Turchia: tra Europa e isolamento

Dalla Sublime Porta ad Ak Saray[note]La Sublime Porta è l’ingresso del Palazzo Topkapı di Istanbul, in Turchia, sede del Sultano e diventato per metonimia un sinonimo del governo ottomano. Ak Saray è invece l’attuale residenza del Presidente della Repubblica ğ turca, Recep Tayyip Erdo an, situato ad Ankara e famoso per la sua opulenza e per l’elevato costo di costruzione[/note]: cambia il Palazzo, ma resta il Sultano.

 

[dropcap]Q[/dropcap]uando il Consiglio d’Europa si preparava ad accordarsi sull’araldica da utilizzare per la bandiera da dare al Vecchio Continente, uscito dilaniato da due guerre mondiali, le proposte avanzate furono diverse. Tra le altre, l’idea che più sembrava convincere fu quella del conte Richard Nikolaus di Coudenhove-Kalergi.

La sua proposta prevedeva una croce rossa in un cerchio giallo al centro di un drappo blu. Il vessillo così ideato richiamava le comuni radici cristiane dei paesi europei, evocate per superare gli anni di conflitto cui gli Stati avevano preso parte facendosi vicendevolmente la guerra nei due schieramenti contrapposti.

Fu inizialmente accettato da tutti come simbolo della ritrovata unità. Da tutti meno che da uno: la Turchia. Il riferimento cristiano non piacque al Paese, ospite di una prevalenza di cittadini di fede musulmana. Non si ritenne per ciò opportuno utilizzare una bandiera contenente un simbolo religioso.

La Turchia nasce come Repubblica nel 1924 dalle ceneri di una monarchia assoluta – solo più di recente “timidamente” costituzionale[note]Nel 1876 il sultano Abdul-Hamid II, introdusse una costituzione ottriata che concedeva un parlamento bicamerale al paese e qualche diritto religioso e civile, seppure allo stato embrionale[/note]- e si fonda su sei principi, presenti in tutte le Costituzioni turche dal 2 1923 in poi, e dettati da Mustafa Kemal, detto Ataturk, letteralmente “padre della Patria”.

Tra questi, meglio noti come “frecce del kemalismo”[note]I sei pilastri del pensiero di Ataturk sono : il repubblicanesimo, il nazionalismo, il populismo, lo statalismo, il laicismo, il rivoluzionarismo. Per un cfr. Itinerari costituzionali a confronto : Turchia, Libia, Afghanistan ,a cura di Carmela Decaro Bonella, edizione 2013[/note], si riconosce una informale gerarchia, occupata all’apice dal 3 principio della laicità. Dopo un lungo periodo di progettazione e studi, l’8 dicembre del 1955 fu approvata dal Consiglio d’Europa la bandiera europea che è tutt’oggi in vigore:

«Against the blue sky of the Western world, the stars represent the peoples of Europe in a circle, a symbol of unity. Their number shall be invariably set at twelve, the symbol of completeness and perfection…just like the twelve signs of the zodiac represent the whole universe, the twelve gold stars stand for all peoples of Europe –including those who cannot as yet take part in building up Europe in unity and peace»[note]Consiglio d’Europa. Parigi, 7-9 dicembre 1955[/note].

Il protocollo della bandiera europea prevede che le dodici stelle che la compongono debbano essere poste esattamente come le ore del quadrante di un orologio. E, a proposito di Turchia e di orario, è utile ricordare come da qualche giorno il Presidente della Repubblica turca, Recep Tayyip Erdoğan, abbia deciso di allineare gli orologi dei suoi cittadini alla stessa ora segnata dalla Mecca. Di laicità, si diceva poco sopra, ma si tenga presente che il concetto di laicità in Turchia non è esattamente equivalente a quello degli altri Stati europei. Un gesto del tutto politico, mascherato dalla volontà di un risparmio energetico, che gli esperti dubitano ci sarà. Una decisione deliberatamente pregna di significati religiosi. Così la faretra dell’arco di Kemal perde una delle sue frecce, la più importante.

Ma Erdoğan, esponente del partito AKP (Partito per la Giustizia e lo Sviluppo) – un partito di matrice islamica – ex sindaco di Istanbul condannato dalla Corte Costituzionale per incitamento all’odio religioso nel 1998, non è nuovo ai colpi di mano.

Lo scorso 16 luglio 2016, il Presidente, in vacanza sulle coste affacciate sul Mar Mediterraneo, ha dovuto imbarcarsi in fretta e furia sull’aereo di Stato per virare in giro per l’Europa. Fuggiva. I militari del suo Paese stavano infatti intentando un colpo di Stato, non una novità, in Turchia. Duecentosessantacinque i morti negli scontri, di cui un numero indefinito di civili, additati poi sommariamente come sostenitori del golpe militare.

Quello di luglio è il quarto golpe degli ultimi 50 anni in un Paese in cui i militari hanno da sempre un enorme potere. Nel lungo percorso costituzionale turco – 6 Costituzioni in cento anni e un imponente numero di revisioni costituzionali – il ruolo dell’esercito ha assunto una dimensione preponderante, che ha trovato il suo riconoscimento giuridico nel Consiglio di Sicurezza Nazionale, istituito dalla Costituzione “dei professori” [note]nel 1961, dopo il colpo di Stato che aveva destituito Menderes, Primo Ministro filo-islamico del partito democratico, fu convocata una Commissione, meglio nota come Commissione di Istanbul, formata da docenti universitari con il compito di redigere il nuovo testo costituzionale[/note] del 1961.

