
Sin dalle Primavere Arabe del 2011, la sicurezza cooperativa con i partner mediterranei e africani lungo il fianco sud è divenuta una priorità per la NATO. La caduta di regimi decennali e l’instabilità venutasi a creare negli anni successivi, insieme alla proliferazione di organizzazioni estremiste e di traffici illeciti da parte di reti criminali internazionali, hanno obbligato l’Alleanza Atlantica a rivedere il suo impegno nel Nord Africa e in Medio Oriente. Attraverso nuovi e vecchi strumenti, la NATO sta cercando di assicurare la difesa dei confini dei suoi membri dalle minacce provenienti dal suo fianco sud.
“In nessun momento dalla fine della Guerra Fredda la NATO ha affrontato sfide alla sicurezza così importanti come fa oggi”; così apriva il suo report annuale del 2016 il Segretario Generale della NATO Jens Stoltenberg[i]. Non c’è dubbio che i cambiamenti geopolitici avvenuti nel corso dell’ultimo ventennio hanno profondamente modificato gli equilibri venutisi a creare dopo la capitolazione dell’Unione Sovietica: da una parte, l’atteggiamento aggressivo di una Russia che aumenta la sua influenza sia sul fianco est che sul fianco sud dell’Alleanza; dall’altra, l’esplosione del terrorismo di matrice islamista alle porte della NATO che ha colpito alcune delle capitali europee, fomentato dall’instabilità regionale e dai conflitti in Medio Oriente e Nord Africa, prime fra tutte la Siria e la Libia.
Il mix di instabilità e conflitti ha alimentato un flusso di rifugiati e migranti verso l’Europa senza precedenti, divenendo un fattore destabilizzante per diversi paesi europei. A ciò si devono aggiungere i ben consolidati traffici di armi, le politiche ambiziose di alcune potenze regionali (Turchia, Iran, Israele ed Arabia Saudita) e la competizione per le risorse energetiche, generando quella tempesta perfetta che oggi si abbatte sul Mediterraneo e nel Medio Oriente.
Il collasso dell’ordine regionale dopo le Primavere Arabe ha trasformato il Mediterraneo in un polo di instabilità, influenzando negativamente l’equilibrio tra la difesa interna ed esterna dei membri Alleati. Oltre ai fattori economici, politici e sociali, l’instabilità del fronte sud è collegata alla minaccia terroristica e alla crisi migratoria. Quest’ultima ha costretto l’Unione europea, e in particolare i suoi membri che affacciano sul Mediterraneo, ad adottare misure di emergenza per mitigare l’enorme flusso di migranti. Questo, insieme alla minaccia terroristica, sono infatti divenuti temi prioritari nelle agende politiche di questi paesi.
I membri della NATO hanno iniziato ad esprimersi sulla questione al Summit in Galles del 2014, reiterando poi tali preoccupazioni con maggiore forza durante il Summit di Varsavia del 2016. Nella dichiarazione finale del Summit in terra polacca, i Capi di Stato e di governo hanno sottolineato la necessità di contribuire alla sicurezza globale e alla promozione di stabilità rafforzando la sicurezza all’esterno dei propri territori, contribuendo al tempo stesso a migliorare la sicurezza della stessa Alleanza[ii]. Nel Summit di Bruxelles del luglio 2018, infine, vengono riaffermate le volontà degli Stati membri di migliorare la sicurezza dell’area mediterranea anche attraverso l’utilizzo di nuovi strumenti[iii].
Passi in avanti sono stati compiuti: dal Summit di Varsavia è stato approvato l’utilizzo dell’avanzatissimo aereo NATO AWACS da parte della Colazione Globale contro l’ISIS in Iraq [iv]; la fine dell’Operazione Active Endeavour e l’inizio della missione Sea Guardian nei mari del Mediterraneo, in coordinamento con le missioni nazionali ed europee [v]; l’annuncio nel febbraio 2017 dell’apertura di un “Hub per il Sud” presso il Comando Interforze di Napoli (JFC Naples) con l’obiettivo di analizzare e comprendere scenari politici, sociali, economici e militari in Africa e Medio Oriente; infine al Summit di Bruxelles, oltre a dare piena operatività all’Hub per il Sud [vi], viene istituita una nuova missione di addestramento e assistenza alle forze di sicurezza irachene, all’interno del continuato supporto alla Coalizione Globale contro l’ISIS [vii].
L’azione della NATO e dei paesi europei è però controbilanciata da quella di due grandi potenze come Russia e Cina: quest’ultima ha avviato relazioni sempre più strette con molti paesi in Africa e nella penisola araba, divenendo senza alcun dubbio alcuno uno dei più importanti attori emergenti nel Mediterraneo orientale e nella sponda sud europea. Attraverso iniziative come la “16+1”[viii], la “One Belt One Road” [ix], l’acquisto di porti, infrastrutture e asset in tutto il Mediterraneo, la Cina sta esponenzialmente incrementando la sua influenza economica e politica nella regione. Per il momento, Pechino ha condotto la sua agenda principalmente per la sfera economica, garantendo agli Stati Uniti il controllo dei rifornimenti energetici e la posizione di garante della sicurezza nell’area, tuttavia non è da escludere che in un futuro la Cina possa aumentare la propria presenza militare nella zona, considerando le sempre più crescenti richieste energetiche del gigante asiatico e continuando quel processo iniziato con l’apertura della prima base estera cinese in Gibuti[x].
