La notte del 13 gennaio 1991, 13 manifestanti vennero uccisi ufficialmente dai militari dell’Armata rossa durante la difesa della torre della televisione e del parlamento nella capitale Vilnius. Ma non tutti sono d’accordo sulle responsabilità. Chi ha sparato sui manifestanti? La Lituania fu il banco di prova delle “rivoluzioni colorate”? Il libro-inchiesta di Galina Sapožnikova edito da Sandro Teti.
L’indipendenza lituana: quando nel gennaio 1991, di fronte al mancato avvio delle trattative tra il governo Lituano e quello sovietico per ripristinare le forniture energetiche, Vytautas Landsbergis fondatore del partito politico Sąjūdis, annunciò la fine della sospensione (di sei mesi) la dichiarazione d’indipendenza[1], la risposta sovietica non si fece attendere.
La torre della televisione
Secondo la ricostruzione ufficiale, che di fatto è diventata storia accettata del paese e non solo, le truppe del ministero degli Interni sovietico occuparono immediatamente edifici pubblici e attaccarono, la notte fra il 13 e il 14 gennaio, le sedi della radio e della televisione provocando 13 morti (14 secondo altre fonti) e circa 500 feriti tra la popolazione, che si era mobilitata in massa. L’accusa cadde su Gorbačëv, sui russi. I media mondiali accusarono i soldati russi di aver sparato a sangue freddo sulla folla.
L’intervento sovietico accrebbe il sostegno popolare alle scelte del Consiglio supremo, e il 9 febbraio, nel referendum indetto dallo stesso Consiglio supremo, il 90% dei votanti si dichiarò favorevole all’indipendenza.
Il governo lituano mise al bando il Partito comunista e ordinò l’allontanamento delle truppe sovietiche dal territorio della repubblica, mentre oltre 40 stati annunciavano il riconoscimento della Lituania e l’apertura di relazioni diplomatiche. Il 6 settembre anche il Consiglio di stato dell’URSS ne riconosceva l’indipendenza, e il 17 dello stesso mese la nuova repubblica entrava a far parte delle Nazioni Unite[2].
La versione non ufficiale
Ma non tutti sono d’accordo con la narrazione ufficiale.
La giornalista Galina Sapožnikova è tra questi. In questo libro, edito da Sandro Teti Editore e con l’introduzione di Giulietto Chiesa, gli eventi di quella notte sono rievocati da molti protagonisti. Secondo la ricostruzione della giornalista russa non furono i sovietici a sparare, ma qualcuno dalla torre della Tv. Chi? L’ipotesi è che la Lituania sia diventata il banco di prova per le future “rivoluzioni colorate” ispirate dal teorico Gene Sharp e che hanno interessato molti paesi dell’ex Urss, sia quelle riuscite: Georgia (2003), Ucraina (2004) e Kirghizistan (2005), che quelle fallite: Azerbaijan (2005), Bielorussia (2005) e Mongolia (2005). Audrius Butkevičius, politico lituano, anni dopo quella notte affermò autoaccusandosi di aver progettato quell’incidente che “quei morti hanno inflitto un doppio colpo definitivo al Kgb e all’esercito russo”.
La Sapožnikova presenta al lettore italiano una versione dei fatti diversa da quella ufficiale, che è stata in questi anni acriticamente accolta in Occidente. Attraverso le dettagliate interviste realizzate dall’autrice emerge come la nuova, libera e indipendente Lituania abbia perseguitato non solo molti dei russi rimasti nel suo territorio ma anche gli oppositori politici. La giornalista accusata di, è stata dichiarata “persona non gradita in Lituania[3]”.
Note
[1] L’11 marzo 1990 ci fu la proclamazione unilaterale di indipendenza da parte del Parlamento della Lituania, a maggioranza autonomista dopo le elezioni del febbraio 1990 (le prime libere elezioni dalla Seconda guerra mondiale)
[2] https://www.treccani.it/enciclopedia/lituania_res-bf8e403e-87ea-11dc-8e9d-0016357eee51_%28Enciclopedia-Italiana%29/
[3] https://lithuaniatribune.com/russian-journalist-galina-sapozhnikova-declared-persona-non-grata-in-lithuania/
Foto copertina: Copertina libro