Con la nascita di internet e l’affermarsi negli ultimi anni del Web 2.0[1], la pubblica amministrazione italiana si è trovata di fronte alla necessità di introdurre l’utilizzo delle tecnologie digitali sia per mettere in pratica i principi dell’efficacia, dell’efficienza e dell’economicità introdotti in ambito comunitario e recepiti dal legislatore nazionale, e sia al fine di rispondere adeguatamente ai cambiamenti della domanda di amministrazione proveniente dalla società civile. Tale processo si inserisce in un trend internazionale in cui l’Italia è solo uno dei possibili casi di studio: Inps e scuola pubblica.
Le cause del processo di digitalizzazione
La digitalizzazione del settore pubblico rappresenta uno degli effetti del più generale processo di diffusione delle tecnologie digitali in tutti i settori della vita umana, pubblica e privata.
Le principali ragioni del fenomeno si possono ricercare in due macro-aree tematiche: esigenze di tipo istituzionale e fattori di carattere sociale. Il primo di questi aspetti si spiega con l’introduzione nell’analisi del settore pubblico di principi come l’efficienza, l’efficacia e l’economicità, i quali hanno risvolti istituzionali sia sul piano economico-finanziario che su quello politico.
Il discorso inizia necessariamente con la fine di quello che è stato definito lo Stato Fordista a matrice Keynesiana tipico del periodo storico della Golden Age (1950-1970)[2], in cui sembrava si fosse trovata la “quadratura del cerchio”[3] tra fattori sociali, economici e politici.
Tuttavia, la caduta del muro di Berlino e il diffondersi del modello capitalistico e dell’ideologia neoliberista, hanno provocato una ricalibrazione del sistema amministrativo e dell’intervento pubblico trasformando lo stato da interventista a “regolatore”; in questo contesto storico, e con il diffondersi delle teorie aziendaliste dell’analisi del settore pubblico come il New Public Management, in ambito comunitario si affermarono i principi dell’efficacia, dell’efficienza e dell’economicità dell’azione pubblica i quali vennero recepiti dal legislatore nazionale a partire dalla legge n. 241/1990 relativa al procedimento amministrativo[4].
Nella strategia del decisore politico, per migliorare la performance della p.a. e contenere i suoi costi in un’ottica di vincoli di bilancio, l’utilizzo della tecnologia digitale rappresentava la via maestra per raggiungere tale obiettivo. Sul piano istituzionale dunque si faceva largo l’esigenza di ammodernare la burocrazia sia per ragioni economico-finanziare, essendo evidente che aumentare la velocità e l’accuratezza dell’azione pubblica riducendone al contempo i costi rendeva più competitivo il sistema paese, e sia per ragioni prettamente politiche.
Infatti una burocrazia efficace ed efficiente significava una p.a. capace di trasformare in realtà le politiche pubbliche che le forze politiche promettevano agli elettori in campagna elettorale. Appare evidente, quindi come l’utilizzo della tecnologia permettesse di eliminare quel pantano burocratico in cui spesso si bloccavano i buoni propositi del policy maker.
Se si riconoscono spinte istituzionali alla digitalizzazione burocratica un’ulteriore spinta in tal senso si può ricercare nelle direttive di cambiamento provenienti dalla società. L’affermarsi del web 2.0. e dei social network stanno imponendo un cambiamento nel DNA dell’aggregato sociale, trasformando la società di massa novecentesca in una “Platform society” [5].
Le piattaforme digitali, attualmente, si trovano a fare da infrastruttura tecnologica nella realizzazione della stragrande maggioranza delle relazioni sociali ed economiche, ed in tutti i settori della vita umana. In questo modo le Corporation private[6] dotate del controllo delle piattaforme digitali, risultano titolari di un implicito potere di influenza.
Il prepotente ingresso nella vita privata dei cittadini della tecnologia digitale, ne ha modificato il modo di interagire tra loro e soprattutto il modo di approcciare con i corpi intermedi, tipici della precedente società di massa. Questo cambiamento spinge i cittadini-utenti della platform society a richiedere elevati livelli di partecipazione interattiva, velocità e trasparenza anche agli uffici pubblici titolari del delicato compito di produrre i beni e servizi a diretto impatto sui diritti.
In questo senso risulta evidente che cambia la domanda di amministrazione proveniente dalla società civile e ciò impone alle amministrazioni pubbliche di raccogliere la sfida digitale provando a proporre una risposta amministrativa capace di soddisfare le esigenze del cittadino-utente, la quale passa dall’implementazione digitale della stessa.