La Russia sta invece cercando di riacquistare la sua influenza passata nella regione. E’ diventata un attore chiave per la Siria, ma in generale per tutto il Mediterraneo orientale, compreso l’avvicinamento alla Turchia di Erdogan e le azioni di contrasto alla diversificazione energetica europea, attraverso la “diplomazia del gas russa” (nel mirino in particolare Eastmed e TAP, che potrebbero ridurre la quota di gas russo tra le importazioni dell’Unione, ad oggi corrispondente a circa il 40,6% [xi]).
Il supporto ad Assad in Siria ha consentito a Mosca di avere una carta da scambiare con l’occidente dopo le tensioni con l’Ucraina (nella speranza, al momento vana, di vedersi riconoscere la Crimea), permettendogli al momento di tenere in stallo qualsiasi tentativo di NATO e Stati Uniti di entrare nella crisi ucraina. Il rapporto con la Turchia è inoltre un’arma per Mosca, nel tentativo di dividere l’Alleanza Atlantica e sottraendole il principale membro nel Mediterraneo orientale attraverso tensioni come quelle tra Ankara e Atene. I fattori destabilizzanti sono quindi molti ed è necessario approfondirli.
Immigrazione
L’immigrazione dall’Africa e dal Medio Oriente continua a essere una delle principali tematiche nelle agende politiche dei paesi europei. La politica di chiusura dell’Italia e l’incremento delle rotte verso la Spagna tengono banco sui media europei. Parlando di dati, le ricerche effettuate dalla Commissione europea ci permettono di constatare che, dopo un picco di circa 1.3 milioni di richieste d’asilo nel 2015 e nel 2016, nel 2017 la cifra si è ridotta significativamente di quasi la metà, arrivando a circa 700 mila domande[xii].
Fonte: Eurostat
Mentre molti soggetti militari hanno collegato questa sfida all’instabilità della Libia, che ha permesso a reti di trafficanti di utilizzare il paese come base logistica per il traffico, i paesi Alleati colpiti dal flusso migratorio devono avere una visione più ampia del fenomeno, allargando il fianco sud della NATO. Ciò è possibile osservarlo dalla mappa realizzata dall’agenzia di stampa Routers e dall’International Centre for Migration Policy (ICMPD), tutt’ora attuale.
Fonti: International Centre for Migration Policy (ICMPD), Reuters
Le diverse rotte provengono da numerosi paesi dell’Africa subsahariana e attraversano la regione del Sahel per raggiungere le coste nordafricane: la Libia rappresenta solo uno dei tanti, seppur fondamentale, punti di raccolta dei migranti e solo in parte le instabilità del paese incidono sull’immigrazione (diverso il discorso relativo alla sicurezza della regione, già affrontato nel numero di gennaio 2019 di Opinio Juris – Law & Politics[xiii]).
La mappa mostra alcuni degli snodi di transito da cui i migranti passano per arrivare ai paesi europei. Questi includono città come Addis Abeba in Etiopia e Khartum in Sudan nell’Africa orientale, Gao in Mali, Agadez in Niger e Tamanrasset in Algeria nel Sahel. Questi snodi rappresentano degli utili punti d’accesso per i paesi NATO e altri attori per fronteggiare i problemi legati ai flussi migratori prima che questi arrivino sulle coste mediterranee. Da questo possiamo desumere che l’immigrazione non è un problema legato solamente al vicino fianco sud ma vede coinvolte zone tipicamente non appartenenti all’area, con la presenza dei paesi d’origine dei migranti e zone di transito che accolgono il passaggio degli stessi, agendo da ponti tra i vari gruppi criminali che si occupano del traffico.
In quest’ottica, anche le statistiche ci aiutano ad avere una comprensione maggiore del fenomeno: la lista seguente ci mostra che tra i primi 20, i paesi africani da cui provengono maggiormente i richiedenti asilo (nella statistica vengono considerati solo quelli di fine 2017 e gran parte del 2018, ma i dati non sono molto diversi rispetto alle statistiche dei periodi precedenti) sono Nigeria, Guinea, Eritrea, Somalia, e Sudan, tutti non propriamente parte del fianco sud dell’Alleanza che coinvolge, del continente nero, solo gli Stati nordafricani. Nei primi 20 infatti, figura solo l’Algeria tra questi ultimi.
Fonte: Eurostat
Dal punto di vista della sicurezza, il flusso di migranti pone alcuni problemi: uno dei più sentiti è certamente la possibilità che i migranti possano aumentare il numero dei crimini e radicalizzarsi. Entrambe le affermazioni sono state ridimensionate da numerosi report e statistiche. Sul terrorismo, in particolare, si è espresso l’Europol con il report annuale “EU Terrorism Situation and Trend Report” (TE-SAT), che ha specificato come i flussi migratori non risultino collegati al terrorismo, seppur non si possa escludere che qualche elemento possa in futuro utilizzare tale fenomeno per arrivare in Europa[xiv].
