Con Sandro Temin, Consigliere UCEI di Napoli, abbiamo ripercorso le tappe più significative della storia della comunità ebraica di Napoli.
Chi percorre il vicoletto che conduce all’ingresso della Sinagoga, non può non notare le scritte che imbrattano i muri laterali, scritte antisemite, slogan inneggianti a Mussolini, al fascismo e al nazismo. Sintomo che l’antisemitismo più becero è ancora vivo.
All’ingresso incontriamo Sandro Temin, Consigliere UCEI, che ci accoglie nella Sinagoga ubicata nello storico Palazzo Sessa ad un passo da Piazza dei Martiri a Napoli. Con Temin ripercorriamo i momenti più importanti della storia della comunità ebraica di Napoli, l’unica a sud di Roma, e che ha giurisdizione per Campania, Molise, Puglia, Basilicata, Calabria e Sicilia.
Buongiorno Dott.Temin, la presenza di ebrei a Napoli risale fin dal primo secolo d.c. Possiamo riassumere brevemente i passaggi più significativi?
“Le vicissitudini storiche della città e i numerosi passaggi di potere determinarono per gli ebrei l’alternanza di periodi fortemente negativi ma anche periodi favorevoli.
La presenza ebraica in questa città è ben più antica e risale al I sec. a.c. , come dimostrano le numerose tracce presenti nel tessuto urbano della città e nella toponomastica.
Nel 1165, sappiamo di una forte presenza di ebrei a Napoli grazie al racconto di viaggio di Beniamino da Tudela[1], dove spiccano per questo periodo i nomi di Ezechia, Salom, Elia Sacerdote ed Isaac di Monte Hor.
Con l’editto di espulsione dalla Spagna del 1492, il Regno napoletano divenne meta degli ebrei della Penisola Iberica, della Sardegna e della Sicilia.
Ferdinando II inizialmente conferma alcuni privilegi accordati agli ebrei, ma nel 1510 si giunse alla Prammatica (cosi erano chiamate le ordinanze regie) che decretava l’espulsione degli israeliti, similmente a quanto già avvenuto in Spagna e Sicilia: grazie però, a quanto pare, all’intervento delle stesse popolazioni. Nonostante questa decisione, fu permesso a molti ebrei di restare dietro pagamento di un “contributo” economico.
Nel 1539 si giunse ad una nuova volontà di espulsione e nel frattempo si stabilì che gli ebrei dovessero vivere in luoghi appartati e indossassero un berretto rosso o croceo o giallo (i maschi), ovvero una fascia sugli abiti degli stessi colori (le femmine).
La volontà fu quella di riproporre un ghetto come quello che era nato a Venezia nel 1516. Ma la popolazione di Napoli si oppose all’idea dell’espulsione e chiese che gli ebrei potessero rimanere sicuri fino al 1545 e per i 5 anni successivi (pagando un tributo maggiore).
La risposta dalla Spagna, nel 1540, fu negativa e nel maggio 1541 il bando di espulsione fu pubblicato.
Con la fine della dominazione spagnola e l’avvento dei Borbone la situazione cambiò radicalmente e si procedette, anzi, a chiamare gli ebrei di nuovo nel Regno.
Il proclama del 1740, che pur proibiva l’usura, dava molte garanzie e lasciava parecchie libertà, compresa quella di culto, agli ebrei. Ma le pressioni del clero contro questa decisione furono importanti, si verificarono alcuni scontri tra ebrei e cristiani.
Alla fine re Carlo fece marcia indietro, e nel 1746 emanò il decreto di espulsione degli ebrei, che sarebbe entrato in vigore il 30 luglio 1747. Una copia dell’atto di espulsione è oggi conservata al Il Museum of Jewish Heritage a New York.
Nel 1821 al Congresso di Lubiana[2], Ferdinando I di Borbone chiese un intervento austriaco sul proprio territorio. Per pagare questo intervento, Luigi de’ Medici chiese aiuto a Carl Mayer von Rothschild.
La famiglia Rothschild a Napoli per finanziare i Borbone, anticipa allo stato due anni di raccolte fiscali e decidono di aprire una banca. La presenza della famiglia dà il via ad una rinascita anche della vita religiosa della comunità. Il primo nucleo di ebrei si riuniva in una sala dell’albergo Croce di Malta.
