“ The Troubles ”: una profonda ferita nella storia del Nord Irlanda che rischia di riaprirsi.

Boy and flaming car outside Divis flats.

[dropcap]A 21 anni[/dropcap] dalla conclusione del Good Friday Agreement, lo spettro di una hard Brexit rischia di riaprire una profonda ferita nella storia dell’Irlanda del Nord: il riemergere delle conflittualità tra Nazionalisti ed Unionisti, tragicamente note come “ The Troubles ”.


 

L’attentato al Palazzo di giustizia di Bishop Street dello scorso 20 gennaio a Derry ha alimentato le preoccupazioni in merito agli effetti futuri di una hard Brexit sul processo di pace in Nord Irlanda[1]. L’esplosione ha avuto luogo a pochi giorni di distanza dalla prima delle tre bocciature della proposta di accordo di recesso di Theresa May[2] presso la Camera dei Comuni britannica. A 21 anni dalla conclusione del Good Friday Agreement, lo spettro di una hard BREXIT rischia di riaprire una profonda ferita nella storia dell’Irlanda del Nord: il riemergere delle conflittualità tra Nazionalisti ed Unionisti, tragicamente note come “ The Troubles .

Con il termine “ The Troubles si fa riferimento al conflitto etnico-nazionalista in Nord Irlanda[3], iniziato alla fine degli anni sessanta e conclusosi nel 1998 con la ratifica del Good Friday Agreement, il quale vide scontrarsi Unionisti e Nazionalisti in una guerra fratricida a bassa intensità con la partecipazione di attori statali (Regno Unito e Repubblica d’Irlanda) e non statali, tra i quali figurano le milizie paramilitari repubblicane (principalmente l’Irish Republican Army (IRA)) ed unioniste (Ulster Volunteer Force (UVF) e la Ulster Freedom Fighter (UFF)).

Le cause profonde del conflitto

Alla base di tali storici rancori, c’era la suddivisione territoriale, decisa nel 1921[4] su un’asse Nord/Sud, dell’isola d’Irlanda in base alla quale la neonata Repubblica d’Irlanda[5] si sarebbe estesa sulla totalità del territorio insulare ad eccezione delle sei contee a maggioranza unionista-protestante[6] nel Nord Irlanda (note anche come Ulster), le quali sarebbero restate parte del Regno Unito pur avvalendosi di una forma di auto-governo. Tale assetto territoriale fu avversato dai Nazionalisti[7] cattolici, favorevoli all’annessione delle sei contee dell’Ulster alla Repubblica d’Irlanda.

Temendo che le inappagate mire repubblicane risultassero in un rovesciamento a loro svantaggio dello status quo, gli Unionisti/loyalisti[8] a capo del governo autonomo (o Stormont government) attuarono politiche discriminatorie su base comunitaria volte ad indebolire la capacità di reazione dei Nazionalisti. Inoltre, la forza delle milizie paramilitari unioniste nell’area (UVF) contrapposta alla debolezza dell’unica milizia nazionalista, l’Original IRA[9], favorì il protrarsi delle asimmetrie intercomunitarie fino agli anni sessanta del XX secolo.

Negli anni sessanta, un mutamento sostanziale degli equilibri di potere interni spianò la strada al riaprirsi delle conflittualità.

Sul piano sociale, la diffusione su scala globale dell’attivismo giovanile in materia di diritti stimolò la nuova generazione di Nazionalisti cattolici nordirlandesi, forti di una migliore istruzione conseguenza delle passate riforme laburiste, ad avviare una campagna di contestazione delle politiche discriminatorie del governo di Stormont.

La massima espressione dell’attivismo cattolico di quegli anni fu la fondazione della Northern Ireland Civil Rights Association (NICRA) del 1966, la quale si fece portavoce delle rivendicazioni dei diritti civili della comunità cattolica irlandese in Nord Irlanda. Sul piano politico, il tentativo del neo Primo ministro nordilrandese, Terence O’ Neill[10] di attuare una politica riconciliatoria, riformista e di pieno sostegno alle legittime istanze dei cattolici irlandesi, i quali rivendicavano diritti civili parificati al resto della popolazione in quanto formalmente cittadini britannici, fu sabotata nel 1969 dai loyalisti più conservatori, grazie anche alla connivenza della Royal Ulster Constabulary (RUC)[11]. L’ennesima vittoria del vecchio sul nuovo polarizzò ben presto le posizioni favorendo sia una escalation di violenza da parte di cattolici e loyalisti, sia rendendo evidente come il ricorso alla lotta armata fosse ormai considerata inevitabile per sostenere le rispettive istanze.