Traffici illeciti
Le rotte migratorie sovrappongono molto spesso quelle di altri traffici illeciti: armi, droghe e altri beni illeciti arrivano in Europa attraverso numerose rotte che, spesso e volentieri, si incrociano con quelle migratorie, come confermato da Unione europea e l’Ufficio delle Nazioni Unite per il controllo della droga e la prevenzione del crimine (UNODC).
Fonte: UNODC, World Drug Report 2018
Oppiacei, in particolare eroina, arrivano in Europa dall’Afghanistan, passando per l’Iran e arrivando in territorio NATO già in Turchia, prima di raggiungere i paesi membri europei. Allo stesso tempo, i trafficanti hanno ripreso quelle che sono state le rotte seguite da Vasco da Gama per raggiungere le Indie, circumnavigando l’Africa: eseguendo a ritroso la rotta, i trafficanti di droga superano le coste del Sud Africa, utilizzando Kenya e Tanzania come porti sicuri, per poi raggiungere Nigeria, Guinea e Mali e, dall’Africa occidentale, arrivare al cuore dell’Europa. Anche i trafficanti di cocaina dal Sud America utilizzano l’Africa occidentale come base di lancio per raggiungere il mercato europeo. Questa connessione di traffici verso l’Europa – come parte del fenomeno migratorio – gira attorno all’Africa occidentale. Un report di Brookings ci conferma che dai primi anni duemila, l’Africa occidentale è emersa come importante punto di transito attraverso il quale i cartelli della droga internazionali spostano le loro merci dal Sud America e dall’Asia per raggiungere Europa e Nord America. Questa trasformazione della regione in “Hub della droga” è dovuta principalmente all’elevata povertà della popolazione e all’altissimo grado di corruzione delle istituzioni e della politica[xv].
L’Interpol, insieme al Norwegian Center for Global Analysis, ha pubblicato un report dal nome “World Atlas of Illict Flows”[xvi]. L’Africa occidentale e il Sahel rappresentano l’area più florida per questi traffici: dall’Asia, l’Africa viene circumnavigata e raggiunge Nigeria, Guinea e Mali; dal Sud America, navi e aerei partono dal Brasile e dal Venezuela e arrivano nella regione, principalmente in Guinea-Bissau. Gran parte di questi traffici attraversano Marocco e Algeria, così come la Libia, per raggiungere il Vecchio Continente. La cocaina arriva anche per via aerea dall’Africa orientale, in particolare da Addis Abeba in Etiopia. I gruppi terroristici locali come Al-Qaeda nel Maghreb Islamico (AQIM) hanno modificato le loro attività di finanziamento, passando dai rapimenti con riscatto e dal contrabbando delle sigarette alla protezione dei traffici di droga, un’attività decisamente più redditizia.
Il controllo di questi punti di transito vengono usati dai gruppi armati anche per il traffico dei migranti: l’ISIS a Sirte, in Libia, controllava un punto di transito per i veicoli nei pressi di Al Nuwfayah, dove i migranti passavano per raggiungere la costa. Questa serie di passaggi rendono il prezzo del viaggio molto caro al migrante, con un costo che si aggira tra i 3.000 e 4.500 dollari. Considerando i flussi annuali passati, con oscillazioni tra i 150 mila e i 170 mila individui, possiamo stimare che l’intero business del traffico dei migranti ha generato profitti tra i 450 e i 765 milioni di dollari. Una vera e propria fortuna per tutti questi gruppi, che possono reinvestire questi soldi in armi, mezzi e uomini, rendendo la regione ancora più instabile.
Terrorismo
Come detto in precedenza, i traffici che arrivano in Europa non risultano collegati con il terrorismo estremista che ha colpito alcune capitali europee negli ultimi anni. Certamente però, questi traffici vengono ampiamente sfruttati da organizzazioni estremiste per generare profitti e rendere le zone in cui operano sempre più instabili. Nella mappa precedentemente analizzata, si possono notare numerose sigle presenti nel continente africano. Pur non essendo coalizzate tra loro (basti pensare alle diverse differenze tra i vari gruppi, come la semplice divisione tra seguaci di al-Qaeda e di ISIS), queste organizzazioni controllano ampi territori, gestiscono traffici e seminano morte e distruzione.
In Africa orientale è protagonista indiscusso al-Shabab, gruppo terroristico jihadista attivo in Somalia dal 2006. Formalmente riconosciuta da al-Qaeda nel 2012[xvii], opera attivamente nel sud della Somalia, in Kenya ed Etiopia. Alcuni esponenti sono stati mandati a combattere anche in Yemen[xviii]. Il gruppo ha provato più volte a collegarsi con Boko Haram, in Nigeria, senza però riuscirci. Boko Haram è invece la sigla più famosa dell’Africa sud-occidentale. Nato in Nigeria, è affiliato all’ISIS dal 2015[xix] e opera, oltre che nel paese d’origine, anche in Camerun, Niger e Ciad, rendendosi una vera e propria mina vagante in tutta la zona. Nell’area operano altre importanti organizzazioni: Jama’at Nasr al-Islam wal Muslimin (JNIM) è il gruppo ufficiale di al-Qaeda in Mali, nato dalla fusione degli ex gruppi di Ansar Dine, Macina Liberation Front e al-Mourabitoun.