Il caso Italiano
L’Italia nonostante la presenza di una certa attività legislativa in materia di pubblica amministrazione digitale, testimoniata sia dalla creazione di apposite agenzie pubbliche deputate alla diffusione delle tecnologie informatiche nell’amministrazione[7], e sia dalla presenza a partire dal decreto legislativo n. 82 del 2005 del cosiddetto “Codice dell’amministrazione digitale”[8], paga un cronico ritardo in materia. Le amministrazioni pubbliche italiane, infatti, presentano spesso una struttura digitale obsoleta ed inadeguata ai tempi, in cui è evidente la mancanza di un organico piano di digitalizzazione dell’azione amministrativa, che al contempo garantisca l’effettiva ed efficace realizzazione dei servizi, e la tutela della privacy in materia di dati sensibili.
Le criticità principali del processo di digitalizzazione in Italia sembrano essere: l’inadeguatezza dei server utilizzati, la carenza in termini sia di mezzi che di competenze nel pubblico impiego in materia di tecnologia digitale e la fragilità dei sistemi di sicurezza a tutela dei dati raccolti.
Tali aspetti causano due problemi principali: da un lato condannano il paese ad una perdita di competitività internazionale per quanto riguarda l’attrattività degli investimenti esteri; dall’altro causa un evidente problema politico, in ragione del ruolo svolto dalla p.a. di braccio esecutivo nella realizzazione delle public policy, dando agio su questo fronte ad una martellante retorica populista che punta a screditare i principali corpi intermedi tipici del sistema democratico rappresentativo (partiti e pubblica amministrazione).
In questo problematico contesto si inserisce l’attuale situazione di emergenza sanitaria che ha messo ulteriormente in evidenza i limiti delle infrastrutture digitali a disposizione della pubblica amministrazione italiana, mettendo in seria discussione la realizzazione di alcuni servizi necessari ad assicurare veri e propri diritti fondanti l’ordinamento costituzionale.
Sul tema sembrano calzanti gli esempi di due differenti amministrazioni italiane, le quali entrambe si sono fatte trovare impreparate alle esigenze di azione richieste dall’emergenza, proprio per quanto riguarda la presenza in ambiente digitale.
Il primo caso a cui accennare, e forse anche quello che ha avuto maggiore interesse mediatico, risulta essere quello relativo all’azione amministrativa dell’Istituto Nazionale di Previdenza Sociale (INPS); tale amministrazione si è trovata di fronte alla necessità di rispondere ad una enorme mole di domande di azione, concentrata in un breve lasso di tempo e pressoché generalizzata sull’intero territorio nazionale.
A questa sollecitazione straordinaria l’INPS ha cercato di far fronte potenziando il canale telematico di acquisizione delle domanda e di erogazione dei benefici, al fine di garantire la fruizione degli ammortizzatori sociali ed economici previsti dal policy maker per fronteggiare l’impatto economico ed occupazionale dell’emergenza sanitaria.
Tuttavia, nonostante gli sforzi fatti, l’amministrazione ha pagato evidenti limiti strutturali che non le hanno consentito di proporre un’adeguata risposta amministrativa alla domanda proveniente dalla società civile; ciò ha avuto pesanti ricadute sulla tutela dei diritti dei cittadini, imponendo una necessaria riflessione volta a ripensare le fondamenta stesse della presenza digitale dell’istituto.
Altro fronte caldo da prendere in considerazione potrebbe essere l’azione posta in campo della scuola pubblica, al fine di assicurare il prosieguo delle lezioni a distanza in seguito alla chiusura delle strutture scolastiche. Tale aspetto risulta essere una delle questioni più delicate e complesse su cui si è dovuta riorganizzare l’azione pubblica.
Infatti il sistema dell’istruzione italiano presenta una scarsa integrazione digitale, e questo ritardo ha messo in seria difficoltà l’effettiva realizzazione del diritto allo studio.
I temi principali che la scuola pubblica ha dovuto affrontare, sono stati quelli del digital divide tra gli studenti e quello delle difficoltà e delle problematiche incontrate dagli insegnati, nel tentativo di offrire un servizio accettabile e capace di garantire formazione di qualità e meritocrazia nelle valutazioni.
Il primo punto rappresenta forse il nodo cruciale, perché l’inesorabile differenza di accesso alle tecnologie e alla rete, provocata dalle disuguaglianze economiche e sociale esistenti tra gli studenti e tra i differenti contesti in cui vivono, hanno in molti casi reso complicato lo stesso accesso alle lezioni e alla formazione. In questo senso è stata messa in discussione una delle missioni principali della scuola, quella di rappresentare una sorta di ascensore sociale capace di superare le disuguaglianze di fatto esistenti tra gli studenti; tale situazione ha piuttosto aggravato le differenze reali, correndo il rischio di trasformare l’istruzione in un vero e proprio strumento di legittimazione e ampliamento delle stesse.