“ The Troubles ”: nel vivo del conflitto

Il 12 agosto a Derry, una manifestazione loyalista nei pressi del quartiere cattolico di Bogside venne interrotta da un’insurrezione dei cattolici. Lo scontro raggiunse una violenza tale da rendere necessario l’intervento della RUC e, il 14 agosto 1969, delle truppe britanniche, le quali costruirono Peace walls[12] nel tentativo di sedare la spirale di violenza. Inizialmente accolte favorevolmente dalla comunità cattolica come forze neutrali, le truppe britanniche ben presto dimostrarono la loro faziosità reprimendo nel sangue anche le più pacifiche manifestazioni da parte dei nazionalisti cattolici. Fu, di fatto, l’intervento britannico a decretare l’inizio dello spargimento di sangue noto come “ The Troubles ”.

La solidarietà per i fatti di Derry (164 furono i morti e oltre 1800 i cattolici costretti ad abbandonare le proprie abitazioni[13]) fece diffondere le proteste a Belfast e nelle altre cittadine frontaliere portando ad uno stato di guerriglia generalizzato, nel quale le rispettive milizie paramilitari[14] guadagnarono consensi dinanzi l’incapacità dei governi di reagire efficacemente. Il governo della Repubblica d’Irlanda, ignaro delle ragioni alla base delle proteste e incapace di esercitare il controllo sui gruppi armati repubblicani situati sul proprio territorio, reagì flebilmente dichiarando la necessità di tutelare la vita dei Nazionalisti irlandesi ed auspicando una tempestiva e diplomatica risoluzione delle conflittualità. Nei fatti, il governo non fece altro che peggiorare la situazione attribuendo carattere settario (centrato sul contrasto Nazionalisti cattolici/Unionisti protestanti) a rivendicazioni di diritti civili legittimi da parte di cittadini formalmente britannici[15]. Dal canto loro, la deriva conservatrice del Regno Unito e del Nord Irlanda di Brian Faulkner spinse i rispettivi esecutivi ad approcciare alle crescenti e violente proteste rafforzando le misure di sicurezza e polizia. Inoltre, suddetto approccio fu preferito dal Regno Unito in quanto funzionale alla sua volontà di disimpegnarsi dal conflitto pervenendo ad una efficace e tempestiva soluzione[16].

Naturalmente, le posizioni dei governi coinvolti non fecero altro che esacerbare gli animi. In particolar modo, con l’introduzione da parte del governo nordirlandese della detenzione senza diritto al processo[17], la Provisional IRA vide crescere rapidamente il numero dei propri membri a causa del malcontento provocato dall’adozione di misure visibilmente a vantaggio dei loyalisti. Anche le due più forti milizie paramilitari unioniste, UVF e UDA,  ne uscirono rafforzate divenendo il braccio armato degli unionisti e sferrando attacchi sempre più cruenti. Il conseguente stallo politico, che vedeva i cittadini del Nord Irlanda vittime degli attacchi sferrati dalle milizie contrapposte, giunse ad una svolta critica il 30 gennaio 1972, tristemente noto alla storia come Bloody Sunday (in gaelico Domhnach na Fola), quando 14 civili cattolici vennero uccisi a Derry da truppe armate nordirlandesi nel corso di una marcia a favore dei diritti civili. L’impatto mediatico dell’incidente fomentò violente proteste nazionaliste in Nord Irlanda ed addirittura Dublino e spinse il Regno Unito a riconsiderare il proprio intervento nell’area, a tal punto da destituire il governo di Stormont e reinstaurare il direct rule sull’Irlanda del Nord il 24 marzo 1972. Malgrado le proteste successive alla sospensione dell’esecutivo nordirlandese[18], i governi coinvolti realizzarono quanto urgente fosse trovare una soluzione diplomatica prima che gli eventi degenerassero.

Fu con questo intento che nel 1973 venne concluso il Sunningdale Agreement. Proposto dal governo britannico, l’accordo prevedeva: l’istituzione in Nord Irlanda di un governo con poteri condivisi tra il partito nazionalista moderato Social Democratic Labour Party (SDLP) e membri moderati del partito unionista Ulster Unionist Party (UUP); la creazione di un Consiglio d’Irlanda avente come base territoriale l’intera isola; ed infine, la reciproca promessa da parte del governo irlandese e britannico di lasciare agli abitanti del Nord Irlanda il diritto di decidere il proprio status costituzionale. Il Sunningdale Agreement non previde la partecipazione alle trattative del Sinn Féin[19] per due ragioni tra loro connesse: il suo esplicito appoggio all’IRA, e la volontà del Regno Unito di rendere l’accordo un espediente per soddisfare le richieste dei Nazionalisti e, al tempo stesso, annichilire l’IRA, la quale costituiva una minaccia per la sicurezza nazionale.

