Un richiedente protezione internazionale colpevole di una grave violazione delle regole del centro di accoglienza presso cui si trova o di un comportamento gravemente violento non può essere sanzionato con la revoca delle condizioni materiali di accoglienza.
Questo è quanto ha recentemente stabilito la Corte di giustizia UE[1], pronunciandosi sulla portata dell’articolo 20(4) della Direttiva 2013/33 del Parlamento Europeo e del Consiglio del 26 giugno 2013[2] recante norme relative all’accoglienza dei richiedenti protezione internazionale (rifusione) e al potere degli Stati membri di adottare sanzioni nei confronti di coloro che si siano resi responsabili di “gravi violazioni delle regole del centro di accoglienza” presso cui si trovano[3].
La questione pregiudiziale è stata sollevata nel corso del procedimento Haqbin contro l’Agenzia federale belga per l’accoglienza dei richiedenti asilo (di seguito Fedasil).
Zubair Haqbin è un cittadino afgano, richiedente protezione internazionale in Belgio in qualità di minore non accompagnato, che ad aprile 2016 è stato coinvolto in una lite violenta tra residenti del centro di accoglienza di Broechem presso il quale era ospitato.
Il direttore del centro ha adottato nei confronti del minore una sanzione disciplinare, comportante l’esclusione temporanea dalle condizioni materiali di accoglienza e da tutti i servizi ad esso associati quali l’accesso a cibo e vestiti, e la cessazione dell’assistenza medica, psicologica e sociale, ad eccezione delle cure mediche di emergenza. La decisione del direttore è stata confermata dalla Fedasil. In seguito all’espulsione, il sig. Haqbin ha trascorso alcune notti in un parco a Bruxelles e successivamente è stato ospitato da amici o conoscenti.
Il tutore legale del ragazzo ha contestato le decisioni riguardanti l’esclusione, presentando dapprima una richiesta di sospensione della misura al tribunale del lavoro di Anversa. Successivamente al respingimento della richiesta per mancanza di estrema urgenza, il tutore ha proposto ricorso al Tribunale del lavoro di Bruxelles per ottenere l’annullamento delle decisioni ed il risarcimento del danno subito. A febbraio 2017, il ricorso è stato respinto per infondatezza. Il tutore del sig. Haqbin ha impugnato la sentenza dinanzi al giudice del rinvio, la Corte del lavoro di Bruxelles, sostenendo che la Fedasil fosse tenuta a concedere l’accoglienza o almeno a prevedere garanzie relative al rispetto della dignità umana durante il periodo di esclusione del minore.
Il giudice del rinvio, ritenendo che l’articolo 20 della direttiva 2013/33[4] ponga un problema di interpretazione, in particolare per quanto riguarda la natura, il regime e i limiti delle sanzioni applicabili ai richiedenti asilo, ha sospeso il procedimento e ha sottoposto tre questioni pregiudiziali[5] alla Corte di Giustizia.
La Corte del lavoro di Bruxelles ha chiesto chiarimenti circa la compatibilità tra il regime di restrizione o revoca delle condizioni materiali di accoglienza e la tutela dei diritti fondamentali dei richiedenti asilo, in particolare quando si è in presenza di soggetti altamente vulnerabili, come nel caso di specie che vede coinvolto un minore non accompagnato. Si tratta, dunque, di stabilire il giusto equilibrio tra il rispetto di sicurezza e ordine pubblico dello Stato di accoglienza ed i diritti fondamentali dei richiedenti protezione internazionale.
La Corte fornisce un’interpretazione ampia dell’articolo 20 della Direttiva, escludendo che l’elenco delle ipotesi di cui ai paragrafi 1 e 3 sia da considerarsi tassativo. In mancanza di una definizione precisa della nozione di «sanzione» all’interno della Direttiva e in assenza di precisazione circa la natura delle sanzioni che possono essere imposte ad un richiedente asilo, la Corte riconosce agli Stati un certo margine di discrezionalità nella determinazione delle sanzioni da applicare.
Allo stesso tempo, però, la Corte ha precisato che, sebbene le misure sanzionatorie di cui all’articolo 20 (4) possano, in linea di principio, riguardare le condizioni materiali di accoglienza, tali sanzioni devono rispettare rigorose condizioni sostanziali e procedurali ed essere “obiettive, imparziali, motivate e proporzionate alla particolare situazione del richiedente, e devono, in tutte le circostanze, salvaguardare un tenore di vita dignitoso” (punto 45).
La Direttiva accoglienza, infatti, mira a garantire il pieno rispetto della dignità umana[6] nonché a promuovere l’applicazione dell’articolo 1 della Carta dei diritti fondamentali[7]. Ciò comporta che il soggetto non può trovarsi in una “situazione di estrema deprivazione materiale”, tale da impedirgli di soddisfare i suoi bisogni più elementari, quali nutrirsi, lavarsi e disporre di un alloggio, pregiudicando la sua salute fisica o psichica.