Nel 1841, Carl von Rothschild acquistò villa Pignatelli. Nel 1864 a Palazzo Sessa fu istituita la Sinagoga di Napoli.
Nel 1921 Dario Ascarelli da Presidente della comunità acquista i locali dove sorge la Sinagoga.
Nel 1917 in seguito al rogo di Salonicco e alle azione smaccatamente antisemite, molti ebrei decisero di lasciare la città per arrivare a Napoli. L’arrivo di nuove famiglie ebree arricchiscono la comunità esistente anche da un punto di vista linguistico-culturale. Gli ebrei in arrivo dalla Grecia erano sefarditi e parlavano un mix tra spagnolo ed ebraico, questa lingua veniva chiamata judezmo o giudesmo o più comunemente spagnolito.
Il Regio decreto 30 ottobre 1930, n.1731, cosiddetta Legge Falco, “sulle comunità israelitiche e sulla Unione delle comunità medesime” ed il successivo regolamento di applicazione del 19 dicembre 1931, n. 1561 sottoponeva all’autorità dello Stato tutte le forme di attività, specie quelle a base collettiva”
E arriviamo al 5 settembre 1938 quando vengono promulgate le leggi razziali. Cosa accadde alla comunità ebraica napoletana?
“L’Introduzione delle leggi razziali che furono applicate in modo ferreo anche a Napoli. I primi effetti furono negli uffici pubblici e nelle scuole. Gli insegnanti furono cacciati e anche le aziende furono arianizzate cioè non potevano avere una proprietà ebrea, ad esempio mio padre fu costretto ad intestare la sua azienda ad un prestanome.
Tornando alla scuola, all’Università erano presenti 18 professori ebrei (5 e 13 assistenti) andarono quasi tutti via, i professori Graziani e Forti furono reintegrati nel gennaio 1944.
Per quanto riguarda gli studenti, esistevano sezioni speciali per gli ebrei nella scuola Vanvitelli, con orari e ingressi diversi. Con un escamotage[3], fu formata una classe di 10 bambini per permettere il “regolare svolgimento” delle lezioni. Erano molto frequenti anche le scuole itineranti con i prof. espulsi che andavano ad insegnare nelle case degli ebrei.
Per quanto riguarda le deportazioni, nessun ebreo napoletano fu deportato nei campi di concentramento, alcune famiglie andarono nel campo di lavoro coatto di Tora e Piccilli in provincia di Caserta.
Solo un nucleo di nove persone[4], iscritte nelle liste della comunità ebraica di Napoli, trovarono la morte nei campi di concentramento. Loro però non furono rastrellati a Napoli, ma nei luoghi dove si erano rifugiati per cercare di salvarsi.[5]
Con l’armistizio dell’8 settembre 1943 le cose cambiarono. Napoli fu la prima città a ribellarsi all’occupazione, e molti ebrei parteciparono attivamente alle famose quattro giornate di Napoli”.
Oggi quanti membri conta la comunità?
“Alla fine del conflitto rimanevano in città solo 534 persone, ridotte oggi a circa 160, a queste vanno aggiunte i nuovi iscritti della sezione di Trani che dal 2006 è entrata a far parte della Comunità di Napoli. Storicamente la comunità ebraica di Napoli non è mai stata una comunità “statica” nel senso che la città diventava luogo di passaggio. Dopo la guerra molti ebrei passarono da Napoli per imbarcarsi sulle navi che li avrebbero portati altrove. A Bacoli ad esempio fu aperto un kibbutz per preparare i giovani ebrei in partenza per il Medio Oriente dove nel 1948 era nato lo stato di Israele.”
Quali sono i luoghi simbolo della comunità ebraica a Napoli?
“Come dicevamo all’inizio, la presenza di ebrei a Napoli è molto datata. Nel 1002 è attestato nei documenti un vicus judeorum sito in prossimità di Porta S. Gennaro.
In età sveva già aveva preso importanza il quartiere di Portanova, nel quale si trovava una Piazza Sinoca (Sinagoga), una Porta Judaica e che era talvolta indicato come Judaica. L’insediamento nel ‘400 comprendeva la Giudecca Grande, la Giudecca Piccola, il Vico Sinoca.
