Nota a Sentenza Cass. pen., sez. II, ud. 23 novembre 2021 (dep. 21 dicembre 2021), n. 46753.
Analisi
La Cassazione Penale sezione II con la sentenza n. 46753 depositata il 21 dicembre 2021 conferma la condanna nei confronti dell’ex amante del sacerdote per aver commesso il delitto di estorsione a sfondo sessuale.
Il caso
Il ricorrente è stato condannato sia in primo grado che in secondo per il delitto di estorsione alla pena di anni 4 di reclusione e duemila euro di multa. Nonostante la relazione tra i due fosse conclusa, l’amante del sacerdote aveva continuato a chiedere soldi al parroco minacciandolo di divulgare la relazione tra i due.
Il difensore dell’amante ha proposto ricorso per Cassazione lamentando, quale unico motivo, l’assenza di adeguata motivazione in ordine alla credibilità della persona offesa, costituita parte civile.
Le motivazioni della Cassazione
La seconda sezione penale della Corte di Cassazione ha ritenuto il ricorso inammissibile ritenendo manifestamente infondato l’unico motivo di ricorso proposto dalla difesa.
Per la Corte le richieste di denaro avanzate dall’imputato al ministro di culto erano continue, incessanti e assillanti manifestatasi nella messaggistica intercorsa tra l’imputato e la vittima, sottoposta ad un vero e proprio assedio continuo durante le ore diurne che notturne al fine di conseguire denaro, quantificate in somme sino a 10.000,00/11.000,00 Euro, che sono state ritenute dai giudici di merito esulare dalla nozione di “prestito” ovvero di “erogazioni” liberali rimesse alla benevolenza del sacerdote. In concreto, il sacerdote ha più volte provato a giustificarsi, resistendo a tali richieste estorsive manifestando una resistenza secondo cui egli non avesse quella ingente disponibilità economica, provocando nello stato del parroco uno “sfinimento” aggravata anche dalla possibile ipotesi di divulgazione all’esterno del rapporto tra gli amanti. La Cassazione dal canto suo, ha ritenuto che l’attendibilità della persona offesa costituita in giudizio, trovasse riscontro non soltanto dalla messaggistica telefonica ma anche dall’avvenuta consegna, verificata in un’occasione dagli agenti operanti, da parte della persona offesa, della complessiva somma di euro 500 in banconote contrassegnate.
Questa circostanza ha poi portato all’arresto dell’imputato e la conseguente perquisizione effettuata presso l’abitazione del sacerdote che ha poi permesso di rinvenire all’interno dell’abitazione stessa, tracce di ingenti trasferimenti di denaro compiuti dal ministro di culto, avvenuti tramite assegni e versamenti postali, nell’ordine di alcune decine di migliaia di euro. Sulla base di tali motivazioni la Corte ha confermato la condanna.
Articolo 629 Codice Penale: Estorsione
“Chiunque, mediante violenza o minaccia, costringendo taluno a fare o ad omettere qualche cosa, procura a sé o ad altri un ingiusto profitto con altrui danno, è punito con la reclusione da cinque a dieci anni e con la multa da euro 1.000 a euro 4.000.
La pena è della reclusione da sette a venti anni e della multa da euro 5.000 a euro 15.000, se concorre taluna delle circostanze indicate nell’ultimo capoverso dell’articolo precedente.”
È previsto e punito all’interno del codice penale, inserito nel Libro secondo Dei delitti in particolare, all’interno del Titolo XIII: Dei delitti contro il patrimonio all’interno del Capo I: Dei delitti contro il patrimonio mediante violenza alle cose o alle persone
La violenza o la minaccia devono essere dirette a coartare la volontà della vittima affinché questa compia un atto di disposizione patrimoniale. La minaccia può avverarsi non solo attraverso un comportamento commissivo, diretto e non equivoco, ma manifestarsi anche in un comportamento omissivo come ad esempio nell’ipotesi di cui sopra, ovvero il rifiuto di elargire le somme di denaro affinché una relazione non idonea ai costumi religiosi venga diffusa.
