Lo scorso 8 maggio l’Office of the United States Trade Representative (USTR) ha dichiarato che a partire dal 10 maggio le tariffe su 200 miliardi di dollari di importazioni cinesi saliranno dal 10 al 25 percento, una mossa che secondo alcuni economisti mondiali, equivale al “tipico bullismo commerciale”.
Il ministero del commercio cinese, ha espresso profondo rammarico a seguito della decisione degli Stati Uniti di imporre tariffe addizionali alle importazioni cinesi e ha pertanto promesso di adottare le necessarie contromisure.
Anche dagli USA, il presidente dell’Associazione per la tecnologia dei consumatori degli Stati Uniti, Gary Shapiro, ha dichiarato che l’implementazione delle tariffe del 25% avrebbero rovinato i mercati e danneggiato le aziende statunitensi, in particolare secondo il vicepresidente senior delle relazioni governative per la National Retail Federation, David French, le piccole imprese hanno risorse limitate per mitigare l’impatto:
“I consumatori americani dovranno affrontare prezzi più alti e i posti di lavoro degli USA andranno persi”
Anche secondo uno studio della Società di consulenza, Washington Trade Partnership, la tariffa del 25% su 200 miliardi di dollari di importazioni cinesi, insieme a dazi sui 50 miliardi di dollari in spedizioni cinesi su acciaio e alluminio, ridurrebbero l’occupazione negli Stati Uniti di 934.000 e costerebbe ad una famiglia media di quattro persone circa 767 dollari l’anno.
Recentemente, l’Università di Chicago e il Consiglio della Federal Reserve ha utilizzato un caso specifico su delle lavatrici, per illustrare quali impatti sui beni di consumo sarebbero causati da tariffe più elevate. I risultati, hanno mostrato che il prezzo delle lavatrici è aumentato del 12% da quando gli Stati Uniti hanno imposto tariffe più elevate sulle lavatrici importate a partire dal gennaio 2018. Le tariffe costano ai consumatori americani ulteriori 1,5 miliardi di dollari l’anno, aumentando il prezzo di una lavatrice di 86 dollari e un essiccatore da 92 dollari. Un altro studio, condotto congiuntamente dagli economisti della Federal Reserve Bank di New York, della Columbia University e della Princeton University ha evidenziato, che le tariffe imposte su acciaio e alluminio, pannelli solari e importazioni cinesi stavano gravando i consumatori e le imprese americane, riducendo il reddito degli Stati Uniti a un tasso di 1,4 miliardi di dollari al mese. Non solo le famiglie, ma anche gli agricoltori statunitensi sono stati colpiti dalle tariffe elevate che hanno gravemente minacciato il loro sostentamento. L’anno scorso, il reddito agricolo netto degli Stati Uniti è diminuito del ben 12%, con prezzi in ribasso di soia, carne suina, prodotti lattiero-caseari e grano. Proprio per questo, Dale Fjell, direttore di ricerca presso la Kansas Corn Growers Association, ha dichiarato al People’s Daily che lo slittamento delle vendite e la riduzione del reddito derivano non solo dalle tariffe, ma anche dal costo delle attrezzature, poiché la maggior parte del reddito degli agricoltori è investito proprio in macchine agricole. L’acciaio e l’alluminio, che sono materiali necessari per la costruzione di magazzini per macchine agricole, sono quindi soggetti a tariffe aggiuntive sostenute sempre dagli stessi agricoltori. Il servizio di ricerca economica, sotto il Dipartimento Agricoltura degli Stati Uniti, ha stimato che la guerra commerciale, potrebbe ridurre il commercio agricolo degli Stati Uniti, nell’anno fiscale 2019 in parte anche a causa del possibile forte calo delle esportazioni verso la Cina.