Nonostante l’entusiastico sostegno manifestato dal governo irlandese e dallo SDLP, i quali vedevano in suddetto accordo la possibilità rispettivamente di arginare l’escalation di violenza a Sud e di soddisfare le richieste dei movimenti per i diritti civili, il Sunningdale Agreement fu aspramente criticato dal Sinn Féin e dall’UUP. Il primo fu particolarmente ostile all’accordo dal quale era stato esplicitamente ostracizzato; ciò nonostante, negli anni ’70 il partito repubblicano non era ancora in una posizione di forza tale da poterne compromettere l’attuazione.

L’UUP, invece, non solo si ritrovò diviso sul punto, ma  aveva sufficiente forza da poter imporre alle altre parti il proprio potere di veto sull’accordo. Di fatto, i suoi membri più scettici considerarono la condivisione del potere di governo il preludio di una futura unificazione dell’Ulster alla Repubblica d’Irlanda. Inoltre, anche l’obiettivo di sconfiggere l’IRA poteva, nella loro ottica, essere risolto autonomamente tramite il rafforzamento delle misure di sicurezza. Lo scetticismo interno al partito finì col prevalere sulle posizioni più moderate nel 1974, anno in cui gli unionisti anti-accordo ottennero 11 seggi in più alle elezioni del Parlamento nordirlandese[20]. Tale vittoria, unitamente alle proteste dei loyalisti, condusse al fallimento del tentativo di riappacificazione nel maggio 1974.

Il decennio successivo continuò ad essere caratterizzato dal protrarsi delle violenze a carico delle milizie paramilitari di entrambi gli schieramenti, ma fu anche la culla di un’importante mutamento negli equilibri di potere. Il governo irlandese, persuaso dall’idea che la risoluzione diplomatica più efficace derivasse dal riconoscimento della dimensione Anglo-irlandese del conflitto, vide rafforzare la propria posizione grazie al recente interessamento del governo USA[21] nello sviluppo politico della questione. Il Regno Unito, guidato dal 1979 dall’ultra conservatrice Margaret Thatcher[22], giunse alla conclusione che sconfiggere l’IRA autonomamente non era più possibile. Malgrado ciò, il governo continuò ad affrontare il conflitto come un problema di sicurezza rafforzando i poteri della RUC e negando ai membri dell’IRA incarcerati lo status di prigioniero politico. Fu per tale ultimo motivo che l’IRA, nel corso degli anni ’70-’80, non solo incrementò il numero di attentati a carico di eminenti figure politiche britanniche[23], ma diede inizio alla lunga stagione degli scioperi della fame che, iniziata già nel 1972, raggiunse massima risonanza mediatica con la Dirty Protest[24] (1976-1981).

Gli scioperi, pur non portando a sostanziali vittorie materiali (era improbabile che il governo britannico concedesse definitivamente lo status attribuendo così legittimità politica alla lotta nazionalista), costituirono una vittoria morale. Le morti causate dalla fame rafforzarono i consensi attorno all’IRA e ampliarono notevolmente quelli del Sinn Féin, il quale, presentando come candidato uno dei protagonisti degli scioperi ovvero Bobby Sands, ottenne l’appoggio del 38-40% dell’elettorato nazionalista nordirlandese alla serie di elezioni del 1982-1984[25]. Precedentemente avverso alla partecipazione all’attività elettorale[26], il Sinn Féin mutò strategia comprendendo come l’istituzionalizzazione della propria azione, in un contesto di accresciuto peso politico, avrebbe permesso di influenzare gli esiti del processo politico in atto. Temendo l’ascesa del nazionalismo estremo del Sinn Féin, il governo irlandese avanzò una proposta diplomatica che risolvesse il conflitto tramite la cooperazione delle forze moderate. Preceduto dalla convocazione del New Ireland Forum, il cui obiettivo era prevedere possibili alternative alla definizione dello status territoriale sull’isola d’Irlanda[27], l’Anglo-Irish Agreement del 1985 rappresentò il secondo grande tentativo di pacificazione. L’accordo riconosceva il ruolo consultivo del governo irlandese nell’esecutivo del Nord Irlanda (a riprova dell’accettazione della dimensione Anglo-irlandese del conflitto) in cambio della promessa dei due governi che qualsiasi cambiamento dello status costituzionale delle contee sarebbe stato frutto della decisione della maggioranza dei suoi cittadini.