Opera in tutta l’Africa occidentale, nel Sahel e nelle regioni meridionali dei paesi nordafricani (Tunisia, Algeria e Libia); Al-Qaeda nel Maghreb Islamico (AQIM), ex Gruppo Salafita per la Predicazione e il Combattimento (GSPC) nato negli anni ’90 in un’instabile Algeria, nel 2005 si affilia ad al-Qaeda. Operante in tutto il Sahel e in nord Africa, il gruppo si è reso particolarmente famoso con la dichiarazione d’indipendenza delle regioni nel nord del Mali, dopo averle conquistate nell’ambito della guerra civile del 2012. Per una maggiore conoscenza di AQIM, rimando alla pubblicazione elaborata per il precedente numero di gennaio 2019 di Opinio Juris – Law & Politics[xx].
Come abbiamo visto, tutte queste forze in gioco sono in grado di rendere instabile un’area geograficamente vasta del pianeta. I numeri non sono da meno: secondo le informazioni delle forze armate statunitensi[xxi], nel 2018 al-Shabab ha potuto contare su 4/6 mila combattenti, divenendo di fatto uno dei gruppi più numerosi tra quelli legati ad al-Qaeda. JNIM invece conta circa 800 combattenti. Boko Haram può contare su circa 1.500 combattenti, mentre ISIS in West Africa (altro gruppo dell’area legato allo Stato Islamico), quasi 3.500.
Le contromisure della NATO
Oggi più che mai, la sicurezza transatlantica e quella mediterranea sono collegate. Le problematiche precedentemente esposte mostrano come sia necessario creare un ambiente politico sicuro tra NATO e partner. Come specificato al Summit di Bruxelles del 2018, l’Alleanza deve articolare una propria strategia per il sud. Il punto di partenza per una qualsiasi strategia della NATO in quest’area deve partire dai propri partner, a cominciare dal rilancio del Mediterranean Dialogue (MD).
Il Mediterranean Dialogue[xxii] è un’iniziativa che vede coinvolti 7 paesi dell’area non membri NATO: parliamo di Algeria, Tunisia, Marocco, Mauritania, Egitto, Giordania e Israele. Questa iniziativa promuove il miglioramento delle condizioni di sicurezza del Mediterraneo, con la NATO che offre il proprio supporto, attraverso gli Individual Cooperation Programmes (ICP), nell’incrementare l’efficacia dei sistemi di sicurezza di questi paesi. Il dialogo vede principalmente un rapporto bilaterale tra l’Alleanza e il partner, tuttavia non sono mancati colloqui tra la NATO e tutti i 7 partner. La cooperazione viene strutturata attraverso un programma dei lavori annuale che include seminari, workshop e altre attività sul campo per la modernizzazione delle forze armate, la pianificazione per le emergenze, gestione crisi, controlli alle frontiere e terrorismo. In questo quadro sono anche compresi inviti agli ufficiali dei paesi partner a osservare le esercitazioni NATO e a prendere parte ai corsi presso le scuole ufficiali dell’Alleanza.
Come il Mediterranean Dialogue, un’ulteriore collaborazione da rilanciare è quella con i paesi del Golfo. Nel 2004, la NATO e 4 membri del Consiglio di cooperazione del Golfo (Qatar, Bahrein, Kuwait ed Emirati Arabi Uniti) hanno avviato un progetto simile al Mediterranean Dialogue chiamato Istanbul Cooperation Initiative (ICI)[xxiii]. L’ICI ha visto l’assenza di due membri del GCC, Oman e soprattutto Arabia Saudita, nondimeno questi ultimi hanno partecipato ad alcune delle attività della NATO nella Penisola Araba. Utilizzando lo stesso sistema bilaterale del Mediterranean Dialogue, la NATO fornisce supporto alle forze di sicurezza dei partner attraverso l’addestramento e l’educazione militare.
Le recenti problematiche nate nel GCC (con l’esclusione del Qatar nel 2017 dal Consiglio) hanno di fatto rallentato la cooperazione (mai stata in verità particolarmente attiva rispetto ad altri partenariati dell’Alleanza Atlantica), tuttavia c’è da dire che mai come oggi una cooperazione tra NATO e paesi del Golfo potrebbe avere degli effetti importanti. Bahrein ed Emirati Arabi Uniti si sono unite alla NATO nella missione International Security Assistance Force (ISAF) in Afghanistan; sempre gli Emirati Arabi Uniti e il Qatar hanno partecipato all’operazione Unified Protector in Libia. Il Parlamento del Kuwait ha approvato nel marzo 2017 una legge che permette alle forze militari NATO di transitare attraverso i territori nazionali[xxiv].
