Una lettura ideologica
O patria mia, vedo le mura e gli archi
E le colonne e i simulacri e l’erme
Torri degli avi nostri,
Ma la gloria non vedo,
Non vedo il lauro e il ferro ond’eran carchi
I nostri padri antichi. Or fatta inerme,
Nuda la fronte e nudo il petto mostri.
Oimè quante ferite,
Che lividor, che sangue! oh qual ti veggio,
Formosissima donna! (…)[1]
Da sempre l’Italia è stata decantata da poeti come Leopardi, in una storia profondamente segnata dal senso del patriottismo in nome della libertà e dell’orgoglio nazionale. Il processo di esaltazione dei valori italiani, dall’Unità di Italia nel 1861 alle crisi successive ai due conflitti mondiali, ha condotto la normativa giuridica alla proclamazione della Repubblica democratica.
Democrazia, una di quelle parole di cui si conosce l’etimologia ma non il vero valore.
È meglio la peggiore delle democrazie della migliore di tutte le dittature.
Le parole di Sandro Pertini sono più attuali che mai. Tuttavia nell’evoluzione storico sociale italiana è evidente una forte crisi, soprattutto morale che ha condotto il cittadino ad una perdita di fiducia nei confronti della democrazia, delle istituzioni e dei valori costituzionali, quelli per cui si è combattuto anni fino ad ottenerne il raggiungimento.
L’idea di crisi indica non tanto una trasformazione legata alla crescita e allo sviluppo (che può essere positiva) quanto qualcosa che precipita rapidamente nel decorso di una malattia. Non si tratta più solo, infatti, come sosteneva ancora Norberto Bobbio nel 1984 ne Il futuro della democrazia, di «promesse non mantenute» che richiamano la inevitabile divaricazione tra gli ideali e la loro realizzazione pratica.[2]
Il paradosso sta nel fatto che dopo la caduta del Muro di Berlino e il diffondersi della globalizzazione, la democrazia e i suoi ideali hanno iniziato a diffondersi a macchia d’olio. Ci si chiede allora come oggi si possa parlare di crisi della democrazia.
The Economist ne ha dato una spiegazione delucidante: “Una nuova e imprevista difficoltà riguarda il funzionamento e i risultati della democrazia nei paesi in cui è più solida e longeva, nell’Occidente dove la democrazia viene oggi spesso associata a fallimenti economici, malfunzionamenti e inefficienze interni, e prepotenze e fallimenti all’estero”.
Il collante della democrazia è la fiducia. In seguito a determinate esperienze sociali, l’Italia risulta essere sul baratro dell’incertezza.
Il processo attraverso il quale si accumula fiducia e con essa consenso verso le istituzioni e le politiche messe in atto si basa su una valutazione razionale e retrospettiva dell’esperienza con lo Stato. Esso rappresenta una parte dell’insoddisfazione soggetta a possibili fluttuazioni in seguito alle decisioni, ai programmi di azione presi dalle istituzioni di governo, ai differenti livelli e nei diversi ambiti settoriali, un giudizio sull’operato del governo nell’affrontare i problemi considerati come centrali.[3] In Italia la sfiducia nei confronti della performance democratica, si accompagna da una vera e propria disaffezione dei cittadini verso la politica e l’apparato istituzionale. In Partiti e caso Italiano a cura di L.Morlino e M.Tarchi si può comprendere che dopo gli anni Novanta il livello di soddisfazione degli italiani sia leggermente aumentato, ma sempre al di sotto della media europea.
La crisi, si vuol ritenere in tale sede, non riguarda un fattore tecnico-politico ma una perdita valoriale nei confronti di una corposa tradizione giuridica, che trascende dati o statistiche. Se si provasse a chiedere a un adolescente di spiegare l’amore per la propria patria, lo farebbe pensando alla nazionale che gioca una partita di calcio, il che ha del romantico. Non gli verrebbe, tuttavia, in mente di esprimere l’amore per la Costituzione o per raggiungimenti legislativi importanti. Risulta arieggiare una forte apatia politica, un clima di delusione verso i leader politici. Questo conduce a proiettare i partiti e chi ne fa le veci nella democrazia, come se loro ne fossero la voce. Se si pensasse a figure come Falcone e Borsellino, alle parole di Sandro Pertini rivolte ai giovani “Ai giovani questo voglio dire: battetevi sempre per la libertà, per la pace, per la giustizia sociale. La libertà senza giustizia sociale è una conquista fragile” si capirebbe che il disinteresse, il passivismo nella vita politica, nutrono la crisi della democrazia. Quest’ultima è del popolo, nel popolo che deve credere nella sua parola e soprattutto nelle nuove generazioni.