Ancora una volta, il consenso del governo irlandese e del SDLP fu indubbio. Il governo britannico lo sostenne flebilmente, avendo quale interesse ed obiettivo prioritario la sconfitta dell’IRA. Il Sinn Féin, nuovamente escluso dalle trattative a causa del sostegno all’IRA, non legittimò l’accordo. Infine, l’intero spettro unionista, a partire dall’UUP alle milizie paramilitari dell’UFF  e UVF, si coalizzò contro l’accordo, facendo venir meno un’importante componente che avrebbe potuto dare legittimità e consistenza ai principi sanciti. In ultima istanza, l’Anglo-Irish Agreement ebbe una rilevanza nulla sulla governance in Nord Irlanda a causa della riluttanza del governo britannico a considerare il conflitto non meramente come una questione di sicurezza nazionale, e della convinzione delle frange estremiste repubblicane ed unioniste che lo stallo politico potesse essere superato tramite il ricorso alla lotta armata.

Tra la fine degli anni ’80 e l’inizio dei ’90, il conflitto in Nord Irlanda entrò in una nuova fase di stallo politico che portò ad una riconsiderazione delle strategie adottate dagli attori coinvolti. Alla fine degli anni ’80, il governo irlandese e il SDLP compresero come l’esclusione del Sinn Féin fosse disfunzionale all’avvio di un qualsivoglia processo di pace in Nord Irlanda. Alla luce di ciò, entrambi gli attori optarono per un’apertura e coinvolgimento del Sinn Féin, a patto che quest’ultimo rinunciasse alla lotta armata ed al sostegno all’IRA. Il Sinn Féin, dal canto suo, pure optò per un mutamento radicale della sua strategia, danneggiato in termini elettorali dallo stallo politico e dal coinvolgimento di civili nei più recenti attentati dell’IRA, dai quali prese le distanze sul piano pratico e morale. Ufficializzata tramite i documenti Scenario for Peace (1989) e Towards a lasting peace (1992), la nuova traiettoria prevedeva la legittimazione dei governi irlandese nel 1987 e del Nord Irlanda nel 1994, e l’individuazione nei nazionalisti moderati irlandesi e nello SDLP di un fronte alleato al tavolo negoziale. Un simile mutamento strategico risultò nell’avvio dei colloqui pubblici con il SDLP nel 1988, e a molteplici round di colloqui segreti col governo irlandese dal 1989 al 1994.

L’IRA, venuto meno lo storico sostegno del Sinn Féin e consapevole che la lotta armata non avrebbe condotto a progressi nello stallo politico, dichiarò due successivi cessate-il-fuoco: uno nel 1994 e durato fino al Dockland bombing di Londra del febbraio 1996; ed un secondo nel 1997, il quale produsse una nuova divisione della milizia tra “vecchia” Provisional IRA, e una più estrema frangia contraria al compromesso, nota come Real IRA (RIRA). I cessate-il-fuoco dell’IRA costituirono una svolta simbolica nel conflitto in quanto, non solo furono funzionali alla partecipazione del Sinn Féin ai colloqui di pace, ma rafforzarono la consapevolezza emergente che l’unica soluzione possibile fosse quella pacifica e negoziale. Le milizie loyaliste dichiararono il cessate-il-fuoco nel 1994. La coalizione unionista, infine, indebolita dal ridimensionamento del suo potere di veto in Parlamento e preoccupata dalla scoperta dei colloqui segreti tra il Sinn Féin e la Repubblica d’Irlanda, partecipò ai colloqui di pace del 1997 nonostante i perduranti dubbi sull’affidabilità della controparte.

Il governo britannico, infine, era riluttante all’idea di avviare i colloqui con il Sinn Féin per due ragioni: il persistere dell’obiettivo di annichilire l’IRA; e la scarsa legittimazione fattuale che riconosceva al governo irlandese[28]. Tale atteggiamento fu superato, nel corso degli anni ’90, grazie al governo laburista di Tony Blair[29], il quale abbandonò la retorica conservatrice prendendo immediatamente parte ai colloqui di pace, e al procedere del progetto regionale di integrazione economica della Comunità Europea.

