Inside Al-Shabāb

FILE -- In this file photo of Thursday, Oct. 21, 2010, al-Shabaab fighters display weapons as they conduct military exercises in northern Mogadishu, Somalia. When Somalia's al-Qaida linked rebels withdrew from their bases in the capital last month, a host of explanations were offered: being outgunned or out of cash, splits in the movement, a devastating famine in their strongholds. Added to those woes was a problem familiar to politicians the world over: tax collection.(AP Photo/ Mohamed Sheikh Nor/ File)

arakat al-Shabāb al-Mujāhidīnal, il Movimento dei giovani combattenti, meglio noto come al-Shabāb (I Giovani) è un gruppo jihadista sunnita di matrice islamista attivo in Somalia, Kenya ed Uganda. Nato nel 2006, come movimento giovanile estremista, in seno all’Unione delle Corti Islamiche (UCI), in seguito alla sconfitta di queste ultime, avvenuta nel dicembre 2006 ad opera del Governo Federale di Transizione della Somalia (GFT), emerse come gruppo indipendente che si rivolgeva ad ampi strati della popolazione somala, strutturandosi in maniera sempre più complessa e perdendo l’originaria identità di movimento puramente giovanile.


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La Somalia prima della guerra civile

La nascita di Al-Shabāb può essere compresa soltanto facendo riferimento al fenomeno del jihadismo nel Corno d’Africa. Per tale motivo, è necessaria una breve digressione storica sulla Somalia post-Barre.
Con la caduta e morte del dittatore, l’ex colonia italiana precipita in una feroce quanto impietosa guerra civile. Sul terreno non si scontrano eserciti regolari, ma milizie al soldo di signori della guerra. Il generale Mohammed Farah Hassan “Aidid” ed Alì Mahdi, solo per citare i principali, fanno precipitare la Somalia in una crisi senza precedenti. Le atrocità di cui si macchiano, impongono le Nazioni Unite e gli USA ad intervenire. È così che viene pensata e lanciata l’operazione a guida americana, Restore Hope.
Quest’ultima si rivelerà a breve una cocente sconfitta per il contingente internazionale, costretto alla ritirata due anni dopo, nel 1994, lasciando dietro di sé un Paese piegato dalla guerra civile.
La dittatura ed il potere quasi assoluto di Barre lasciano spazio all’anarchia pura: una miriade di miliziani armati combattono di quartiere in quartiere nelle principali città del paese; un governo centrale praticamente inesistente; e tentativi di accordi di pace tra le parti in conflitto che si susseguono e si sgretolano ancora prima di essere firmati. È questo il contesto nel quale un attore regionale particolarmente influente, l’Arabia Saudita, inizia ad interessarsi al paese (inviando risorse finanziarie ed umane). È da allora che iniziano a sorgere nuove madrasse e moschee, arrivano imam e, insieme a loro, denaro. I bambini vengono mandati a studiare nelle scuole coraniche dove ricevono insegnamento e nutrimento, e le famiglie, in un Paese ormai piegato dalla guerra civile, privato di ogni struttura e in cui il cibo è una merce che non tutti possono permettersi, accettano di buon occhio e senza porsi troppi domande.

L’affermazione dell’Islam politico in Somalia

Il credo islamista e la militanza fondamentalista prendono dunque piede e nasce così il primo movimento politico di matrice islamista, in aperto contrasto con i metodi arroganti e predatori dei signori della guerra. Il gruppo Al-Ittihad Al-Islami (AIAI) occupa e amministra per un breve periodo i porti di Chisimaio e di Merca, dove riesce a ottenere il consenso della popolazione grazie alla buona capacità di amministrazione. Successivamente, AIAI occupa Luuq, trovando il supporto dei cittadini, che vedono nei mujaheddin somali e nell’applicazione della sharia il ritorno ad un certo grado di legalità e di stato. Con la sconfitta di AIAI, avvenuta successivamente con un’avanzata dell’esercito etiope nel 1996, nacque un un nuovo movimento fondamentalista, l’Unione delle Corti Islamiche (UCI). Quest’ultima inizia a combattere e vincere la battaglia contro l’Alliance for Restoration of Peace and Counterterrorism, un’alleanza di signori della guerra sostenuta dagli USA e creata in chiave anti-islamica. Nonostante il supporto all’Alleanza da parte di Washington, l’UCI riesce a prende il controllo di Mogadiscio e, una volta nella capitale, vengono riaperti l’aeroporto e il porto, rimossi i check-point cittadini e disarmate le milizie. La sharia diventa legge del nuovo governo de facto dando una parvenza di ordine pubblico e di giustizia in un Paese che da anni ne è orfano.
È all’interno dell’Unione delle Corti Islamiche che nasce una fazione di giovani combattenti guidata da Aden Hashi Ayro e che viene battezzata Al-Shabāb, i Giovani.