La costrizione può quindi avere ad oggetto anche il compimento di un atto di disposizione patrimoniale positivo come ad esempio la donazione (o carità ecclesiale da parte del parroco) di una somma di danaro, spinto dall’animo caritatevole di aiutare il prossimo.
L’estorsione è quel tipico delitto di cooperazione con la vittima, la cui attività è indispensabile per l’integrazione della fattispecie medesima. Apparentemente è molto simile al delitto di truffa ex art. 640 c.p., dove l’evento finale della disposizione patrimoniale lesiva del bene tutelato proviene dalla vittima, frutto di costrizione determinata anch’essa da violenza o minaccia. Al tempo stesso, il codice penale vigente, ha inteso l’estorsione come una forma estrema della violenza privata qualificata dall’estremo del trarne profitto con l’altrui danno.
L’estorsione criminologica, è soggetta ad una “summa divisio”, ovvero tra estorsioni che servono a comprare il silenzio, dove l’autore mira a conseguire un profitto patrimoniale illecito dalla conoscenza di fatti illeciti (anche quelli ritenuti moralmente illeciti) commessi dalla vittima (ed è proprio questa quella del reato de quo che viene contestata all’amante del prete oggetto di sentenza di cui sopra, quale conseguenza della conoscenza del comportamento ritenuto moralmente illecito, come il comportamento contrario ai canoni sacerdotali a cui il parroco ha promesso di rimanere celibe), minacciando di portare alla luce del sole la conoscenza dei fatti medesimi. Altra previsione sono le estorsioni “proprie” ovvero rientrando in quella categoria che si autogiustificano, ovvero costituite dalla forma classica di criminalità violenta.
Conferma logistica dell’estorsione ed esclusione del concorso apparente di norme.
La previsione normativa codificata del delitto di cui ex art. 629 c.p. trova il proprio fondamento non solo nella necessità di tutelare il patrimonio individuale, ma anche la libertà di autodeterminazione del singolo individuo.
Si tratta di un reato comune, ovvero un reato che può essere commesso da chiunque, non è necessario il rivestimento di una particolare qualificazione giuridica in capo al soggetto agente.
Nel caso di specie, non è importante che ad aver commesso il reato estorsivo possa essere l’ex amante, difatti, essendo un reato comune, questo potrebbe essere commesso da chiunque. Rimane difatti ferma e confermata dalla sentenza degli ermellini, la condotta incriminata, ovvero quella di chi, con violenza o minaccia, costringa taluno a fare od omettere qualcosa, procurando a sé o ad altri un ingiusto profitto ed arrecando un danno al soggetto passivo.
Ne è un’ulteriore conferma la minaccia, intesa quale prospettazione di un male ingiusto e notevole, proveniente dal soggetto minacciante e che può essere attuata esplicitamente ed anche implicitamente, purché in maniera idonea a coartare la volontà del soggetto passivo. La minaccia deve essere concretamente idonea a ledere la libertà di autodeterminazione della vittima, non essendo, per contro, necessario, che si determini una sua effettiva intimidazione.
Benchè la qualificazione del soggetto passivo sia quella di appartenere alla religione cattolica, ricoprendo il ruolo di ministro di culto, è soltanto un aggravio che colpisce il soggetto passivo dell’aspetto morale e religioso. La sua posizione giuridica non intacca con quella religiosa, essendo importante ai fini del riconoscimento di persona danneggiata, quella di vittima dell’azione estorsiva compiuta dal reo.
Differenza con altri reati ed elementi tipici dell’estorsione.
Non si evidenzia neppure una possibile incidenza o configurazione del reato di truffa poiché quest’ultima di afferma se la minaccia (mascherata da inganno) prospettata come proveniente da soggetti terzi non aventi rapporti con il colpevole o per via di eventi naturali sarà configurabile la truffa. Difatti, nella sentenza di cui sopra, non è proprio contemplata una possibile ipotesi di concorso apparente di norme poiché non sussiste minimamente la possibile incognita su quale reato meglio corrisponde alla fattispecie concreta. Trova conferma il fatto che la minaccia può anche consistere nella prospettazione di un comportamento omissivo se sul soggetto minacciante gravi un obbligo giuridico di impedire un evento. Si tratta, dunque, di un reato caratterizzato dalla cooperazione della vittima, la quale viene carpita dall’agente attraverso la violenza o la minaccia.