La fiducia istituzionale italiana ha presentato il valore più basso tra i Paesi europei nell’arco di ben 25 anni (dal 1976 al 2001), ma mostra, in questo caso, una sensibile risalita che presenta però un avallamento tra l’ottobre 1992 e il novembre 1993, riconducibile certo alla crisi economica, ma da cui non è immune la rivelazione dello scandalo di Tangentopoli e il duplice assassinio dei giudici Falcone e Borsellino.[4]
Tuttavia la democrazia “a due teste” che opponeva Dc e Pci ha condotto all’applicazione della democrazia pluralista. E sfiducia nello Stato, particolarismo, municipalismo, familismo più o meno amorale sono tratti ritenuti distintivi della cultura e dei carattere degli italiani. L’Italia inoltre ha sofferto la frattura tra Chiesa e Stato e l’integrazione mancata del movimento operaio. Così come le sue classi dirigenti, non solo quelle partitiche, ma anche quelle economiche, erano intrinsecamente estranee alla cultura dei conflitti, o meglio della competizione regolata, tipica della tradizione liberale.[5]
A partire dal nuovo millennio, fattori quali scandali politici, criminalità organizzata, corruzione o la stessa lunghezza dei processi giudiziari ha condotto gli italiani a non credere più nel sistema radicato della democrazia preferendo l’indifferenza e il disinteresse.
Effettuando un sondaggio al quale hanno partecipato persone nella fascia di età compresa tra i 20 e i 45 anni i risultati ottenuti sono i seguenti: Osservando i dati statistici si può notare come la partecipazione attiva alla politica italiana è detenuta dal 71%, al contrario la fiducia nella democrazia e nei suoi valori ha una distribuzione disomogenea.
Tuttavia l’elemento più incoraggiante è che il 98,4% scenderebbe in piazza per tutelare i propri diritti, nel caso in cui venissero calpestati. Gli uomini passano, le idee restano. Restano le loro tensioni morali e continueranno a camminare sulle gambe di altri uomini.[6]
Le incertezze nei confronti dell’apparato statale
La sfiducia apatica per ragioni opportunistiche o per un sentito dissenso, riguarda anche quella nei confronti di tutto l’apparato statale, dal Governo, alle istituzione nonché nei confronti del proprio comune (in una scala da 1 a 5 del sondaggio effettuato solo il 9.7% prova una fiducia totale nei confronti del proprio Comune).
In un rapporto pubblicato da La Repubblica condotto da Demos, sull’atteggiamento degli italiani verso lo Stato, si può leggere: “Questo sentimento colpisce, in particolare, la magistratura, la scuola, oltre, ovviamente, allo Stato. Anche il consenso verso l’Unione Europea, fra i cittadini, cala al di sotto del 50%. Per la prima volta. Mentre la fiducia nella Chiesa diminuisce sensibilmente. Perdono ulteriormente “credito” le banche. Per non parlare delle istituzioni rappresentative: parlamento e partiti.
Pubblico e privato. Giustizia e interessi. Enti locali e nazionali. Poteri civili e religiosi. Nessun riferimento sembra in grado di conservare credibilità e legittimità fra i cittadini. Nulla di nuovo, potremmo dire, per questo Paese. Dove lo Stato, tradizionalmente, non gode di grande consenso. Tanto più da qualche tempo”.[7]
Demos dimostra che più di declino si dovrebbe parlare di recessione, delineando l’immagine di uno Stato senza Stato. Un italiano su due è anche convinto che la democrazia possa funzionare senza partiti dovuto da un lato dalla crisi della rappresentanza, dall’altro dalla crisi politica ed economica. Nonostante ciò l’arco temporale della pandemia ha, paradossalmente, posto in essere dei cambiamenti notevoli. “Il sentimento di insicurezza e paura, diffuso nel Paese, spiega il declino della partecipazione sociale, osservato quest’anno. Spiega, inoltre, la crescita della fiducia verso lo Stato, il Parlamento. I governi locali: Regione e Comuni. E, in particolare, verso i servizi pubblici. Soprattutto, la Sanità.
Le persone partecipano di meno perché oggi è impossibile mobilitarsi, sul territorio. Così, l’unica forma di partecipazione che cresce è quella “digitale”. Che, tuttavia, contribuisce, a sua volta, al “distanziamento sociale”.[8]
Quasi romanticamente, in uno stato di emergenza e paura, gli italiani sembrano aver spostato la loro fiducia verso i soggetti simbolo della protezione quali il sistema sanitario, la Protezione Civile o il Presidente della Repubblica.
La Repubblica italiana: una e indivisibile o frammento di una moltitudine di differenze?