L’Islam radicale instauratosi in Somalia inizia a spaventare gli Stati Uniti, all’ora (come adesso) fortemente preoccupati del diffondersi del terrorismo di matrice islamica in diverse aree del globo. Gli USA decidono quindi di supportare il Governo Federale di Transizione (GFT)[1] guidato dal Presidente Sharif Ahmed, ex leader dell’UCI, insieme all’Etiopia.
L’Unione delle Corti Islamiche occupa Chisimaio, città portuale a sud della Somalia, sotto il controllo della milizia legata a Barre Hiirale, ministro della difesa del governo federale. L’occupazione della città diventa il pretesto per l’intervento in Somalia, nel 2006, di Addis Abeba, che riesce a sconfigge le Corti Islamiche e costringe molti esponenti delle UCI a fuggire verso l’Eritrea. Ma, se sul campo è una vittoria apparente, quella condotta dagli etiopi insieme al governo federale è in realtà una sconfitta politica. La Somalia, che ha combattuto per oltre trent’anni per l’indipendenza dall’Etiopia, si rivede ora sotto occupazione etiope. La popolazione, spinta da un sentimento di identità somala, fa appello all’unica organizzazione (civile e militare) presente sul territorio, Al-Shabāb appunto, come forza armata di resistenza e opposizione del potente vicino.

La struttura organizzativa e l’affiliazione ad al-Qāʿida

Al-Shabāb presenta una struttura interna organizzata ed articolata nei seguenti organi di governo: la Shura, l’analogo del parlamento; l’Al-Da’wa, organo di arruolamento di nuovi miliziani; l’Al-Hesbah, la polizia religiosa; l’Amnyat, servizio informativo cui vengono attribuite varie azioni terroristiche e di traffico internazionale[2]; e l’Al-Usra, cioè l’ala militare del gruppo.
Attraverso questa organizzazione fortemente gerarchica e strutturata, Al-Shabāb riesce ad occupare Merca, Baidoa, Chisimaio, parte di Mogadiscio, alternando una tattica di guerriglia nelle zone sottoposte al controllo del governo somalo, a un controllo amministrativo nelle aree già in loro possesso.

Il 9 febbraio 2012, il capo dell’organizzazione, Moktar Ali Zubeyr “Godane” annunciò in un video messaggio che Al-Shabaab sarebbe entrata a far parte di al-Qāʿida, sotto la leadership di Ayman al-Zawahiri. Quest’ultimo approvò ed accolse Al-Shabāb come cellula terroristica somala affiliata ad al-Qāʿida in un video messaggio di risposta. L’affiliazione ha fatto seguito alle notizie relative ai contrasti interni alla leadership di Al-Shabāb (spaccatasi in una fazione straniera guidata da Godane e una nazionale comandata da Aweys, leader di spicco dell’organizzazione), e coincide con notizie circa l’allontanamento di consistenti fazioni dall’organizzazione, e la partenza di più di 500 suoi combattenti dalla Somalia meridionale alla volta dello Yemen, dove al-Qāʿida stava promuovendo operazioni militari contro le truppe yemenite in una delicata fase di transizione politica del paese.
È importante ricordare come, in seguito all’affiliazione ad al-Qāʿida, la struttura di comando di Al-Shabāb è diventata sempre più decentralizzata.

Il reclutamento delle truppe

Da molto tempo, Al-Shabāb ha tra le sue file un certo numero di miliziani stranieri, soprattutto nelle posizioni di comando[3]. Guerriglieri del Golfo Persico e jihādisti internazionali sono stati chiamati a partecipare al triplice obiettivo dell’organizzazione: instaurare la sharia come legge di governo della comunità somala, cacciare gli invasori stranieri dalla Somalia (AMISOM ed Etiopia) e combattare contro il Governo Federale di Transizione. L’apertura di Al-Shabāb verso jihādisti provenienti da tutto il mondo è spiegabile con la sua missione di fondo: nata inizialmente come organizzazione fortemente nazionalistica, successivamente si è ridefinita come gruppo islamista estremista fautore del jihād internazionale. La strategia di reclutamento degli stranieri è stata attuata prevalentemente tra le comunità locali islamiche in paesi musulmani ed occidentali (USA ed Europa in primis).
Quasi sempre gli stranieri vengono impiegati non solo in battaglie militari, ma anche per svolgere attività di propaganda, comparendo spesso in video in cui cercano di convincere potenziali reclute, in particolare giovani, a partecipare al jihād internazionale (il caso più famoso è quello di uno dei maggiori leader di Al-Shabāb, Abu Mansoor Al-Amriki, cittadino statunitense divenuto uno dei leader si spicco dell’organizzazione). Inoltre, agenti dell’organizzazione sono attivi nelle moschee o in settori del commercio perfettamente legali, con lo scopo di arruolare nuovi militanti e raccogliere fondi per proseguire la lotta armata. Caso diverso è quello dei somali tornati dai paesi in cui erano emigrati, quasi sempre occidentali, per entrare nell’organizzazione e partecipare al jihād. Tra questi il più importante è sicuramente Fuad Mohammed Khalaf “Shangole”, somalo trasferitosi in Svezia e ritornato nel paese d’origine per entrare nell’Unione delle Corti Islamiche e successivamente in Al-Shabāb.

