Lo scandalo dei diamanti da investimento. Aumentano le sentenze a favore dei clienti truffati


Lo scandalo dei diamanti da investimento ha riguardato numerose banche, tra cui Unicredit, Intesa San Paolo, MPS e BBPM, come si evince dal comunicato stampa dell’Agcm[1] (Autorità garante della concorrenza e del mercato, detta anche “Antitrust”). Aumentano le sentenze a favore dei clienti truffati


 

In particolare, tra il 2011 ed il 2016, alcuni istituti di credito hanno procacciato clienti alle società Diamond Private Investment e Intermarket Diamond Business – IDB per la vendita dei cosiddetti “diamanti da investimento”: i responsabili delle filiali suggerivano questa scelta ai propri clienti, affermando che si trattava di un investimento sicuro in un “bene rifugio”, di una scelta opportuna per la diversificazione del portafoglio, proiettata alla rivalutazione nel tempo del prodotto acquistato.
La banca aveva il compito di fissare l’incontro nella filiale tra l’incaricato della società venditrice ed il cliente. La società venditrice sottoponeva al cliente il contratto di compravendita, anticipato e corredato da informazioni pubblicitarie false o quantomeno fuorvianti, tra le quali:

  • Il prezzo di vendita dei diamanti (autonomamente fissato dal professionista e comprendente costi e margini di importo complessivamente pari a due o tre volte il valore della pietra) che era presentato come “quotazione di mercato” e pubblicato a pagamento su giornali economici;
  • L’aspettativa di apprezzamento del valore futuro dei diamanti, attraverso grafici costruiti sull’andamento dei prezzi di vendita presentati come “quotazioni”, valori messi a confronto con indici ufficiali e quotazioni di titoli stabiliti in mercati regolamentati;
  • La prospettazione della facile rivendibilità del diamante, anche se l’unico canale di rivendita attraverso il quale avrebbero potuto ottenere la liquidazione del valore del diamante era rappresentato dagli stessi venditori;
  • La qualifica di “leader di mercato da parte dei venditori”, impiegata senza ulteriori precisazioni, al fine di conferire un maggiore affidamento e credibilità alla propria offerta.

La vendita, nelle modalità descritte, è stata ritenuta una pratica commerciale scorretta dall’Agcm che ha emesso, a tal proposito, due provvedimenti[2].
Secondo l’Agcm, la scorrettezza della pratica commerciale è stata ravvisata tanto nel comportamento delle società venditrici, quanto nel comportamento tenuto dalle Banche che, facendo leva sulla fiducia dei clienti attraverso la vendita nelle proprie filiali, hanno ricavato milioni di euro di commissioni.
La conferma dell’illeceità della condotta degli istituiti di credito è arrivata, in un secondo momento, anche da parte del TAR del Lazio che, con cinque sentenze pubblicate il 14 novembre 2018[3], ha confermato le sanzioni irrogate dall’Agcm nei confronti di banche e società venditrici, data la “prospettazione omissiva e ingannevole” circa le quotazioni crescenti del mercato, la facile liquidità e rivendibilità dei diamanti e la qualifica di leader di mercato delle società venditrici. Il TAR Lazio ha, inoltre, chiarito che i funzionari degli istituti di credito hanno avuto un ruolo centrale nella vendita dei diamanti giacché – in mancanza del loro contributo – non sarebbe stato altrettanto facile ingenerare nei clienti un “convincimento” tale da spingerli ad aderire all’affare.
Oggi è difficile rivendere le pietre, atteso che risultano avere un valore del 60-70% inferiore rispetto a quello di acquisto. La situazione si è poi complicata a seguito del fallimento, nel febbraio 2019, di una delle due società venditrici, cosa che si è riflessa in modo negativo sulla prospettiva di ottenere un rimborso dell’investimento. Grazie, però, al riconoscimento della responsabilità anche in capo agli istituti di credito, il cliente truffato, può ottenere un risarcimento dalle banche che hanno curato, in qualità di intermediari, la vendita dei diamanti.
Si registrano già diverse pronunce a favore dei consumatori che hanno investito in diamanti. Tra le tante, si segnalano quella del Tribunale di Verona del 23 maggio 2019[4], che ha condannato la Banca a risarcire il consumatore dell’importo pari alla differenza tra il valore dei diamanti ed il prezzo pagato, e quella del Tribunale di Modena che, il 10 marzo 2020[5], ha condannando la Banca a pagare quanto versato dai clienti, detratto il valore dei diamanti, oltre interessi e rivalutazione monetaria dal tempo dall’acquisto. Secondo la citata Giurisprudenza, il fondamento normativo della responsabilità riconosciuta in capo alla Banca è l’art. 1173 c.c., in applicazione del quale gravavano sulla Banca obblighi di informazione e protezione nei confronti del cliente/consumatore.
Dello stesso avviso sembra essere anche il Tribunale di Lucca, che il 22 novembre 2019[6] ha condannato l’Istituto di credito chiamato in giudizio a risarcire al cliente la differenza tra il prezzo pagato per l’acquisto del diamante ed il suo valore effettivo,  poiché “la banca svolgeva esattamente il medesimo ruolo svolto in relazione a qualunque altra forma di investimento, vale a dire quello di termine di riferimento del cliente, al fine di orientare le scelte di quest’ultimo  […] non v’è dunque dubbio che […] sussista, in capo alla banca, un profilo di inadempimento al proprio obbligo di fornire al cliente un’informazione corretta e completa in merito all’investimento proposto” e, con la più recente sentenza del 4 settembre 2020[7], ha condannato la Banca al risarcimento in favore del cliente “parendo davvero probabile che parte del prezzo fosse destinato a coprire le spese della società attinenti alla remunerazione della banca”.

Come si ottiene il risarcimento?

A spiegarlo sono gli Avvocati dello Studio Legale Ferraro che si occupano di diritto bancario, secondo cui: «In primo luogo, bisogna agire attraverso una procedura di mediazione, chiedendo direttamente alla banca un rimborso parametrato all’esborso iniziale e, qualora la banca si sottragga alla proposta di confronto, sarà necessario ricorrere all’autorità giudiziaria competente. Sono stati già avviati dallo Studio Legale Ferraro numerosi confronti con le banche e cause civili contro le banche diretti ad ottenere il risarcimento del danno. Si auspica, per il futuro, che le banche tendano a preferire una soluzione transattiva delle controversie in essere e procedere in tempi brevi al rimborso del danno subito dal cliente, anziché resistere in un defatigante giudizio».


Note

[1] https://www.agcm.it/media/comunicati-stampa/2017/10/alias-8980

[2] Agcm PS10677 e PS10678 del 20 settembre 2017

[3] Tar Lazio, sentenze n. 10965 – 10966 – 10967 – 10968 – 10969 del 14 novembre 2018

[4] Tribunale di Verona, ordinanza del 23 maggio 2019

[5] Tribunale di Modena, sentenza n. 352 del 10 marzo 2020

[6] Tribunale di Lucca, sentenza n. 1674 del 22 novembre 2019

[7] Tribunale di Lucca, sentenza n. 750 del 4 settembre 2020


Foto copertina: Immagine web.

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