firms in Italy: a critical assessment, Banca d’Italia Eurosistema, Special paper, Number 483, January 2019.
[6] Stalk G. Jr., Time: the next source of competitive advantage, Harvard Business Review, 1988.
Foto copertina: Immagine web