Dalla conquista di Ermak ai gulag sovietici, una riflessione storica sul ruolo della Siberia come strumento di controllo sociale e laboratorio di resilienza.
A cura di Alessandro Maria Raffone
La Siberia, vasta regione dell’estremo oriente russo, ha svolto un ruolo cruciale nella storia della Russia sia per le vaste ricchezze presenti nel suo sottosuolo sia come luogo di esilio e detenzione per diverse categorie di individui considerati indesiderabili dal regime o dalla società.
Sin dal XVII secolo, questa remota regione si è affermata come un simbolo di punizione e isolamento, destinata a ospitare anche criminali, vagabondi, rivoluzionari e dissidenti. Ma ha rappresentato anche una via di redenzione e di libertà rispetto alle possibilità offerte dalla Russia Europea.
Arruolare fuggiaschi e fuorilegge
Si può dire, senza tema di sbagliare, che questa storia di esilio e opportunità, sia iniziata sin dai primi contatti tra russi e popolazioni autoctone siberiane, quando la potente famiglia di mercanti degli Stroganov progettò di espandere la sua rete commerciale in Siberia[1]. Visto che la Russia era a corto di uomini a causa della Guerra di Livonia (1558 – 1583), lo zar Ivan IV (1530 – 1584) decise di consentire agli Stroganov di arruolare anche fuorilegge e fuggiaschi, in buona parte cosacchi, e prigionieri di guerra tedeschi e livoni.
A capo di questo manipolo di disperati (in russo, ‘likhie lyudi‘) pronti a tutto per sopravvivere fu posto Vasilj Timofeevič, conosciuto anche come Ermak[2] (“macina da mulino” in italiano), atamano di un gruppo di cosacchi in fuga dal fiume Volga. Fu scelto perché aveva una reputazione di guerriero esperto e audace, noto per le sue fortunate incursioni contro le carovane di mercanti e le navi che solcavano i fiumi russi.
Questa prima fase dell’invasione russa in Siberia, avvenuta tra il 1581 e il 1585, fu contrassegnata da una serie di fortunate campagne militari ottenute dall’utilizzo delle armi da fuoco (di cui erano sprovvisti i loro avversari del Khanato di Sibir[3]). Attraverso queste campagne, culminate nella battaglia di Čuvaš (23 ottobre 1582), Ermak e i suoi uomini riuscirono a conquistare importanti territori e a sconfiggere le popolazioni indigene afferenti al Khanato di Sibir aprendo la strada alla successiva colonizzazione russa di tutta la Siberia.
Questi interventi, come si è visto, si inseriscono nel più ampio contesto storico di esplorazione, conquista e utilizzo come luogo di deportazione e di esilio che ha caratterizzato la storia della Siberia nei secoli successivi.
Deportazione e resilienza
La deportazione e la resilienza in Siberia rappresentano un capitolo complesso e significativo della storia russa, caratterizzato da sofferenza, resistenza e trasformazione sociale. La prima attestazione documentata dell’esilio in Siberia risale al 1593, quando si ritiene che gli abitanti di Uglich siano stati inviati nella fortezza di Pelym, in relazione all’assassinio dello zarevich Dmitrij[4]. Ad accompagnare questi sfortunati ci fu anche la campana della cittadina, accusata del grave crimine di aver suonato in segno di gioia per la morte del principe. Per questo motivo, gli fu strappato il battaglio (come si faceva con la lingua dei sobillatori), e portata oltre gli Urali, a Tobolsk e lì lasciata come monito per tutti i nemici dello Stato. L’esilio fu inserito nel codice penale soltanto nel 1649, una data da non dimenticare perché segna l’inizio di una lunga tradizione di deportazione come strumento di controllo sociale e punitivo.
Con il passare dei secoli, l’esilio in Siberia divenne un fenomeno diffuso e istituzionalizzato. Dopo l’abolizione della pena di morte a metà del XVIII secolo[5], questa venne progressivamente sostituita con lavori forzati perpetui, consolidando il ruolo della Siberia come luogo di punizione e di esilio forzato.
Durante questo periodo, decreti degli anni ’60 del Settecento permisero ai proprietari terrieri di esiliare in Siberia i loro servi condannati per “atti indecenti e impudenti”. Queste disposizioni ampliarono il raggio di azione delle autorità e delle comunità locali, che potevano condannare “persone indecenti e dannose” all’esilio, contribuendo a popolare la regione con esiliati di diversa provenienza e condizione sociale.
Un sistema gestito molto spesso da reparti di cosacchi insediatisi in diverse cittadine siberiane[6].
Per molto tempo, l’esilio ordinato dal tribunale era accompagnato da punizioni corporali, marchiature a fuoco e mutilazioni, testimonianza delle crudeltà e delle dure condizioni imposte agli esiliati. La resistenza di questi ultimi, tuttavia, si manifestò nel corso del tempo attraverso forme di resilienza che permisero loro di sopravvivere e talvolta di trovare un senso di comunità e di identità anche in condizioni di estrema sofferenza.