L’imposizione di una sanzione consistente nella revoca, pur temporanea, delle condizioni materiali di accoglienza, oltre a violare il principio di proporzionalità, risulta dunque incompatibile con l’obbligo, derivante dall’articolo 20 (5) della direttiva di garantire al richiedente un tenore di vita dignitoso, poiché lo priverebbe della possibilità di far fronte ai suoi bisogni più elementari.
La Corte ha inoltre precisato che gli Stati membri hanno l’obbligo di garantire un tenore di vita dignitoso in modo permanente e senza interruzioni e che le autorità incaricate dell’accoglienza hanno la responsabilità di assicurare un accesso alle condizioni materiali di accoglienza che assicuri tale tenore di vita (punto 50). Le autorità competenti belghe nel caso di specie, limitandosi a fornire al minore un elenco di centri privati per i senzatetto presso i quali trovare accoglienza, non hanno assolto il proprio dovere.
Per quanto riguarda le sanzioni che consistono nella riduzione delle condizioni materiali di accoglienza, quali la revoca o la riduzione del sussidio giornaliero, la Corte ha sottolineato che le autorità competenti hanno il compito di assicurarsi in ogni circostanza che esse non violino la dignità del richiedente asilo e siano conformi al principio di proporzionalità.
Infine, qualora il richiedente sia un minore non accompagnato, e dunque una persona vulnerabile ai sensi dell’art. 21 della direttiva 2013/33, le autorità nazionali devono tenere maggiormente conto del principio di proporzionalità e soprattutto dell’interesse superiore del minore. In tal senso, la Corte richiama l’art. 24 della Carta dei diritti fondamentali (Diritti del bambino)[8] e precisa che “l’interesse superiore del minore costituisce un criterio fondamentale nell’attuazione, da parte degli Stati membri, delle disposizioni della menzionata direttiva concernenti i minori. Gli Stati membri devono tenere debito conto, in particolare, di fattori quali il benessere e lo sviluppo sociale del minore, con particolare riguardo ai trascorsi del minore stesso, nonché di considerazioni in ordine alla sua incolumità e sicurezza” (punto 54). Nel caso di specie, dunque, il coinvolgimento di un minore ha ridotto ulteriormente il margine di discrezionalità dello Stato nella determinazione delle sanzioni da applicare.
La Corte aggiunge che le disposizioni della direttiva “non ostano a che le autorità di uno Stato membro decidano di affidare il minore interessato ai servizi o alle autorità giudiziarie preposte alla tutela dei minori” (punto 55).
In conclusione, la sentenza Haqbin circoscrive i casi in cui gli Stati membri, nell’applicare una sanzione ai sensi della direttiva 2013/33, possono procedere alla revoca delle condizioni materiali di accoglienza. La Corte, pur confermando il potere di revoca degli Stati, ha ridotto notevolmente il margine di discrezionalità di questi ultimi, ponendo come limite la tutela dei diritti fondamentali dei soggetti interessati e il rispetto della loro dignità umana.
Con questa pronuncia, la Corte ha cercato di stabilire un equilibrio tra l’esigenza dello Stato di assicurare sicurezza interna ed ordine pubblico e la necessità di garantire i diritti fondamentali dei richiedenti protezione internazionale.
Note
[1] Corte di giustizia dell’Unione europea, Grande Sezione, Sentenza C-233/18, 12 novembre 2019 http://curia.europa.eu/juris/document/document.jsf;jsessionid=7B69BC27B4F0E262C2997468945D1B70?text=&docid=220532&pageIndex=0&doclang=it&mode=lst&dir=&occ=first&part=1&cid=454654
[2] https://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/HTML/?uri=CELEX:32013L0033&from=IT
[3] La Corte di giustizia dell’Unione europea interpreta il diritto dell’UE per garantire che sia applicato allo stesso modo in tutti gli Stati membri. Il rinvio pregiudiziale consente ai giudizi nazionali di chiedere chiarimenti alla Corte nel caso in cui vi siano dubbi circa l’interpretazione o la validità di una normativa dell’UE ovvero per stabilire se una normativa o prassi nazionale sia compatibile con il diritto dell’UE. É bene sottolineare che la Corte non risolve la controversia nazionale; sará il giudice nazionale a risolvere la causa in conformitá alla decisione della Corte. La decisione decisione della Corte non vincola solo anche altri giudici nazionali ai quali venga sottoposto un problema simile.
[4] Si riporta per intero l’articolo 20 della direttiva 2013/33:
«1. Gli Stati membri possono ridurre o, in casi eccezionali debitamente motivati, revocare le condizioni materiali di accoglienza qualora il richiedente:
- a) lasci il luogo di residenza determinato dall’autorità competente senza informare tali autorità, oppure, ove richiesto, senza permesso; o
- b) contravvenga all’obbligo di presentarsi alle autorità o alla richiesta di fornire informazioni o di comparire per un colloquio personale concernente la procedura d’asilo durante un periodo di tempo ragionevole stabilito dal diritto nazionale; o
- c) abbia presentato una domanda reiterata quale definita all’articolo 2, lettera q), della direttiva 2013/32/UE [del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 giugno 2013, recante procedure comuni ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di protezione internazionale (GU 2013, L 180, pag. 60)].