La crisi dell’uguaglianza genera una crisi democratica (relativa alla cittadinanza)[9], che rimanda ad un indebolimento dei suoi presupposti, sia sociali che politici. Essa rispecchia la crisi delle idee di uguaglianza, che avevano animato le lotte politiche della sinistra negli anni ‘70[10], ossia: «la crescita delle disuguaglianze è al contempo l’indizio e il motore di questa lacerazione. E’ il tarlo latente che produce una decomposizione silenziosa del legame sociale e, simultaneamente, della solidarietà[11]». L’articolo 5 della Costituzione sancisce l’unicità e l’indivisibilità della Repubblica che, tuttavia, agli occhi degli italiani sembra essere il frammento di una moltitudine di differenze e disuguaglianze sociali. “Lo Stato repubblicano, affermatosi con la prospettiva di formare una società evoluta legata al principio lavoristico, sta miseramente affondando, minato alle basi dalla corrosiva ideologia neoliberale e da un esterofilismo disarmante che permea ogni ingranaggio delle istituzioni. (…) La verità è che in questa Repubblica manca ormai il senso di patria e di difesa comune della nazione. Manca quel filo che unisce tutti i poteri e tutte le istituzioni nella difesa della Patria e nella tutela dell’integrità territoriale e dell’interesse nazionale. Esistono gruppi di potere politico ed economico che lavorano contro il paese, i quali ritengono di essere investiti di una missione salvifica, prescindendo dalla volontà popolare, e che anzi ritengono che questa volontà popolare non solo debba essere disprezzata, ma pure doverosamente ignorata”. [12]
Di fianco alla convinzione di una Repubblica depauperata della sua vera natura unica, si accompagna l’idea di un propagare di disuguaglianze e squilibri tra il Nord e il Sud Italia, che, per un italiano su due, dimostra la frammentazione repubblicana. “C’è tra il nord e il sud della penisola una grande sproporzione nel campo delle attività umane, nell’intensità della vita collettiva, per gl’intimi legami che corrono tra il benessere e l’anima di un popolo”[13]
La cosiddetta “questione meridionale” è una costante della storia italiana; se si guarda agli indicatori economici il ritardo economico del Mezzogiorno dipende essenzialmente dal fatto che si è industrializzato in ritardo, e con minore intensità, rispetto al resto d’Italia. Questo ritardo ha avuto effetti economici, ma anche conseguenze sociali e politiche. [14]
Dal sondaggio effettuato risulta che il 93,5% dei votanti crede che la questione meridionale è tutt’oggi una questione aperta-irrisolta. Sarebbe necessaria un’azione di riallocazione delle risorse, di incrementazione della credibilità. “Nella politica italiana, cerchi un’idea di paese, un barlume di progetto generale, e trovi singoli temi sparsi, anche importanti ma nell’insieme settoriali. È la ricerca spasmodica di qualche sacca di consenso non consumata, con uno sbriciolamento degli interessi che nega l’idea stessa di politica, la cura dell’interesse collettivo. Ci si butta, per pigrizia intellettuale e politica, su singole istanze, intuite o perfino inventate, costruendone i bisogni sottostanti. Così si frantuma la coesione nazionale”.[15]
L’elemento essenziale, in un mondo ormai prettamente superglobalizzato, sarebbe quello di ideare nuove forme di partecipazione, coinvolgere le nuove generazioni, spingere i millennials ad avere una predisposizione alla conoscenza del mondo circostante, dei valori costituzionali. Va ricomposta la fiducia ma d’altro canto, bisogna mobilitarsi e non vivere in un mondo di “non mi interessa, non è una mia priorità, la questione non mi tocca”. L’abbandonarsi comune alla totale insensibilità, correlata dalle problematiche nazionali e territoriali, è la causa del male. L’impresa è ardua ma non impossibile, non si può essere sfiduciosi anche verso l’opportunità di ritrovare aspettative positive affinché: “non fia loco ove sorgan barriere tra l’Italia e l’Italia, mai più!”[16]
Note
[1] G.LEOPARDI, All’Italia, 1818
[2] Historiapolitica.com
[3] https://journals.openedition.org/qds/538?lang=en
[4] Sciolla, La sfida dei valori, cit., p. 50.
[5] A.MASTROPAOLO Il tramonto della democrazia italiana
[6] G.FALCONE
[7] available on https://www.repubblica.it/2007/12/sezioni/politica/istituzioni-fiducia/istituzioni-fiducia/istituzioni-fiducia.html
[8] available on https://www.repubblica.it/politica/2020/12/22/news/con_l_emergenza_covid_rinasce_la_fiducia_nello_stato-301048369/
[9] P. Costa, Cittadinanza, Laterza, Roma-Bari 2013.
[10] P. Rosanvallon, La società dell’uguaglianza, op. cit.
[11] ibidem
[12] D. MURA, La sovranità ceduta
[13] G.FORTUNATO, citazione
[14] V. DANIELE, Il Paese diviso, Nord e Sud nella storia di Italia
[15] https://www.ilsole24ore.com/art/la-frammentazione-politica-esalta-funzioni-servizio-tutti-ACYcQ1IB
[16] A.MANZONI, Marzo 1821, vv. 7-8
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