Altra nota dolente, che hanno reso estremamente disomogenea l’erogazione del servizio, sono state le difficoltà incontrate dagli insegnati, sia relativamente ai mezzi messi loro a disposizione per garantire le lezioni e sia per quanto riguarda le loro stesse competenze nell’utilizzare con profitto gli strumenti digitali.
Gli esempi brevemente proposti, hanno messo in evidenza la necessità di realizzare un vero e proprio cambio di passo nella presenza in ambiente digitale di tutte le amministrazioni pubbliche italiane. È evidente che non è più possibile rinviare la piena realizzazione di un piano strutturato e consistente di investimenti sul processo di digitalizzazione del paese, se non al prezzo di sacrificare fondamentali diritti garantiti dal patto democratico che ormai passano anche attraverso la loro fruizione digitale da parte dei cittadini-utenti.
Rinviare ulteriormente un ragionato piano di riforme in tal senso, porrebbe la p.a. di fronte al rischio di diventare una mera forza frenante della storia; infatti, concludendo, particolarmente chiare appaiono le parole di Sabino Cassese:
“[…].Peculiare dell’Italia è un secondo fattore di crisi. Poiché ogni pubblica amministrazione è anche la sua storia, aver optato per la continuità, escludendo la discontinuità di regolazioni, apparati, processi di decisione, nei tornanti della storia politico-costituzionale, ha prodotto invecchiamento amministrativo. Poiché ogni amministrazione è al centro della società, se non ne eguaglia il dinamismo, diventa una forza frenante. La freccia della storia è rallentata.” [9]
Note
[1] L’enciclopedia Treccani definisce il Web 2.0 come un termine, apparso nel 2005, che “indica genericamente la seconda fase di sviluppo e diffusione di Internet, caratterizzata da un forte incremento dell’interazione tra sito e utente: maggiore partecipazione dei fruitori, che spesso diventano anche autori (blog, chat, forum, wiki); più efficiente condivisione delle informazioni, che possono essere più facilmente recuperate e scambiate con strumenti peer to peer o con sistemi di diffusione di contenuti multimediali come Youtube; affermazione dei social network. Nuovi linguaggi di programmazione consentono un rapido e costante aggiornamento dei siti web anche per chi non possieda una preparazione tecnica specifica. Il fenomeno è ancora in fortissima evoluzione.” http://www.treccani.it/enciclopedia/web-2-0/
[2] Per un approfondimento sull’analisi dell’evoluzione dello stato nel periodo della Golden Age, Vittoria A. (2015), “Il Welfare oltre lo Stato. Profili di storia dello Stato sociale in Italia, tra istituzioni e democrazia”, Torino, G. Giappichelli.
[3] Dahrendof R. (1995), “Quadrare il cerchio ieri e oggi. Benessere economico, coesione sociale e libertà politica”, Laterza.
[4] Sul punto è interessante richiamare l’art. 1, comma 1 della legge n.241/1990:“L’attività amministrativa persegue i fini determinati dalla legge ed è retta da criteri di economicità, di efficacia, di imparzialità, di pubblicità e di trasparenza, secondo le modalità previste dalla presente legge e dalle altre disposizioni che disciplinano singoli procedimenti, nonché dai principi dell’ordinamento comunitario.”
[5] Dijck J. V. – Poell T. – Waal M. (2018) “The Platform Society. Public Values in a Connective World”, USA, Oxford University Press.
[6] Su tale aspetto si fa riferimento al ruolo delle cosiddette Big five dell’industria tech (Apple, Amazon, Alphabet-Google, Facebook e Microsoft). Esse controllando le principali piattaforme digitali usate dagli utenti hanno la possibilità acquisire un’enorme mole di informazioni e di controllare gli algoritmi che determinano il seguito di un prodotto o di una iniziativa; così facendo esse hanno la possibilità di influenzare il modo di agire e di ragionare degli utenti stessi.
[7] Il primo esperimento su questo fronte fu l’AIPA (Agenzia per l’Informatica nella Pubblica Amministrazione) istituita con decreto legislativo n.32/1993. Successivamente essa fu soppressa nel 2003 ed è stata sostituita prima dal CNIPA in seguito all’approvazione del decreto legislativo n. 196/2003 (Centro nazionale per l’informatica nella pubblica amministrazione, divenuto poi digitPA) e poi con l’attuale AgID (Agenzia per l’Italia digitale) istituita con legge n. 134/2012.
[8] Tale codice è stato più volte modificato ed aggiornato dal legislatore anche in ragione della peculiare disciplina che regola, caratterizzata da continue innovazioni.
[9] Cassese S. (2019), “Che cosa resta della pubblica amministrazione?”, Rivista trimestrale di diritto pubblico, fascicolo n. 1/2019, pag 3-4.
Foto copertina: Immagine web. Agendadigitale
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