In relazione ai casi di cui alle lettere a) e b), se il richiedente viene rintracciato o si presenta volontariamente all’autorità competente, viene adottata una decisione debitamente motivata, basata sulle ragioni della scomparsa, nel ripristino della concessione di tutte le condizioni materiali di accoglienza revocate o ridotte o di una parte di esse.
- Gli Stati membri possono inoltre ridurre le condizioni materiali di accoglienza quando possono accertare che il richiedente, senza un giustificato motivo, non ha presentato la domanda di protezione internazionale non appena ciò era ragionevolmente fattibile dopo il suo arrivo in tale Stato membro.
- Gli Stati membri possono ridurre o revocare le condizioni materiali di accoglienza qualora un richiedente abbia occultato risorse finanziarie, beneficiando in tal modo indebitamente delle condizioni materiali di accoglienza.
- Gli Stati membri possono prevedere sanzioni applicabili alle gravi violazioni delle regole dei centri di accoglienza nonché ai comportamenti gravemente violenti.
- Le decisioni di ridurre o revocare le condizioni materiali di accoglienza o le sanzioni di cui ai paragrafi 1, 2, 3 e 4 del presente articolo, sono adottate in modo individuale, obiettivo e imparziale e sono motivate. Le decisioni sono basate sulla particolare situazione della persona interessata, specialmente per quanto concerne le persone contemplate all’articolo 21, tenendo conto del principio di proporzionalità. Gli Stati membri assicurano in qualsiasi circostanza l’accesso all’assistenza sanitaria ai sensi dell’articolo 19 e garantiscono un tenore di vita dignitoso per tutti i richiedenti.
- Gli Stati membri provvedono a che le condizioni materiali di accoglienza non siano revocate o ridotte prima che sia adottata una decisione ai sensi del paragrafo 5».
[5] «1) Se l’articolo 20, paragrafi da 1 a 3, della direttiva [2013/33] debba essere interpretato nel senso che esso stabilisce in modo tassativo i casi nei quali le condizioni materiali di accoglienza possono essere ridotte o revocate, o se dall’articolo 20, paragrafi 4 e 5, [di tale direttiva] discenda che la revoca del diritto alle condizioni materiali di accoglienza può avere luogo anche a titolo di sanzione applicabile alle gravi violazioni delle regole dei centri di accoglienza nonché ai comportamenti gravemente violenti.
2) Se l’articolo 20, paragrafi 5 e 6, [di tale direttiva], debba essere interpretato nel senso che, prima di adottare una decisione relativa alla riduzione o alla revoca delle condizioni materiali di accoglienza o a sanzioni, gli Stati membri devono adottare le misure necessarie che garantiscono il diritto a un tenore di vita dignitoso durante il periodo di esclusione, o se tali disposizioni possano essere rispettate mediante un sistema in cui, dopo la decisione di riduzione o di revoca della condizione materiale di accoglienza, si verifica se la persona che forma l’oggetto della decisione goda di un tenore di vita dignitoso ed eventualmente si adottano in quel momento misure correttive.
3) Se l’articolo 20, paragrafi 4, 5 e 6, [della direttiva 2013/33], in combinato disposto con [i suoi] articoli 14 e da 21 a 24 (…) e con gli articoli da 1, 3, 4 e 24 della [Carta], debba essere interpretato nel senso che una misura o sanzione di esclusione provvisoria (o definitiva) dal diritto a condizioni materiali di accoglienza è possibile, o non è possibile, nei confronti di un minore, segnatamente nei confronti di un minore non accompagnato».
[6] Considerando 35 della Direttiva: “La presente direttiva rispetta i diritti fondamentali e osserva i principi riconosciuti segnatamente dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea. In particolare, la presente direttiva intende assicurare il pieno rispetto della dignità umana nonché promuovere l’applicazione degli articoli 1, 4, 6, 7, 18, 21, 24 e 47 della Carta e deve essere attuata di conseguenza”.
[7] Articolo 1: “La dignità umana è inviolabile. Essa deve essere rispettata e tutelata”. (https://www.europarl.europa.eu/charter/pdf/text_it.pdf)
[8] Articolo 24: Diritti del bambino
- I bambini hanno diritto alla protezione e alle cure necessarie per il loro benessere. Essi possono esprimere liberamente la propria opinione; questa viene presa in considerazione sulle questioni che li riguardano in funzione della loro età e della loro maturità.
- In tutti gli atti relativi ai bambini, siano essi compiuti da autorità pubbliche o da istituzioni private, l’interesse superiore del bambino deve essere considerato preminente.
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