Nel 2012 è stato notato come l’organizzazione stesse attraendo un numero crescente di musulmani da poco convertiti provenienti dal Kenya, paese a prevalenza cristiano. Pare che i combattenti kenioti costituiscano il 10% del totale delle forze armate del gruppo. Si tratta spesso di giovani appartenenti alle classi più povere del Kenya, rendendoli particolarmente sensibili alle attività di propaganda e reclutamento svolte da Al-Shabāb. Si ritiene che le regioni musulmane costiere di Kenya e Tanzania (cd. Costa Swahili), come Mombasa e Zanzibar, siano zone particolarmente fertili ed esposte al reclutamento. Infine, i membri afghani ed iracheni, così come i somali addestrati in Afghanistan, giocano un ruolo importante nell’organizzazione e occupano posti di alto livello in forza della loro superiore esperienza nel combattimento. Grazie alle loro abilità, spesso questi comandanti conducono l’opera di indottrinamento dei nuovi membri e li addestrano all’utilizzo di esplosivi, a tecniche di attacchi suicidi e nelle attività di assassinio e rapimento di esponenti del governo, giornalisti, cooperanti umanitari e funzionari civili.

Gli sponsor dell’organizzazione

Nel dicembre 2009, il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite ha imposto sanzioni all’Eritrea, accusandola di armare e finanziare i gruppi paramilitari attivi nella Somalia meridionale, incluso Al-Shabāb. Nella fattispecie, l’Eritrea è stata sospettata di aver inviato carichi di armi ai ribelli antigovernativi nel sud della Somalia. Ancora nel 2010, le Nazioni Unite accusavano il governo eritreo di continuare a offrire supporto ai gruppi ribelli della Somalia meridionale, nonostante le sanzioni già applicate contro il paese.
Il governo eritreo ha sempre negato le accuse rivoltegli, definendole confuse e infondate e chiedendo di fornire pubblicamente prove concrete. Il 5 luglio 2012 l’amministrazione Obama ha annunciato sanzioni contro il capo dei servizi segreti eritrei e un alto ufficiale dell’esercito accusati di sostenere Al-Shabāb: il colonnello Tewolde Habte Negash è stato accusato di provvedere ad addestrare i combattenti dell’organizzazione ed il colonnello Taeme Abraham Goitom di organizzare l’opposizione armata al governo somalo.
Tuttavia, il 16 Luglio 2012, l’ONU ha riconosciuto di non aver rinvenuto prove concrete del supporto eritreo ad Al-Shabāb. Oltre all’Eritrea, a partire dal 2010 hanno iniziato a circolare voci sempre più consistenti di un sostegno del Somaliland agli estremisti di Al-Shabāb che combattono contro il governo federale somalo e le truppe dell’AMISOM. Molti rapporti dell’Associazione Internazionale per gli Studi Strategici, pubblicati poco dopo le elezioni presidenziali del Somaliland nel 2010, accusano il neoeletto presidente Ahmed Mohamud Silanyo di avere stretto rapporti con i gruppi fondamentalisti islamici, ipotizzando addirittura che il suo partito politico, il Kulmiye, abbia vinto le elezioni soprattutto grazie al supporto di una rete di gruppi islamisti con base all’esterno del Somaliland, tra cui Al-Shabāb. Gli stessi documenti descrivono Mohamed Abdi Gaboose, nuovo Ministro dell’Interno del Somaliland, come un islamista con forti rapporti personali con Al-Shabāb, predicendo di conseguenza un futuro rafforzamento del gruppo terroristico.