Le frizioni commerciali, tra le due maggiori economie del mondo, hanno inoltre innescato grandi preoccupazioni per la crescita economica globale. Sia il Fondo Monetario Internazionale che la Banca Mondiale hanno recentemente tagliato le previsioni per la crescita economica mondiale. Ma non solo, anche la World Trade Organization ha declassato per il 2019 le sue aspettative per la crescita del commercio mondiale, dal 3,7 al 2,6 percento, in assoluto il più basso degli ultimi tre anni. Gian Maria Milesi-Ferretti, vicedirettore del dipartimento di ricerca del Fondo monetario internazionale, ha dichiarato al People’s Daily che le barriere commerciali avrebbero rotto la catena di approvvigionamento globale. Sempre secondo Gian Maria Milesi-Ferretti, la politica commerciale degli Stati Uniti e la tensione che crea quotidianamente sono una delle principali minacce affrontate dall’attuale economia mondiale. Gli esperti di entrambe le parti, hanno espresso una forte opposizione alla mossa delle tariffe statunitensi, avvertendo di danni collaterali che si propagheranno in tutto il mondo. Secondo Zhang Yansheng, ricercatore senior presso il China Center for International Economic Exchanges: “Il presidente degli Stati Uniti Donald Trump era solito dire che se i negoziati tra Cina e Stati Uniti fallissero, verrà imposto un dazio del 25% sulle importazioni cinesi, ma perché Washington ha alzato le tariffe mentre è in corso l’undicesimo round di negoziati?” Jonathan Gold, vicepresidente per la catena di approvvigionamento e la politica doganale presso la National Retail Federation, ha dichiarato che l’aumento delle tariffe produrrà maggiori costi per le imprese e perdita di posti di lavoro per molti lavoratori statunitensi. Anche il Segretario generale delle Nazioni Unite, Antonio Guterres durante il vertice dell’Organizzazione mondiale del commercio (OMC), ha espresso tutte le sue preoccupazioni: “Le attuali tensioni globali sono una grave battuta d’arresto per lo sviluppo sostenibile, sono emersi ostacoli significativi nei nostri sforzi per sfruttare la forza positiva della globalizzazione per lo sviluppo sostenibile”.
Il capo delle Nazioni Unite ha affermato che: “la globalizzazione ha reso i paesi, le imprese e le persone più interdipendenti che mai e ha creato grandi opportunità di crescita e sviluppo, Quando le tensioni commerciali aumentano, non ci sono vincitori, solo perdenti, specialmente tra paesi in via di sviluppo. È essenziale che le tensioni continuino a essere risolte attraverso il dialogo e la cooperazione multilaterale”.
Secondo Liu, membro del Comitato centrale del Partito Comunista Cinese (PCC):” le relazioni economiche e commerciali servono come zavorra e propulsore dell’intera Cina-USA, ma anche per la pace e la prosperità del mondo. “La Cina – prosegue Liu – si oppone fermamente agli aumenti tariffari degli Stati Uniti, che sono dannosi non solo per la Cina e gli Stati Uniti, ma per il mondo in generale, e la Cina dovrà prendere le necessarie contromisure”. Sottolineando che qualsiasi accordo deve essere uguale e reciprocamente vantaggioso, Liu ha affermato che le due parti hanno raggiunto un consenso importante su molti aspetti, ma restano da affrontare tre preoccupazioni fondamentali della Cina. La prima è rimuovere tutte le tariffe aggiuntive, ha detto, aggiungendo che il prelievo di tali tariffe è il punto di partenza della controversia commerciale bilaterale in corso e deve essere totalmente revocato se le due parti dovessero raggiungere un accordo. La seconda è che la quantità di acquisti dovrebbe essere realistica, ha detto, aggiungendo che le due parti hanno raggiunto un consenso sul volume in Argentina e non dovrebbero cambiarlo a caso.
La terza è quella di migliorare l’equilibrio della formulazione del testo, ha detto, aggiungendo che ogni paese ha la sua dignità, il testo deve essere bilanciato e sono necessarie ulteriori discussioni su alcune questioni critiche. La Cina – secondo Liu – gode di un’enorme domanda sul mercato interno, l’attuazione della riforma dal lato dell’offerta migliorerà in modo globale la competitività dei prodotti e delle imprese cinesi, e c’è ancora ampio spazio per manovre di politica fiscale e monetaria, – infine Liu aggiunge che – la prospettiva economica cinese è assolutamente ottimista.
Foto copertina: Albanpix.com