Appare allora evidente che la decisione degli ermellini sia chiara e di chiusura palesata attraverso il rigetto del ricorso proposto dalla difesa dell’imputato, chiarendo ancora una volta gli elementi estorsivi ex art. 629 c.p.
La sentenza in calce.
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Cass. pen., sez. II, ud. 23 novembre 2021 (dep. 21 dicembre 2021), n. 46753
Presidente Gallo – Relatore Pellegrino
Ritenuto in fatto
1. Con sentenza in data 25/02/2020, la Corte di appello di Milano confermava la pronuncia di primo grado resa dal Tribunale di Pavia in data 11/07/2017 che aveva condannato E.D.A. alla pena di anni quattro di reclusione ed Euro 2.000,00 di multa per i reati di estorsione continuata aggravata (capo A) ed estorsione (capo B) commessi ai danni del sacerdote, don M.F.C. .
2. Avverso detta sentenza, nell’interesse di E.D.A. , viene proposto ricorso per cassazione, per lamentare, quale motivo unico, assenza di adeguata motivazione in ordine alla credibilità della persona offesa, costituita parte civile, unica fonte di prova, di cui non era stata verificata l’attendibilità intrinseca ed estrinseca. La difesa ha ritenuto che il tenore dei messaggi intercorsi tra l’E.D. ed il C. si contraddistinguerebbero per i toni garbati e mai minatori utilizzati dal primo nei confronti del secondo, cui erano rivolte richieste di denaro in un’ottica di radicata e risalente consuetudine della persona offesa di aiutare economicamente l’imputato, anche dopo la fine della loro relazione sentimentale: secondo tale impostazione, l’iniziativa del C. di presentare denuncia doveva considerarsi una reazione per lo più di natura opportunistica nell’ambito del procedimento che veniva instaurato nei suoi confronti per il reato di cui all’art. 609 undecies c.p..
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Considerato in diritto
1. Il ricorso è inammissibile.
2. Il motivo di ricorso è aspecifico e, comunque, manifestamente infondato perché tendente ad ottenere una rivalutazione della regiudicanda, senza un reale ed effettivo confronto con la sentenza impugnata che, rispondendo al relativo motivo di appello, peraltro non particolarmente specifico, ha evidenziato come le pretese incongruenze della testimonianza della persona offesa, a ragione della sua delicata posizione di ministro di culto che gli avrebbe impedito di intrattenere relazioni sentimentali e della sua conseguente condizione di soggetto facilmente ricattabile, andassero ridimensionate al cospetto degli elementi aliunde rinvenibili, che avevano confermato come le richieste di denaro avanzate dall’imputato al prelato fossero continue, incessanti e perfino assillanti.
2.1. Tali richieste, infatti, si ritrovavano puntualmente nella fitta messaggistica intercorsa tra l’imputato e la vittima, sottoposta ad un vero e proprio “assedio”, sia di giorno che di notte, posto in essere dall’imputato al fine di conseguire denaro, consistito in somme sino a 10.000,00/11.000,00 Euro, che sono state ritenute esulare dalla nozione di “prestito” ovvero di “erogazioni” liberali rimesse alla benevolenza del sacerdote.
In particolare, in numerosi messaggi si legge che il sacerdote, in diverse occasioni, cercava di resistere alle pressanti pretese adducendo l’impossibilità di disporre di tali somme, finendo da ultimo per cedere per una sorta di “sfinimento” ed anche per le ricorrenti allusioni dell’E.D. ai loro rapporti e all’interesse del prelato che non ne venisse data divulgazione (cfr., Sez. 2, n. 25122 del 14/05/2021, S., Rv. 281549, in fattispecie di estorsione sessuale assimilabile, arrestatasi alla fase tentativo, in cui l’agente, pur avendo acquisito lecitamente immagine fotografiche ritraenti parti intime di una donna, aveva richiesto a quest’ultima una somma di denaro o, in alternativa, prestazioni sessuali in cambio della consegna o comunque della cancellazione delle foto, minacciando, in caso contrario, di diffonderle ai familiari della donna).