La comune appartenenza del Regno Unito e della Repubblica d’Irlanda al processo di integrazione sortì risultati sorprendenti nel migliorare i rapporti tra i due Stati. La comune appartenenza alle istituzioni comunitarie e l’approccio cooperativo/sovranazionale adottato dalle stesse condussero ad un bilanciamento dei rapporti di potere tra i due Stati. Il Regno Unito, storicamente consideratosi più influente nell’arena politica internazionale, doveva accettare che tale influenza fosse ridimensionata dall’appartenenza alla Comunità europea, e che la Repubblica d’Irlanda possedesse in questa nuova arena politica gli stessi suoi diritti, doveri e poteri. Infine, con l’implementazione di una piena integrazione economica attraverso l’Atto Unico Europeo[30] ed il Trattato di Maastricht[31], entrambi gli Stati realizzarono quanto numerosi e consistenti fossero gli interessi in comune maturati sul piano politico ed economico, il che promosse enormemente il miglioramento dei rapporti al fine di una più intensa cooperazione.

La maggiore propensione al dialogo dei due principali attori statali e la convergenza di attitudini da parte delle altre componenti, produsse quale proficuo risultato la ratifica nel 1998 del Good Friday Agreement, il quale pose fine al conflitto in Nord Irlanda e diede avvio al processo di pace tutt’ora in corso. Comprensivo di due accordi interdipendenti[32] e di una serie di accordi di esecuzione[33], il Good Friday Agreement fu approvato con referendum dalla maggioranza dei cittadini irlandesi e nordirlandesi ed incorporato nelle rispettive Costituzioni. L’accordo si fonda sul principio del ripudio dell’uso della forza come strumento risolutivo delle controversie e conferma l’inviolabile diritto dei cittadini del Nord Irlanda a decidere sull’eventuale cambiamento nello status costituzionale della regione. In merito al ripudio dell’uso della forza, fondamentale per l’avvio del processo di pace fu la rinuncia alla lotta armate da parte di tutte le milizie paramilitari e specialmente dell’IRA, la quale ha dichiarato la fine della sua attività nel luglio 2005 smantellando il suo arsenale. L’accordo, inoltre, sancisce il diritto dei cittadini di scegliere quale cittadinanza adottare sulla base della propria identità culturale. Allo stesso tempo, l’accordo prevede una governance multi livello comprendente: un’Assemblea Parlamentare, i cui membri siano eletti in modo da rappresentare equamente entrambe le comunità presenti, che esercita pieni poteri legislativi ed esecutivi; il   North/South Ministerial Council (NSMC), il cui compito è di incentivare rapporti e cooperazione transfrontaliera sull’isola d’Irlanda; ed il British-Irish Council (BIC) incaricato di curare i rapporti tra Regno Unito e Repubblica d’Irlanda.

Oltre a favorire i presupposti contestuali alla base dei colloqui di pace nel 1997, la Comunità europea svolse un ruolo centrale nel predisporre gli strumenti teorici e pratici dell’architettura del Good Friday Agreement. In termini puramente teorici, l’Unione favorì la reinterpretazione del conflitto, definendolo come conflitto frontaliero, e promosse una comprensione dello stesso che tenesse conto delle sue diverse dimensioni (asse di conflitto Nord/Sud ed Est/Ovest), come dimostrato dalla struttura della governance di accordo. Inoltre, elaborò soluzioni innovative che prevedessero l’operatività di alcuni principi alla base dello stesso ordinamento giuridico comunitario (condivisione del potere sovrano, cooperazione rafforzata e creazione di arene pacifiche di dialogo). Infine, il suo costituirsi come componente estranea ai fatti e potenzialmente neutrale, agevolò enormemente la legittimazione dell’accordo da parte di tutti gli attori coinvolti.

Sul piano concreto, l’adozione della cittadinanza europea[34] e l’elevato grado di tutela dei diritti umani[35] dell’ordinamento giuridico comunitario permisero ai cittadini in Nord Irlanda di godere di una solida base di diritti individuali riconosciuti indipendentemente dall’appartenenza ad una comunità, creando così un senso di appartenenza comune che superasse le divisioni interne e transfrontaliere. Inoltre, la realizzazione del Mercato Unico Europeo[36], con il conseguente abbattimento delle barriere fisiche e giuridiche tra gli Stati Membri, contribuì a rendere invisibile e permeabile il confine sull’isola d’Irlanda e più interconnesse le rispettive economie, le quali trassero parimenti enormi vantaggi in termini di crescita e sviluppo economico. Il miglioramento delle condizioni di vita sull’isola d’Irlanda è stato, inoltre, direttamente supportato nel tempo dai finanziamenti dell’Unione europea tramite progetti come i PEACE programmes[37] e la costituzione, nel 2007, della Northern Ireland Task Force il cui obiettivo è la pianificazione di nuovi progetti per lo sviluppo economico della regione.

