Inizia una nuova fase tra Madrid e Barcellona. Il 22 giugno il Consiglio dei Ministri spagnolo ha approvato l’indulto per i nove leader indipendentisti catalani incarcerati dopo il referendum d’indipendenza della Catalogna del 1° ottobre 2017.
Nel 2019 furono condannati a pene dai 9 ai 13 anni per sedizione e peculato. Oriol Junqueras, Jordi Turull, Raul Romeva, Dolors Bassa, Carme Focadell, Joaquim Forn, Josep Rull, Jordi Sanchez e Jordi Cuixart sono usciti dal carcere di Lledoners il 23 giugno. L’indulto cancella la pena ma non il reato. Dovranno continuare a scontare l’inibizione dai pubblici uffici fino alla scadenza della pena.
L’amnistia, tanto a lungo auspicata negli ambienti nazionalisti catalani, avrebbe richiesto l’approvazione del Congresso spagnolo che difficilmente sarebbe stata concessa. L’indulto, invece, può essere concesso unilateralmente dal governo spagnolo.
Il Governo Sanchez ha sempre sostenuto la necessità di dialogare con il movimento indipendentista catalano. La decisione di liberare i cosiddetti presos politics è una scelta coraggiosa (due terzi dell’elettorato spagnolo è contraria[1]) ma rappresenta un tentativo di porre fine a una retorica di muro contro muro che i movimenti indipendentisti catalani usavano a loro vantaggio e una mano tesa per l’inizio di una nuova stagione di dialogo e riconciliazione tra Madrid e Barcellona. Ha dovuto difendere la propria scelta dalle critiche feroci dell’opposizione: non ci sarà autodeterminazione o indipendenza ma politica e dialogo, ha dichiarato. Pablo Casado, presidente di quel Partido Popular che nella scorsa legislatura aveva affrontato la questione catalana a suon di sentenze del Tribunale Supremo, ha chiesto le dimissioni del governo tacciandolo di traditore. Lo stesso Tribunale Supremo il mese scorso si era dichiarato, in una decisione non vincolante, contrario all’amnistia. Isabel Ayuso ha chiamato in causa perfino il re Felipe VI chiedendosi se sarebbe diventato un “complice” se avesse firmato gli indulti[2].
L’indulto conviene a entrambe le parti. La Spagna sarebbe andata incontro a un’umiliante bocciatura nel caso la Corte Europea dei Diritti Umani avesse deliberato a favore degli indipendentisti. Pochi giorni fa poi l’assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa, dopo un report della sua Commissione sugli Affari Legali, aveva invitato la Spagna a ritirare i mandati d’arresto per i tre leader catalani ancora in esilio (Carles Puidgemont, Toni Comin e Clara Ponsati) e a riformare il reato di sedizione, auspicando non un’amnistia ma un indulto. Dall’altra parte vi sono i problemi parlamentari per la coalizione di governo composta da Podemos e Partito Socialista, soprattutto dopo la schiacciante vittoria del PP a Madrid[3]. La sopravvivenza del governo dipende dall’appoggio dei partiti regionalisti e nazionalisti ai quali la decisione di Sanchez non può che far piacere.
Il nuovo governo catalano[4] guidato da Pere Aragonès (Esquerra Republicana de Catalunya) aveva posto il dialogo con Madrid quale tema centrale del suo mandato, non senza i malumori di Junts per Catalunya e CUP[5] all’interno della coalizione. Aragonès ha dichiarato che l’indulto riconosce la sentenza del Tribunale Supremo quale “ingiusta” e ha auspicato la celebrazione di un referendum di autodeterminazione su modello scozzese. L’indulto rafforza anche la sua posizione. Esquerra dopo il 2017 ha cercato di intraprendere una “via pragmatica all’indipendenza” ed è la principale sostenitrice del dialogo.
Il simbolo dei tempi è Oriol Junqueras, presidente di Esquerra e protagonista del procès indipendentista per il quale è stato condannato a 13 anni. Da sempre fermo sostenitore della dichiarazione unilaterale d’indipendenza, a inizio mese ha dichiarato di accettare l’indulto e ha rinnegato la via unilaterale auspicando vie più pragmatiche per raggiungere l’indipendenza catalana[6].
Negli ambienti nazionalisti più intransigenti l’indulto viene considerato una vittoria contro la repressione spagnola ma l’uscita dei presos politics toglierà forza alla retorica vittimista, soprattutto di Junts per Catalunya che per motivi di sopravvivenza politica continua a invocare lo scontro aperto con Madrid[7].
La questione catalana sembra normalizzarsi per la prima volta dopo la rottura del 2017. Il dialogo tra indipendentisti catalani e governo spagnolo va avanti, anche se la strada è ancora lunga e le posizioni distanti. Aragonés e Sanchez si vedranno il 29 giugno a Madrid per parlare di normalizzazione dei rapporti.
Note
[1] Sondaggio dell’Istituto DYM.
[2] Tra l’altro la Costituzione spagnola non concede al re la possibilità di rifiutare un indulto deciso dal governo. Díaz Ayuso implica a Casado en la polémica sobre el Rey y los indultos: “No he rectificado y él piensa lo mismo que yo”, 15 giugno 2021, El País.www.elpais.com/espana/madrid/2021-06-15/diaz-ayuso-implica-a-casado-en-la-polemica-sobre-felipe-vi-piensa-lo-mismo-es-una-humillacion.html
[3] https://www.opiniojuris.it/madrid-incorona-isabel-diaz-ayuso/
[4] https://www.opiniojuris.it/il-nuovo-governo-indipendentista-catalano/
[5] https://www.opiniojuris.it/in-catalogna-tutto-cambia-affinche-nulla-cambi/?utm_source=rss&utm_medium=rss&utm_campaign=in-catalogna-tutto-cambia-affinche-nulla-cambi
[6] Junqueras aposta per un referèndum pactat i avala els indults 7 giugno 2021, El Punt Avui. www.elpuntavui.cat/politica/article/17-politica/1981903-junqueras-aposta-per-un-referendum-pactat-i-avala-els-indults.html.
[7] https://www.opiniojuris.it/pancatalanismo-le-elezioni-catalane-la-crisi-politica-spagnola-e-le-proteste-del-caso-hasel-intervista-a-steven-forti/
Foto copertina:keystone-sda.ch (Enric Fontcuberta)