Nel paese inoltre è stato aperto un centro, il NATO-ICI Regional Centre, un hub per l’educazione e l’addestramento di ufficiali NATO e partner dell’ICI[xxv]. Sono inoltre diverse le basi dei paesi membri nell’area: la Turchia in Qatar, la Francia ad Abu Dhabi e il Regno Unito in Bahrein. Londra starebbe inoltre considerando l’apertura di una nuova base militare in Kuwait[xxvi]. Non bisogna infine dimenticare le basi statunitensi, diverse nell’area, con le principali in Qatar (Al-Udeid), Kuwait (Camp Udairi), Bahrein (NSA Bahrain) e numerose altre in Arabia Saudita.
Partner importanti per l’Alleanza nel Vicino Oriente sono Giordania e Iraq. Il primo ha assunto un ruolo chiave per l’Alleanza nella regione, rappresentando un partner stabile e forte in un’area da molto tempo tumultuosa. Il suo ruolo stabilizzante, in una regione che ha visto la guerra in Siria, l’instabilità dell’Iraq, l’ascesa e la caduta dell’ISIS, è sicuramente apprezzato dalla NATO. La Giordania, oltre che dalle già citate contingenze, è circondata anche da altri territori instabili: Egitto, Israele e i territori palestinesi. Il regno hashemita è quindi letteralmente al centro dei principali conflitti della regione. Per questo motivo NATO e Giordania hanno stretto una partnership efficiente e duratura, nata negli anni ’90. Gli Stati Uniti hanno dichiarato il paese “Major non-NATO Ally” nel 1996, aprendo la strada a una maggiore cooperazione economica e militare. Per la piccola Giordania un grande ruolo nel peacekeeping, sia con le Nazioni Unite che con la NATO (con il dispiegamento di truppe per le missioni alleate dalla Bosnia-Erzegovina all’Afghanistan). Membro del Mediterranean Dialogue, il regno ospita dal 2010 l’esercitazione annuale Eager Lion, che vede coinvolte principalmente le forze armate giordane e statunitensi, ma anche di Alleati NATO (tra cui l’Italia) e partner dell’Alleanza e dell’MD come l’Egitto[xxvii].
La Giordania ha inoltre reso disponibile alle forze alleate la base aerea di Muwaffaq Salti, nei pressi di Azraq, divenendo in breve tempo un fondamentale centro per l’Alleanza Atlantica nel Vicino Oriente, sopratutto dopo le tensioni con la Turchia riguardanti l’incerto futuro della base di Incirlik. Nel 2018, la NATO ha poi lanciato con la Giordania un Defence Capacity Building Project (DCBP) con lo scopo di migliorare la gestione delle crisi, rafforzare i confini e sviluppare le capacità di cyberdifesa delle forze armate hashemite, messe a dura prova dal terrorismo jihadista dell’area[xxviii].
La Giordania è stata infine un utile partner in Iraq, con l’addestramento delle forze di polizia irachene presso il Jordan International Police Training Center (JIPTC) e del personale militare al King Abdullah Special Operations Training Center (KASOTC).
L’Iraq ha iniziato a relazionarsi con la NATO nel 2004, dopo l’occupazione del paese da parte della coalizione multinazionale guidata dagli Stati Uniti, con la NATO Training Mission Iraq (NTM-I), il cui compito era di contribuire allo sviluppo delle forze armate e della polizia irachena addestrandone il personale. Fino al suo termine nel 2011, la NTM-I ha addestrato oltre 15 mila ufficiali iracheni[xxix]. Dopo il Summit di Varsavia nel 2016, la NATO ha poi deciso di contribuire attivamente alla Coalizione Globale contro l’ISIS permettendo l’utilizzo dell’avanzato velivolo di sorveglianza aerea NATO AWACS, oltre che avviare nuovi programmi per l’addestramento delle forze irachene. L’anno successivo, l’Alleanza è poi ufficialmente entrata a far parte della Coalizione Globale contro l’ISIS, di cui già tutti i membri ne facevano parte individualmente. L’ultimo atto della collaborazione tra NATO e Iraq si è avuto dopo il Summit di Bruxelles del 2018, con l’approvazione di una nuova missione di addestramento nel paese, la NATO Mission Iraq (NMI)[xxx].
La collaborazione con l’Unione europea è un altro strumento che la NATO utilizza nella regione: con la Dichiarazione Congiunta NATO-UE del luglio 2018[xxxi] (che rilancia quella del 2016), entrambe le istituzioni hanno deciso di rafforzare la cooperazione in materie come la sicurezza marittima e il controllo dell’immigrazione, attraverso anche una maggiore condivisione delle informazioni e una più stretta coordinazione delle loro attività nel Mediterraneo.