A partire dal 1998, il processo di pace in Nord Irlanda ha avuto effetti sorprendenti riuscendo a realizzare e mantenere un delicato equilibrio economico, politico e sociale laddove, fino a pochi anni prima le ostilità irrisolte avevano alimentato un prolungato spargimento di sangue. Lo stesso benessere economico dell’isola, fortemente incentivato dall’integrazione europea, è divenuto un obiettivo del processo di pace, in quanto ha livellato e sedato ostilità che erano state anche esacerbate da divergenze nelle condizioni economiche delle diverse comunità. Malgrado i risultati e l’importanza per la stabilità dell’area, l’implementazione del Good Friday Agreement rischia di subire una brusca battuta d’arresto a causa della decisione del Regno Unito nel giugno 2016 di recedere dall’Unione europea attuando una hard BREXIT[38].

I rischi di una hard Brexit sul processo di pace

Malgrado il manifesto impegno dell’Unione europea e del Regno Unito di assicurare a tutti i costi il processo di pace in Nord Irlanda minimizzando gli effetti del recesso, il governo britannico ha tristemente realizzato in fase negoziale come la conciliazione di suddetto obiettivo con una Hard BREXIT sia di difficile realizzazione. Una simile presa di coscienza è costata alla premier Theresa May le dimissioni dello scorso giugno dinanzi l’incapacità di far approvare alle Camere la proposta di accordo delineata con Bruxelles nel novembre 2018. Definita dai conservatori radicali “Brexit betrayal”, l’accordo di recesso aveva rinunciato alla rigidità delle istanze della hard BREXIT per evitare la creazione di un hard border (o confine visibile) in Nord Irlanda.

Nei fatti, qualora il Regno Unito optasse per una BREXIT senza previa conclusione di un accordo che definisca le modalità di recesso, i Trattati dell’Unione verrebbero immediatamente disapplicati e scorporati dall’ordinamento giuridico britannico e il Regno Unito verrebbe trattato come uno Stato terzo. I contraccolpi in termini economici e sociali sul Nord Irlanda di una simile eventualità sarebbero devastanti. In termini puramente giuridici, la revoca ai cittadini britannici della cittadinanza europea risulterebbe in una divergenza in diritti interna al Nord Irlanda sulla base della cittadinanza adottata, fattore che fomenterebbe le tensioni tra comunità e risulterebbe in una violazione del principio di uguaglianza alla base del Good Friday Agreement. Inoltre, la disapplicazione della giurisdizione della CGUE e, di conseguenza, l’impossibilità di adire la Corte in caso di controversie in materia di diritti, lascerebbe piena discrezionalità al Regno Unito sul livello di tutela dei diritti garantiti ai propri cittadini.

Sul piano economico, le conseguenze sarebbero ancora più devastanti. L’uscita dal Mercato Unico significherebbe reintrodurre controlli alle frontiere sul flusso di merci, capitali e servizi[39].  In termini commerciali, simili controlli frontalieri renderebbero necessaria la costruzione di un confine visibile (hard border), il quale risveglierebbe nella popolazione locale quell’idea di divisione che tanto faticosamente era stata annullata col processo di pace. Inoltre, costruire un confine visibile significherebbe fornire alle nuovi e minoritarie sezioni dell’IRA nuovi pretesti ed obiettivi terroristici. Ancora, l’innalzamento di barriere giuridiche (dovute alla volontà del Regno Unito di divergere soprattutto nel settore agroalimentare rispetto alle normative UE) danneggerebbe il fruttuoso commercio tra le due regioni dell’isola con conseguente differenziazione dei livelli di benessere delle rispettive comunità. Inoltre, un hard border renderebbe concretamente difficoltoso lo spostamento dei lavoratori pendolari che quotidianamente attraversano il confine. Infine, il recesso dall’Unione europea farebbe venire meno anche l’insieme dei finanziamenti europei a quei progetti[40] che hanno sostenuto l’integrazione comunitaria ed il benessere socio-economico sull’isola d’Irlanda.