L’ultimo viaggio dei detenuti dipendeva, in generale, dalla gravità dei loro reati, più erano gravi e più venivano spostati verso Est. Nacque e si sviluppò una vera e propria cultura del detenuto. Ad esempio, durante tutto il tragitto e nei luoghi di esilio la vita dei condannati era dominata dall’artel[7], una sorta di sindacato criminale che aveva potere di vita e di morte su tutti gli affiliati. Una cassa comune aveva lo scopo di sostenere le spese spicciole, come pagare le guardie per avere facilitazioni o finanziare fughe di massa.
Infatti, non si deve dimenticare che, ciclicamente, nel periodo estivo gli evasi tentavano un’impossibile fuga nella tundra e nei boschi siberiani. La vera prigione, infatti, era proprio la vastità siberiana, un luogo da cui era impossibile sfuggire senza il consenso delle autorità.
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I decabristi
Per almeno tre secoli, diverse personalità considerate minacce allo status quo, come nobili ribelli o rivoluzionari, erano inviate in Siberia. Come ad esempio i Vecchi Credenti, una setta ortodossa fortemente ostacolata da Pietro il Grande[8] (1672 – 1725) e Caterina II[9] (1729 – 1796).
Ancora oggi i Vecchi Credenti prosperano in Siberia, dove sono molto rispettati e ben considerati dal resto della società russo-siberiana.
Un caso a parte, invece, è costituito dai Decabristi[10], un gruppo di ufficiali dell’esercito russo che nel 1825 si sollevarono contro il regime zarista nel tentativo di instaurare riforme liberali e costituzionali. In realtà, non era un solo gruppo ma due: uno al Nord che voleva una Monarchia costituzionale sullo stile britannico, mentre al Sud, gli aderenti erano fautori di una vera e propria democrazia repubblicana.
Dopo il fallimento della rivolta, più di cento furono condannati all’esilio in Siberia, dove trascorsero anni in condizioni dure, simbolo della repressione politica dell’epoca. In alcuni casi, fu consentito anche alle mogli e ai figli di seguire questi coraggiosi nel loro esilio. Ancora oggi sono ricordati in Siberia perché molti di loro divennero insegnanti, fondarono musei e anche il primo quartetto d’archi di tutta la Siberia. Uno di loro, Nicolaj Bestuzev, realizzò un dizionario russo-buriato, mentre i fratelli Borisov, Andrej e Petr, formularono un sistema di classificazione entomologico che poi sarebbe stato utilizzato anche dall’Accademia Francese delle Scienze.
Anche durante il periodo sovietico, questa regione continuò a essere un elemento centrale nel sistema repressivo del regime. I gulag, vaste reti di campi di lavoro forzato disseminati nella Siberia orientale e centrale, divennero simboli di oppressione e sofferenza. Milioni di prigionieri, tra cui dissidenti politici, criminali e oppositori, furono deportati nei campi dove erano sottoposti a condizioni estreme di lavoro e privazioni.
Da tutto ciò si evince che la Siberia abbia rappresentato storicamente un luogo di esilio e detenzione per molte categorie di individui indesiderati, dai rivoltosi ai criminali, fino ai dissidenti politici. La sua natura remota e il clima rigido ne hanno fatto il simbolo della repressione e della punizione nella storia russa, ma anche un luogo dalle infinite possibilità, un territorio che ha segnato profondamente le vicende dei suoi abitanti e dei loro ideali di libertà e resistenza.
Note
[1] Henri TROYAT, Ivan il Terribile, Collana La Storia, Rusconi, Milano 1985.
[2] Benson BOBRICK, Siberia, Arnoldo Mondadori Editore, Milano 1995, pp. 20-21.
[3] Larga parte dell’odierna Russia è stata sottoposta alla dominazione dei Khanati mongoli (1237-1242) e in particolare quello dell’Orda d’Oro (1242 – 1502). Il Khanato di Sibir è uno degli stati successori dell’Orda d’Oro e si è sviluppato tra il 1438 e il 1598.
[4] Id., p. 248.
[5] Id., p. 249.
[6] Christoph WIZTENRATH, Cosacchi e l’impero russo. 1598-1725 Condizionamento, ribellione ed espansione di Siberia, LEG Edizioni, Milano 2009.
[7] Benson BOBRICK, op. cit., p. 254.
[8] Henri TROYAT, Pietro il Grande, Rusconi, Milano 1981.
[9] Alessandro BRUCKNER, Caterina di Russia, Alberto Peruzzo Editore, Milano 1985.
[10] Benson BOBRICK, op. cit., pp. 265-272.
Foto copertina: Mappa della Siberia storica