La Dichiarazione Congiunta crea un’infrastruttura nel quale NATO e Unione europea possono lavorare insieme per generare capacità difensive e potenziare la sicurezza dei propri partner nella regione, attraverso progetti specifici per ogni paese. Passi avanti sono stati compiuti: nel 2016 navi dell’Alleanza hanno contrastato l’immigrazione illegale nel Mar Egeo e nello stesso anno la NATO ha lanciato l’operazione marittima Sea Guardian, in supporto all’operazione dell’UE Sophia nel Mediterraneo centrale. Condividendo priorità e obbiettivi, le molteplici e differenti sfide che il Mediterraneo offre a entrambe rendono il terreno fertile per una maggiore cooperazione. Se NATO e UE riusciranno a collaborare in termini pratici, i benefici riguarderanno principalmente il fianco sud dell’Alleanza. La stessa Cooperazione strutturata permanente (PESCO)[xxxii] dell’Unione europea, avviata nel 2017, potrebbe portare importanti benefici all’area mediterranea.
L’ultimo atto dell’Alleanza per il fianco sud è il NATO Strategic Direction South Hub, lanciato nel febbraio 2017 e istituito presso il Comando interforze di Napoli. L’Hub ha il compito di incrementare la comprensione dell’Alleanza riguardo le sfide concernenti il Mediterraneo e le aree adiacenti. Riassumendo, l’Hub contribuisce ad aumentare la consapevolezza della NATO di un’area che va dall’Africa al Golfo Persico. L’Hub nasce quindi in risposta alle crescenti sfide che il fianco sud pone ai paesi membri della NATO, in particolare quelli che si affacciano sul Mediterraneo. L’Italia, grazie alla sua posizione geografica nel mare e la presenza del JFC Naples, ha ottenuto quindi questo nuovo centro il cui scopo è quello di proiettare le capacità stabilizzatrici dell’Alleanza nel Mediterraneo e oltre, avvalendosi della collaborazione dello stesso Comando di Napoli, di altre organizzazioni internazionali come Nazioni Unite, Unione europea e Unione Africana, di ONG e istituti di ricerca e, infine, degli Stati africani e mediorientali.
Quest’attività di ricerca permette al personale dell’Hub di fornire un supporto analitico alla NATO, raggiungendo una comprensione migliore delle questioni locali e trascendendo la semplice dimensione militare, studiando elementi culturali, storici, sociali ed economici delle aree interessate.
L’Hub consente infine un maggiore condivisione di informazioni tra l’Alleanza stessa e i partner, attraverso valutazioni sui possibili scenari di intervento delle forze militari e la possibilità di migliorare il coordinamento tra le varie missioni, nazionali e internazionali, che i paesi membri della NATO svolgono nel fianco sud. Le manifestazioni positive da parte del Segretario Generale Jens Stoltenberg[xxxiii] e dei Ministri dei paesi membri[xxxiv] hanno confermato questa tendenza. L’importanza dell’Hub è stata certificata anche alla conferenza “NATO Hub per il sud e il futuro della sicurezza cooperativa”, organizzata dal Comitato Atlantico Italiano e dal Club Atlantico di Napoli, svoltasi il 5 dicembre 2018 nel capoluogo campano. All’evento ha presenziato anche l’ammiraglio James G. Foggo III, comandante del JFC Naples e della US Navy in Europa e Africa, che ha evidenziato l’importanza dell’azione dell’Hub non tanto dal punto di vista militare, ma piuttosto dal punto di vista accademico e diplomatico, consapevole che un dialogo con enti statali e non possa creare prospettive ben più durature ed efficaci di quanto la dimensione puramente militare può propriamente offrire.
Conclusioni: cosa può fare di più la NATO
Abbiamo visto come le minacce alla sicurezza dei paesi NATO europei e mediterranei siano numerose e differenti. Le origini di tali sfide sono poi, spesso e volentieri, lontane da quello che viene considerato il fianco sud della NATO. La prima cosa che l’Alleanza Atlantica dovrebbe fare è sviluppare una nuova concezione del fianco sud: le sfide che l’Alleanza deve affrontare nella regione nascono da aree lontane, tanto da costringere ad un ripensamento del fianco sud in un “fianco sud allargato”. Inoltre, una visione puramente militare risulta limitata e incapace di affrontare con efficacia le minacce alla sicurezza alleata.
L’istituzione dell’Hub, che fa della cooperazione il suo cavallo di battaglia, è indicativo della direzione che la NATO vuole intraprendere. Inoltre, il dialogo con paesi e istituzioni africane (come l’Unione Africana), rappresentano una novità per l’Alleanza Atlantica nel fianco sud, mostrando quindi l’interesse della NATO verso zone tipicamente non appartenenti alle aree di interesse dell’Alleanza. La sfida tuttavia sta nel non rendere l’Hub una meteora: pur nato sotto i migliori auspici, questo centro ha bisogno di tutto il supporto possibile dai comandi dell’Alleanza, nonché dai paesi membri. Se indirizzato verso la strada giusta, l’Hub può divenire pioniere di un nuovo approccio che l’Alleanza ha assoluta necessità di avere.