Il rapporto di Al-Shabāb con gli USA

Dal 2017, Al-Shabāb è entrata nel mirino degli Stati Uniti dal momento che l’amministrazione Trump ha dichiarato guerra aperta ai miliziani somali, dando via ad un’escalation di raid e bombardamenti aerei contro le postazioni dei jihadisti che, se da un lato, hanno portato alla morte di alcuni importanti leader dell’organizzazione, dall’altro, l’acuirsi dei bombardamenti ha causato un’ingente, e mai bene precisato, numero di vittime civili. L’effetto paradossale (ma non troppo) di questi bombardamenti indiscriminati è stato quello di spingere sempre più giovani tra le fila della formazione jihadista. Inoltre, Al-Shabāb ha adottato una tattica di risposta immediata a ogni raid americano, compiendo quindi sempre più attentati e scaricando le responsabilità delle vittime sulle ingerenze statunitensi nel Corno d’Africa.
Negli ultimi 3 anni si sono registrate, infatti, alcune delle azioni più sanguinarie del gruppo come l’attentato a Mogadiscio del 14 ottobre 2017, in cui hanno perso la vita oltre 350 persone, oppure quello del 29 dicembre 2019, quando il bilancio dell’esplosione di un’autobomba nel centro di Mogadiscio è stato di 81 morti e centinaia di feriti. Non da ultima, l’azione condotta da un commando di Al-Shabāb in Kenya, il 5 gennaio 2020, durante la quale sono stati uccisi 3 soldati statunitensi. Il 13 febbraio 2020, in una dichiarazione dell’ambasciata americana a Mogadiscio, gli USA hanno affermato di voler continuare a fornire assistenza militare all’esercito somalo e il Country Report on Terrorism 2018 del governo degli Stati Uniti, ha inserito la Somalia tra i rifugi sicuri per il terrorismo in Africa insieme alla regione del Lago Ciad e alla zona trans-sahariana. Secondo il rapporto, dopo il crollo di ISIS in Medio Oriente e l’apertura dei talebani in Afghanistan, queste tre regioni sono le aree del mondo deputate a divenire i nuovi territori di espansione dei gruppi integralisti islamici.

Come il Coronavirus è diventato uno strumento di Al-Shabāb

Negli ultimi mesi, Al-Shabāb, oltre ad aver intensificato gli attacchi contro le forze AMISOM (la Missione internazionale dell’Unione Africana in Somalia), ha dato prova della sua versatilità strumentalizzando la recente epidemia di Covid-19 per allargare le fila dell’organizzazione e fare proselitismo. I miliziani somali infatti hanno dichiarato che l’epidemia è stata una punizione divina contro la Cina per il trattamento riservato alla minoranza musulmana uiguri e contro tutti coloro che perseguitano i musulmani nel mondo. Messaggi estremamente pericolosi, in un Paese nel quale il tasso di analfabetismo è tra i più alti al mondo, e dove si rischia di vanificare gli sforzi delle autorità somale per controllare ed arginare la diffusione del virus. Se l’epidemia dovesse dilagare, a causa anche della retorica estremista di Al-Shabāb, il timore è che i jihadisti arrivino ad impedire qualsiasi intervento umanitario, facendo precipitare la Somalia in uno stato di emergenza come poche volte si era visto in passato, stretta com’è tra virus, inondazioni, crisi delle locuste e problemi di sicurezza legati al terrorismo islamico.

*Le dichiarazioni e le opinioni espresse nell’articolo sono quelle dell’autore e non (necessariamente) quelle dell’organizzazione


Note

[1] Il Governo Federale di Transizione (GFT) è stato il governo riconosciuto a livello internazionale della Somalia dal 2004 al 2012, quando è stato ufficialmente sostituito dal Governo federale della Somalia.

[2] Non ultima la detenzione di Silvia Romano, la cooperante rapita in Kenya e trasportata in Somalia come ostaggio fino alla sua liberazione il 10 maggio 2020.

[3] La maggior parte dei membri stranieri di al-Shabāb proviene da Yemen, Sudan, Costa Swahili, Afghanistan, Arabia Saudita, Pakistan e Bangladesh. Nel 2010 il loro numero complessivo era stimato tra le 200 e le 300 unità.


Foto copertina: photo of Thursday, Oct. 21, 2010, al-Shabaab fighters display weapons as they conduct military exercises in northern Mogadishu, Somalia. When Somalia’s al-Qaida linked rebels withdrew from their bases in the capital last month, a host of explanations were offered: being outgunned or out of cash, splits in the movement, a devastating famine in their strongholds. Added to those woes was a problem familiar to politicians the world over: tax collection.(AP Photo/ Mohamed Sheikh Nor/ File)

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