In conclusione, l’aspirazione britannica di una hard BREXIT a tutti i costi rischia di rompere quel delicato equilibrio regionale che il Good Friday Agreement aveva creato e per il quale il ruolo dell’Unione europea è stato decisivo sotto ogni aspetto. La situazione attuale, che vede il termine ultimo della BREXIT fissato al 31 ottobre 2019 e una rimonta alla guida del Partito Conservatore britannico di un Brexiteer radicale come Boris Johnson[41], rende la hard BREXIT tangibile e preoccupante per la popolazione dell’Irlanda del Nord, la quale fin da subito aveva compreso i rischi del recesso votando per il 55% a favore del Remain. Unitamente alle preoccupazioni, i recenti attentati a Derry e Belfast attribuibili alla nuova IRA[42] sembrano aver portato indietro le lancette del tempo rendendo palese una triste verità: la ferita dei Troubles non si è mai del tutto rimarginata ed ora, più che mai, rischia di riaprirsi.


[dropcap]Note[/dropcap]

 

 

 

 

[1]www.repubblica.it/esteri/2019/01/20/news/irlanda_del_nord_esplosione_autobomba_a_londonderry_due_arresti

[2] Theresa May ha ricoperto l’incarico di Primo Ministro britannico dal 13 luglio 2016 al 7 giungo 2019, data nella quale ha presentato formalmente le sue dimissioni a causa del fallimento della sua strategia negoziale durante la BREXIT.

[3] Il principale terreno di scontro furono le contee frontaliere del Nord Irlanda e le città di Derry e Belfast, dove le conflittualità giunsero a maturazione. Malgrado ciò, la guerriglia si estese anche al Regno Unito ed alla Repubblica d’Irlanda durante le fasi finali del conflitto.

[4]Suddivisione fissata dall’Anglo-Irish Treaty del 1921.

[5]Costituitasi nel 1922 dopo una Guerra d’Indipendenza contro il Regno Unito combattuta tra il 1919 e il 1921.

[6]Le sei contee che compongono il Nord Irlanda sono: Antrim, Armagh, Down, Fermanagh, Londonderry e Tyrone.

[7]A partire dal 1922, i Nazionalisti divennero i sostenitori di un’Irlanda unita sostenendo, pertanto, un’ideologia repubblicana. D’ora in poi, quando si parlerà di Nazionalisti si farà riferimento agli irlandesi in Nord Irlanda con aspirazioni repubblicane.

[8]Il termine loyalista viene usato storicamente per riferirsi agli Unionisti in Nord Irlanda, in quanto leali alla corona britannica.

[9]L’Original IRA o IRA fu la milizia paramilitare repubblicana che svolse un ruolo centrale nella vittoria della Guerra d’Indipendenza Irlandese. Dopo una fase di quiescenza, dall’Original IRA si distaccò la Provisional IRA la quale fu la milizia paramilitare repubblicana per eccellenza durante i Troubles.

[10]Terece O’Neill ricoprì la carica di Primo ministro in Nord Irlanda dal 1963 al 1969.

[11]La Royal Ulster Constabulary ha costituito la forza di polizia in Nord Irlanda dal 1922 al 2001.

[12] Barricate che separavano i quartieri a maggioranza cattolica da quelli a maggioranza protestante.

[13]ireland-calling.com/troubles-in-northern-ireland/

[14]Per i Nazionalisti la milizia paramilitare per eccellenza fu la Provisional IRA, nata ne 1969 da distacco delle frange più estremiste della NICRA. Per gli Unionisti, due furono le milizie coinvolte: UVF e l’Ulster Defence Association divenuta nel 1973 la Ulster Freedom Fighter (UFF).

[15]“This tragical and most intractable problem”: the Reaction of the Department of External Affairs to the outbreak of the Troubles in Northern Ireland , Irish Studies in International Affairs, Micheal Kennedy (2018).

[16]The Background to the Peace Process”, Irish Studies in International Affairs, Martin Mansergh (2018).

[17]Nota come “Operazione Demetrius” del 1971.

[18]Gli Unionisti rivolevano il proprio governo autonomo, mentre i Nazionalisti volevano il Regno Unito fuori dall’Irlanda.

[19]Fondato nel 1905 da Arthur Griffith, il Sinn Féin è un partito repubblicano di sinistra attivo sia in Irlanda del Nord che nella Repubblica d’Irlanda.

[20]Ripe Moments for Exiting Political Violence: an Analysis of the Northern Ireland Case”, Irish Studies in International Affairs, Eileen Connolly-John Doyle (2018).