Un potentissimo istituto, creato a salvaguardia del principio di 5 laicità delle istituzioni, che ha espletato – e spesso valicato – le sue funzioni in maniera indipendente, almeno sino a prima della presidenza di Erdoğan, un convinto musulmano e promotore di una nouvelle islamizzazione della Turchia, seppure celata dietro l’evanescente volontà della tutela delle libertà individuali. Il Presidente ha, infatti, ridotto il Consiglio a poco più di uno strumento consultivo. Non che fosse un male, data la facilità con cui i militari riuscivano ad assumere poteri fuori da qualsiasi controllo e con effetti disastrosi. Il golpe è naufragato per motivi di carattere strategico, e non certo per la chiamata FaceTime del Presidente turco attraverso la quale invitava il suo popolo a resistere. Erdoğan, rientrato in patria, ha dato il via a violente epurazioni in violazione di tutti i diritti civili e politici garantiti dalla Costituzione turca, da egli stesso sbandierati, e da tutte le Convenzioni sui diritti dell’Uomo cui la Turchia ha voluto tenacemente aderire, come segno del suo avvicinamento ai valori occidentali, soprattutto europei. Il rapporto tra la Turchia e l’Europa è invero da sempre controverso, connotato da alti e bassi e oggetto delle più sperticate scommesse da parte degli analisti mondiali. 5 { nel 1961, dopo il colpo di Stato che aveva destituito Menderes, Primo Ministro filo-islamico del partito democratico, fu convocata una Commissione, meglio nota come Commissione di Istanbul, formata da docenti universitari con il compito di redigere il nuovo testo costituzionale} Il Sultano, come è stato ribattezzato Erdoğan, ha da sempre sottolineato l’importanza per la Turchia di far parte dell’Europa, mostrandosi tuttavia in fatto sempre poco disposto a fare concessioni ed a giungere a compromessi con l’Occidente a lui più prossimo.

Ormai lontano dall’Europa è infatti il concetto di pena di morte, espunta completamente dall’ordinamento turco nel 2004, e che il Presidente Erdoğan mira a ristabilire dopo il tentativo di golpe. Distante dai principi europei è altresì la discriminazione dei Curdi, ritenuti più pericolosi dello Stato islamico. Non meno divaricante è poi l’abnegazione del genocidio degli Armeni, ricordato peraltro non più di qualche mese fa dalla cancelliera Angela Merkel e ufficialmente riconosciuto dal Bundestag il 2 giugno 2016.

Una distanza che non si accorcia e che è paragonabile solo ad un altro momento di tensione: quello raggiunto nel 1974, anno dell’invasione di Cipro.

Sempre  più un metabolismo intermittente mal digerito quello tra UE e Turchi dunque.

Ma neanche sull’altro versante, quello orientale, la Repubblica turca pare cavarsela bene. Un incidente diplomatico nel novembre del 2015 ha infatti coinvolto la Federazione russa e la Turchia in seguito all’abbattimento di un aereo militare dello Zar Putin – tanto per restare nella nomenclatura ecclesiastica che si cuce bene addosso ai leader dei due paesi – da parte dell’aviazione militare turca. Le relazioni tra i due vicini di casa si sono immediatamente arrestate, trovando un’occasione di scontro sul territorio siriano: la Russia difende il regime di Assad, la Turchia lo avversa, salvo entrambe convergere poi su alcuni obiettivi strategici negli ultimi mesi.

La cosa che di più i due Paesi accomuna però è l’ostilità che riescono a calamitare dall’Europa che proprio nelle ultime ore fa a pugni con la Russia, apostrofata per la cattiva gestione del conflitto siriano. In questo scenario bizzarro e quanto mai bellicoso, Ankara si pone in una congiuntura di mezzo pericolosa.

Il presidente Erdoğan, prigioniero di un culto della personalità di staliniana memoria, si pone come leader indiscusso – e forse indiscutibile – della Turchia. Avvolto nei fasti del suo nuovo palazzo, si dichiara garante della stabilità del Medio Oriente, bypassando i vincoli internazionali a cui il suo Paese è sottoposto.  

Non è forse un caso che la mancata ammissione della Turchia all’Unione europea faccia capo alla mancanza di requisiti previsti dai Trattati, i cosiddetti criteri di Copenaghen[note]per ottenere l’ammissione all’Unione europea è necessario soddisfare tre requisiti, chiamati criteri di Copenaghen istituiti nel 1993 in occasione del Consiglio europeo tenutosi nella capitale danese. Essi sono : 1) la presenza di istituzioni stabili che garantiscano la democrazia, lo stato di diritto, i diritti dell’uomo, il rispetto delle minoranze e la loro tutela; 2)l’esistenza di un’economia di mercato affidabile e la capacità di far fronte alle forze del mercato e alla pressione concorrenziale all’interno dell’Unione; 3)l’attitudine necessaria per accettare gli obblighi derivanti dall’adesione e, segnatamente, la capacità di attuare efficacemente le norme, le regole e le politiche che formano il corpo della legislazione dell’UE (l’«acquis»), nonché l’adesione agli obiettivi dell’unione politica, economica e monetaria[/note].

Orbene, la Repubblica di Turchia, che i tecnici chiamano ibrido, in realtà resta difficilmente qualificabile, dando crucci e lavoro a politologi e analisti di tutto il mondo.

A chiunque, durante i suoi studi più o meno attinenti, è venuto da chiedersi di quale Continente facesse effettivamente parte quel “ponte” tra due mondi, così vicini eppure infinitamente lontani. A scuola, invero, ci hanno abituati a rispondere alle domande articolandole in un discorso, argomentando, come dicevano. Ma se a qualche coraggioso docente di geografia venisse in mente di porre questa domanda,  un “ non lo so” ,  anche se scolasticamente inconsueto, sarebbe la risposta più pertinente.

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