In secondo luogo, i vertici della NATO devono essere consapevoli degli effetti che la sua attività – e quella dei paesi membri – possono avere nel fianco sud allargato. Intervenire in un determinato contesto per poi ritrovarsi altre sfide in un altro non è un’opzione da considerare. Ciò che è successo in Libia è ad esempio illuminante: dopo l’intervento Alleato a guida francese nel 2011 in Libia, nel paese si è scatenata una guerra civile che dura ancora oggi e che ha visto l’inserimento di organizzazioni criminali e gruppi jihadisti in Libia, a pochi chilometri dalle coste europee. Le conseguenze dell’intervento sono state nefaste ed è pacifico affermare che bisogna riconsiderare gli effetti che azioni simili possono avere su un dato territorio e una data popolazione. La domanda quindi è: affrontando le minacce, possono i paesi NATO contribuire in modo indiretto alla diffusione di estremismi, nonché di piantare i semi di un futuro conflitto? Questo genere di considerazioni devono essere compiute dalla NATO nella prospettiva di modificare la propria strategia d’intervento per evitare che tali problematiche vengano a crearsi successivamente.
Terzo, è indubbio che le sfide sinora indicate necessitano di risposte non puramente militari e non necessariamente dalla NATO, includendo organizzazioni internazionali, ONG e istituzioni nazionali presenti nel fianco sud allargato. Il miglioramento dell’istruzione e della salute sono aspetti fondamentali per migliorare la qualità della vita di queste persone e la possibilità di avere un futuro lavorativo dignitoso. Pesanti investimenti di capitale nelle infrastrutture di questi paesi sono altresì necessari per facilitare lo sviluppo economico e potenziare il mercato del lavoro, a patto che gli stessi non vadano a gonfiare la già imponente corruzione presente in queste zone. Lo sviluppo economico di queste aree può infine contribuire significativamente a ridurre i flussi migratori, con i possibili migranti incentivati a restare nei loro paesi.
In ultima istanza, è obbligatorio per la NATO focalizzare le proprie capacità analitiche sul fianco sud allargato e le sue sfide emergenti. Altrimenti, l’Alleanza rischia di essere presa alla sprovvista, come quanto accaduto con le instabilità del mondo arabo durante le “Primavere arabe”. Una delle maggiori sfide, come dimostrato precedentemente, è l’area dell’Africa occidentale, vero e proprio centro per il traffico di migranti, beni illeciti e stabilmente rifugio per gruppi estremisti. Per affrontare queste minacce, l’Alleanza deve necessariamente utilizzare le proprie capacità e rivolgerle verso tutte quelle situazioni che, anche se inizialmente di dimensioni ridotte e poco significative, possono tramutarsi in elementi per accendere nuove violenze ed estremismi.
Note
[i] NATO; The Secretary General’s Annual Report, 2016, p. 6; https://www.nato.int/nato_static_fl2014/assets/pdf/pdf_2017_03/20170313_SG_AnnualReport_2016_en.pdf
[ii] NATO; Warsaw Summit Communiqué, 9 luglio 2016, par. 80; http://www.nato.int/cps/en/natohq/official_texts_133169.htm
[iii] NATO; Brussels Summit Declaration, 11 luglio 2018; https://www.nato.int/nato_static_fl2014/assets/pdf/pdf_2018_07/20180713_180711-summit-declaration-eng.pdf
[iv] NATO; “AWACS: NATO’s ‘eyes in the sky’”; https://www.nato.int/cps/em/natohq/topics_48904.htm
[v] Ministero della Difesa, “Mediterraneo – Sea Guardian e Forze Navali NATO”; https://www.difesa.it/OperazioniMilitari/op_intern_corso/Active-Endeavour/Pagine/default.aspx
[vi] ANSA; “NATO hub for south ‘fully operative’”, 11 luglio 2018; http://www.ansa.it/english/news/politics/2018/07/11/nato-hub-for-south-fully-operative_1cb1f503-4798-46bb-b233-39f224c4d64b.html
[vii] P. SMITH; “NATO Mission Iraq (NMI)”, NATO, 11 luglio 2018; https://www.nato.int/nato_static_fl2014/assets/pdf/pdf_2018_07/20180709_1807-backgrounder-NTCB-Iraq-en.pdf
[viii] La “16+1” è un’iniziativa della Cina che punta ad intensificare la cooperazione con 11 membri dell’Unione europea e 5 paesi balcanici in numerosi settori, tra i quali i trasporti, gli investimenti e la scienza.
[ix] Grande progetto cinese che coinvolge innumerevoli Stati asiatici ed europei e che punta allo sviluppo di una rete infrastrutturale che possa migliorare gli scambi commerciali tra questi paesi e la Cina.