A quello di Portanova si aggiunse, poi, il quartiere denominato Giudechella di Porto, che occupava l’area del primo vicolo a sinistra di via De Pretis, andando da Piazza della Borsa a Piazza Municipio, e che è attestato anche dal toponimo di largo Mandracchio (nome che significa “scuola”). Nel 1329 si trovava, inoltre, testimoniato un Vico Scannagiudei (il cui nome richiamerebbe, secondo alcuni, un episodio di violenza perpetrato ai danni degli ebrei napoletani accusati di aver rubato una croce), posto nell’area di Forcella vicino alla via Giudecca Vecchia. La Giudecca di San Marcellino occupava pochi spazi, tra l’attuale via dei Tintori, dove gli ebrei stessi erano soliti lavorare i tessuti, e la rampa di San Marcellino, proprio su quelle scalinate che oggi portano a Corso Umberto, arteria della moderna città, e che esistevano già nello stesso luogo all’epoca, identiche, solo un po’ più strette, di cui restano chiare tracce nel sottosuolo. E’ in questa zona che ancora le cronache cinquecentesche attestano la presenza di una sinagoga, la cui esatta ubicazione è tuttora incerta[6].”
Spesso le parole antisemitismo e antisionismo vengono utilizzate come sinonimi, è corretto o esiste una differenza?
“Diciamo che l’antisemitismo che vuol dire “l’odio contro gli ebrei” è un fenomeno che dura da 2.000 anni, gli ebrei sono considerati il popolo “deicida”, ma quest’odio che non riguarda solo la chiesa cattolica ma è stratificato nel tempo.
Gli antisionisti sono le persone che sono contro lo Stato di Israele. Nel mondo arabo-musulmano è figlio dell’antisemitismo cocente in seguito agli esiti delle guerre che ci sono state, in particolare dopo la guerra dei sei giorni del 1967”
Crede che ci sia un ritorno di forme di antisemitismo? E ciò la spaventa?
“Gli atti di antisemitismo sono in aumento in molti paesi europei, in particolare in Francia ma anche in Germania. In Italia ciò avviene principalmente sul web. Questo fenomeno non va sottovalutato. Ma se abbiamo paura ha vinto l’antisemitismo, piuttosto ho paura dell’ignoranza.”
Lei è mai stata vittima di violenze o attacchi?
“Più che altro esperienze brutte, l’antisemitismo oggi è forse più legato al contesto che alle parole.”
Il Tribunale penale internazionale ha aperto un’indagine su Israele per i crimini commessi nei territori palestinesi. Benjiamin Netanyahu ha bollato questa decisione come “puro antisemitismo”. I palestinesi invece l’hanno accolta con favore. Lei cosa ne pensa? Si potrà arrivare ad una pace?
“Per quanto mi riguarda il Tribunale Penale internazionale non ha nessun valore…la pace si potrà raggiungere quando avremo dall’altra parte una struttura palestinese democratica, ci vuole ci vuole un interlocutore serio e credibile, non con i terroristi…[7]”.
Note
[1] Beniamino di Tudela è stato un geografo ed esploratore spagnolo di cultura ebraica.
[2] Il congresso di Lubiana fu un incontro delle forze della Restaurazione, avvenuto nel gennaio 1821, in seguito ai moti rivoluzionari dell’anno precedente, manifestatisi in Spagna (1º gennaio), nel regno delle Due Sicilie (1º luglio) e in Portogallo (24 agosto)
[3] Il decimo bambino per formare la classe non aveva ancora l’età richiesta per poter frequentare la scuola.
[4] Amedeo Procaccia, Iole Benedetti, Elda Procaccia, Loris e Luciana Pacifici, Sergio Oreste Molco, Milena Modigliani, Aldo e Paolo Procaccia
[5] In memoria delle nove vittime, sono state installate 9 pietre d’inciampo a Piazza Bovio.
[6] https://jewishnaplesitaly.org/it/la-storia/antiche-giudecche
[7] L’intervista è stata realizzata prima delle recenti violenze tra Israele e Palestina
Foto copertina: Interno della Sinagoga di Napoli