[21]Emblematica in tal senso fu la creazione nel 1985 dell’International Fund for Irelana, fortemente sostenuto sia sul piano finanziario che mediatico dagli USA.

[22]Prima donna a ricoprire l’incarico di Primo ministro britannico, restò alla guida dell’esecutivo dal 1979 al 1990.

[23]Per citarne alcuni: Earl Mountabatten (Ufficiale della Marina britannica) e la stessa Margaret Thatcher.

[24]Con il termine Dirty Protest si fa riferimento alla protesta organizzata dai membri dell’IRA incarcerati, tra il 1976 e il 1978, il cui obiettivo ultimo era ottenere il riconoscimento dello status di prigioniero politico. La protesta consistette nello spargimento di escrementi sulle pareti delle celle da parte dei nazionalisti cattolici.

[25]Ripe Moments for Exiting Political Violence: an Analysis of the Northern Ireland Case”, Irish Studies in International Affairs, Eileen Connolly-John Doyle (2018).

[26]In questo modo, il Sinn Féinn avrebbe tacitamente legittimato il governo in Nord Irlanda anglofilo.

[27]Il Report del 1994 prevedeva complessivamente 3 soluzioni: Stato unitario, Stato federato o con-federato ed autorità congiunta dei due governi sul Nord Irlanda.

[28]The Background to the Peace Process”, Irish Studies in International Affairs, Martin Mansergh (2018).

[29]Tony Blair, esponente del Partito Laburista britannico, ricoprì la carica di Primo Ministro dal 1997 al 2007.

[30]Entrato in vigore dal luglio 1987, prevedeva il completamento del processo di integrazione economica e politica europea entro il 1993 ed attraverso la creazione di un Mercato Unico nel quale potessero circolare liberamente persone, merci, servizi e capitali.

[31]Entrato in vigore del novembre 1993, definì la struttura a pilastri dell’Unione, introdusse la cittadinanza europea e gettò le basi per una futura e più intensa integrazione economica e politica.

[32]Il Multi Party Agreement, concluso tra le forze politiche nordirlandesi, ed il British Irish Agreement, concluso tra il Regno Unito e la Repubblica d’Irlanda.

[33]Tra i più importanti: St. Andrews Agreement del 2006, lo Stormont House Agreement del 2014 ed il Fresh Start Agreement del 2015.

[34]Introdotta con il Trattato di Maastricht del 1993.

[35]Realizzatosi anche grazie all’incorporazione della Convenzione Europea sui Diritti dell’Uomo tra le fonti di diritto primario dell’Unione europea a partire dal Trattato di Lisbona del 2009.

[36]Previsto a partire dai Trattati di Roma del 1957 ed istitutivi della Comunità Economica Europea, il Mercato Unico Europeo fu gradualmente implementato nel corso dell’evoluzione dell’Unione europea e consisteva nella creazione di un’area di libero scambio di persone, merci, capitali e servizi tra gli Stati membri.

[37]I PEACE programmes costituiscono soltanto uno degli esempi di sostegno diretto dell’Unione in Nord Irlanda. Lanciati nel 1995, ad oggi sono in totale quattro i programmi ad essere stati implementati ed hanno come scopo il mantenimento del benessere economico e sociale nell’area.

[38]Con il termine hard Brexit, si intende un recesso del Regno Unito dall’UE che non solo non contempli la conclusione di un accordo di recesso, ma che prevederebbe l’uscita dal Mercato Unico Europeo, il rafforzamento dei controlli alle frontiere, il controllo dell’immigrazione europea, e la fine della giurisdizione della CGUE.

[39]Per la circolazione delle persone tra le due aree dell’isola, una hard BREXIT avrebbe effetti limitati in quanto regolata dalla Common Travel Area, la quale garantisce la libera circolazione di irlandesi ed inglesi.

[40]Tra i più importanti: gli INTERREG programmes ed i PEACE programmes.

[41]Membro storico del Partito Conservatore britannico, Boris Johnson ha ricoperto l’incarico di Ministro degli Affari esteri dal 2016 al luglio 2018 quando consegnò le proprie dimissioni a causa delle divergenze con il Primo Ministro Theresa May in merito al Chequer’s Plan.

[42]https://www.theatlantic.com/ideas/archive/2019/03/brexit-could-reawaken-northern-irelands-troubles/584338/


Foto copertina: Boy and flaming car outside Divis flats. 


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