2.2. I riscontri alle dichiarazioni accusatorie del C. provengono non solo dalla messaggistica telefonica ma anche dall’avvenuta consegna, verificata in un’occasione dagli agenti operanti, da parte della persona offesa all’E.D. , della complessiva somma di Euro 500 in banconote contrassegnate, circostanza che portò all’arresto dell’imputato nonché dagli esiti della successiva perquisizione effettuata presso l’abitazione del sacerdote ove furono trovate le tracce di ingenti trasferimenti di denaro compiuti dallo stesso a favore dell’E.D. , tramite assegni e versamenti postali, nell’ordine di alcune decine di migliaia di Euro.
2.3. L’impostazione della Corte distrettuale – che ha vagliato l’attendibilità intrinseca della persona offesa, raffrontando il narrato con i succitati elementi esterni di prova – pare rispettosa della giurisprudenza di questa Corte (Sez. U, n. 41461 del 19/07/2012, Bell’Arte, Rv. 253214) secondo cui le dichiarazioni della parte offesa possono essere legittimamente poste da sole a base dell’affermazione di penale responsabilità dell’imputato, previa verifica, corredata da idonea motivazione, della loro credibilità soggettiva e dell’attendibilità intrinseca del racconto, con un vaglio dell’attendibilità del dichiarante più penetrante e rigoroso rispetto a quello generico cui vengono sottoposte le dichiarazioni di qualsiasi testimone, di talché tale deposizione può essere assunta da sola come fonte di prova unicamente se venga sottoposta a detto riscontro di credibilità oggettiva e soggettiva.
2.4. Tuttavia – ed è proprio quello che la Corte di merito ha puntualmente eseguito – può essere opportuno procedere al riscontro di tali dichiarazioni con altri elementi qualora la persona offesa si sia anche costituita parte civile e sia, perciò, portatrice di una specifica pretesa economica la cui soddisfazione discenda dal riconoscimento della responsabilità dell’imputato (cfr., ex multis, Sez. 5, n. 12920 del 13/02/2020, Ciotti, Rv. 279070; Sez. 1, n. 29372 del 24/06/2010, Stefanini, Rv. 248016; Sez. 6, n. 33162 del 03/06/2004, Patella, Rv. 229755).
2.5. Ciò posto, ogni ulteriore vaglio critico circa il giudizio di attendibilità della deposizione della persona offesa è precluso a questa Suprema Corte in ossequio al principio incontroverso nella giurisprudenza di legittimità secondo cui la valutazione della credibilità della persona offesa dal reato rappresenta una questione di fatto che ha una propria chiave di lettura nel compendio motivazionale fornito dal giudice e non può essere rivalutata in sede di legittimità, salvo che il giudice non sia incorso in manifeste contraddizioni, che non si ravvisano nel caso di specie (in termini, cfr., Sez. 6, n. 27322 del 2008, De Ritis, cit.; Sez. 3, n. 8382 del 22/01/2008, Finazzo, Rv. 239342; Sez. 6, n. 443 del 04/11/2004, dep. 2005, Zamberlan, Rv. 230899; Sez. 3, n. 3348 del 13/11/2003, dep. 2004, Pacca, Rv. 227493; Sez. 3, n. 22848 del 27/03/2003, Assenza, Rv. 225232).
3. Alla pronuncia consegue, per il disposto dell’art. 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali nonché al versamento, in favore della Cassa delle ammende, di una somma che, considerati i profili di colpa emergenti dal ricorso, si determina equitativamente in Euro tremila.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle Ammende.
Foto copertina: Immagine web