Don’t choose extinction

L’UNDP, il Programma delle Nazioni Unite per lo Sviluppo, lo scorso 27 ottobre ha lanciato un nuovo cortometraggio doppiato da alcune celebrità globali che mette in luce la crisi climatica. Titolo del film: “Don’t choose extinction” – Non scegliere l’estinzione.
Il video vede un grosso tirannosauro entrare nell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite davanti agli occhi spaventati dei leader globali.

Frankie, è questo il nome del dinosauro, prende parola e rivolgendosi ad uno dei diplomatici scioccati dice che “è ora che gli umani smettano di inventare scuse e inizino a fare cambiamenti” per affrontare la crisi climatica. ‘almeno abbiamo avuto un asteroide, qual è la tua scusa?’ 
Con il lancio del video l’UNDP ha pubblicato anche una ricerca in cui si evidenzia che il mondo spende 423 miliardi di dollari all’anno per sovvenzionare i combustibili fossili per i consumatori: petrolio, elettricità generata dalla combustione di altri combustibili fossili, gas e carbone.


Una cifra enorme! E per fare un paragone, questo importo potrebbe coprire il costo delle vaccinazioni COVID-19 per ogni persona nel mondo, o pagare tre volte l’importo annuale necessario per sradicare la povertà estrema globale.
Ma l’umanità è davvero a rischio estinzione? Sembrerebbe proprio così. Il fattore climatico è una delle conseguenze dell’inquinamento, ma non è l’unica.
Un gruppo di ricercatori dell’Urological Research Institute (URI), l’Istituto di Ricerca Urologica dell’IRCCS Ospedale San Raffaele, ha pubblicato in questi giorni uno studio sulla prestigiosa rivista Nature Communications che getta nuova luce sulle cause del mancato sviluppo degli spermatozoi negli uomini azoospermici, per intenderci l’azoospermia è la totale mancanza di spermatozoi nel liquido seminale.
E questo è un problema molto serio. L’incidenza dell’azoospermia nella popolazione è in crescita, almeno nei paesi occidentali: la conta degli spermatozoi risulta diminuita di circa il 50% negli ultimi 50 anni circa.
Secondo questo studio una delle cause è da attribuire alle cattive abitudini legate ad una conduzione di vita sedentaria, l’altra invece è da ricollegarsi alla presenza di inquinanti ambientali, soprattutto dei cosiddetti ‘interferenti endocrini’. Questi interferenti endocrini che possono alterare il sistema endocrino e compromettere la fertilità maschile e femminile si trovano nei cosmetici, nell’abbigliamento, nelle medicine e nei prodotti alimentari.
Questo mix tra cambiamenti climatici e riduzione della produzione di spermatozooi e quindi della fertilità e riproduzione, mette il mondo davanti ad un pericoloso bivio: o si cambia strada o per l’essere umano non ci sarà futuro.
Chiaramente le iniziative come la Cop26, cioè la conferenza delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici del 2021, purtroppo non è la soluzione. Da quasi tre decenni l’ONU riunisce quasi tutti i Paesi della terra per i vertici globali sul clima ma i risultati sono sempre scadenti: grandi proclami ma poca sostanza. Il motivo è molto semplice, l’economia mondiale si basa sullo sfruttamento delle materie prime rinnovabili e non. Stop! La via di sviluppo climaticamente sostenibile non può essere assolutamente presa seriamente in considerazione da paesi produttori e soprattutto consumatori di materie prime utili a sostenere lo sviluppo economico. Secondo quanto stabilito dall’ultimo rapporto del gruppo di ricerca indipendente, Climate Action Tracker, si afferma che i progressi verso il mantenimento in vita delle speranze dell’obiettivo di 1,5°C sono in stallo da maggio e l’unico paese che attualmente sta adottando misure sufficienti per raggiungere quest’obiettivo è…il Gambia. Fa sorridere che l’unico paese energeticamente indipendente e che sta rispettando questa tabella di marcia è il piccolo, demograficamente e ancora di più economicamente (73esimo su 188 nella graduatoria basata sull’Indice di sviluppo umano), Gambia.
Ma bisogna fare presto. L’accordo per mantenere il riscaldamento di 1,5°C. potrebbe non bastare. A lanciare il grido di allarme è stato Gaston Browne, primo ministro di Antigua e Barbuda e presidente dell’Alleanza dei piccoli Stati insulari, che rappresenta 39 Paesi. Superare quella soglia equivale ad una condanna a morte per il popolo di Barbuda, di Antigua, delle Maldive, della Dominica, del Kenya e del Mozambico, e per il popolo di Samoa e delle Barbados e di tutti quegli Stati che toccano già ora con mano il significativo innalzamento del livello del mare.
Allora bisogna dar davvero ascolto a Frankie il dinosauro parlante, loro hanno avuto un asteroide, ma noi che scuse abbiamo?