[x] T. HEADLEY; “China’s Djibouti Base: A One Year Update”, The Diplomat, 4 dicembre 2018; https://thediplomat.com/2018/12/chinas-djibouti-base-a-one-year-update/
[xi] Eurostat; “Main suppliers of natural gas and petroleum oils to the EU”, dati estratti a ottobre 2018, visto il 17 gennaio 2019, https://ec.europa.eu/eurostat/statistics-explained/index.php/EU_imports_of_energy_products_-_recent_developments#Overview
[xii] Eurostat, Asylum Statistics; https://ec.europa.eu/eurostat/statistics-explained/index.php/Asylum_statistics#Number_of_asylum_applicants:_drop_in_2017
[xiii] F. GENEROSO; “La crisi libica e i suoi effetti nel nord Africa e nel Sahel”, Opinio Juris – Law & Politics Review, N°1 anno 2019, pp. 3-8, ISSN: 2531-6931; https://www.opiniojuris.it/gennaio-2019/
[xiv] Europol; “ European Union Terrorism Situation and Trend Report”, 27 luglio 2018, pp 28-29, ISBN 978-92-95200-91-3; https://publications.europa.eu/en/publication-detail/-/publication/6a2c720a-93a3-11e8-8bc1-01aa75ed71a1/language-en
[xv] L. GBERIE; “Crime, Violence, and Politics: Drug Trafficking and Counternarcotics Policies in Mali and Guinea”, Brookings Institution, 2016; https://www.brookings.edu/wp-content/uploads/2016/07/Gberie-Mali-and-Guinea-final.pdf
[xvi] C. NELLEMAN, R. HENRIKSEN, R. PRAVETTONI, D. STEWART, M. KOTSOVOU, M. SHAW, T. REITANO; “World atlas of illicit flows, Norwegian Center for Global Analyses, INTERPOL, Global Initiative Against Transnational Organized crime, 2018, ISBN: 978-82-690434-2-6 ; https://www.interpol.int/content/download/38205/482569/version/2/file/World%20Atlas%20of%20Illicit%20Flows.pdf
[xvii] CNN; “Al-Shabaab joining al Qaeda, monitor group says”, 10 febbraio 2012; https://edition.cnn.com/2012/02/09/world/africa/somalia-shabaab-qaeda/
[xviii] BBC; “Dozens of Yemen troops die in clashes with al-Qaeda”, 4 marzo 2012; https://www.bbc.com/news/world-middle-east-17251661
[xix] BBC; “Nigeria’s Boko Haram pledges allegiance to Islamic State”, 7 marzo 2015; https://www.bbc.com/news/world-africa-31784538
[xx] F. GENEROSO; “La crisi libica e i suoi effetti nel nord Africa e nel Sahel”, Opinio Juris – Law & Politics Review, N°1 anno 2019, pp. 3-8, ISSN: 2531-6931; https://www.opiniojuris.it/gennaio-2019/
[xxi] R. BROWNE; “US warns of growing African terror threat”, CNN, 19 aprile 2018 https://edition.cnn.com/2018/04/19/politics/africa-isis-al-qaeda-threat/index.html
[xxii] NATO; “NATO Mediterranean Dialogue”; https://www.nato.int/cps/en/natohq/topics_60021.htm
[xxiii] NATO; “Istanbul Cooperation Initiative (ICI)”; https://www.nato.int/cps/en/natohq/topics_58787.htm
[xxiv] Middle East Monitor; “Kuwait approves NATO use of its territory”, 16 marzo 2017; https://www.middleeastmonitor.com/20170316-kuwait-approves-nato-use-of-its-territory/
[xxv] NATO; “NATO marks closer ties with Gulf partners, opens new centre in Kuwait”, 24 gennaio 2017; https://www.nato.int/cps/su/natohq/news_140308.htm
[xxvi] S. GRZESZCZYK; “EXCLUSIVE: Britain ‘Considering Permanent Military Presence’ In Kuwait”, Forces Network, 19 febbraio 2018; https://www.forces.net/news/exclusive-britain-considering-permanent-military-presence-kuwait
[xxvii] ANSAMed; “’Eager Lion’ war games begin in Jordan”, 16 aprile 2018; http://www.ansamed.info/ansamed/en/news/sections/politics/2018/04/16/eager-lion-war-games-begin-in-jordan_95c94a79-4e55-4355-8402-b9efaee83d16.html
[xxviii] NATO; “NATO launches defence capacity building project for Jordan”, 19 febbraio 2018, https://www.nato.int/cps/en/natohq/news_152308.htm
[xxix] Ministero della Difesa; “Iraq – NTM-I”; http://www.difesa.it/OperazioniMilitari/op_int_concluse/IraqNTMI/Pagine/default.aspx
[xxx] P. SMITH; “NATO Mission Iraq (NMI)”, NATO, luglio 2018; https://www.nato.int/nato_static_fl2014/assets/pdf/pdf_2018_07/20180709_1807-backgrounder-NTCB-Iraq-en.pdf
[xxxi] NATO; “Joint Declaration on EU-NATO Cooperation”, 10 luglio 2018; https://www.nato.int/cps/en/natohq/official_texts_156626.htm
[xxxii] Per una migliore conoscenza della PESCO, si rimanda all’articolo di Francesco Gaudiosi pubblicato su Opinio Juris – Law & Politics dal titolo “La cooperazione strutturata permanente nel Diritto dell’Unione Europea”; https://www.opiniojuris.it/cooperazionestrutturata/
[xxxiii]NATO; “Secretary General visits NATO Command in Naples”, 23 novembre 2018; https://www.nato.int/cps/en/natohq/news_160747.htm
[xxxiv] Ministero della Difesa; “Nato: il Ministro Trenta visita l’Hub per il Sud di Napoli”, 8 ottobre 2018; https://www.difesa.it/Primo_Piano/Pagine/nato-ministro-trenta-visita-hub-sud-di-napoli.aspx