Foreign fighters e radicalizzazione jihadista in Belgio


[dropcap]Quali sono[/dropcap] stati i fattori che hanno condotto circa 400 cittadini belgi a partire come foreign fighters per la Siria e l’Iraq, rendendo il Belgio il primo paese europeo per numero di combattenti partiti in rapporto alla popolazione totale.


 

L’articolo s’interroga sui possibili fattori che hanno condotto circa 400 cittadini del Belgio a partire come foreign fighters per la Siria e l’Iraq. Le stime sono incerte e variano da un minimo di 388 individui[1] a 440[2] o addirittura 500 cittadini belgi, come sostenuto da una delegazione delle Nazioni Unite nell’ottobre del 2015[3], che ne fanno comunque il primo paese europeo per numero di combattenti partiti in rapporto alla popolazione totale. Prima di riflettere sulle dinamiche di radicalizzazione violente, è opportuno soffermarsi sulla presenza musulmana in Belgio e sul modello di integrazione che è stato proposto nel corso degli ultimi decenni dai decisori di Bruxelles.  

Quanti Musulmani ci sono in Belgio?

Esistono difficoltà notevoli nello stabilire con certezza quanti musulmani ci siano in Belgio. Ciò si spiega sia in relazione al divieto di elaborare statistiche su basi religiose, comune anche ad altri Stati, (come la Francia), sia per la potenziale imprecisione nella definizione di musulmani, circoscritta non solo al caso belga. Ad ogni modo, le stime risultano più precise relativamente alla nazionalità degli stranieri presenti sul territorio belga, mentre per quanto riguarda i cittadini naturalizzati o di seconda / terza generazione occorre affidarsi soltanto ai cognomi degli individui[4]. Alcuni dichiarano che ci sarebbero circa 450.000 musulmani al 2015 (su una popolazione di 11.322.088 persone al 1° Gennaio 2017)[5], di cui due terzi ormai cittadini a tutti gli effetti e dei quali l’80% ha origine turca o marocchina[6]. Altri invece aumentano la cifra a circa 650.000, che rappresenterebbero più del 6% della popolazione[7]. Inoltre, nella regione di Bruxelles ci sarebbe una concentrazione consistente di musulmani, che andrebbe dal 12% al 17% a seconda delle varie stime[8].  

La prima ondata migratoria risale agli anni Sessanta, un decennio chiave per i gastarbeiders (lavoratori ospitati) provenienti dal Marocco[9] e dalla Turchia[10] grazie agli accordi firmati nel 1964 tra i loro governi e quello di Bruxelles. Alla richiesta di manodopera meno qualificata di quella locale si aggiungevano anche le preoccupazioni del governo sullo stallo demografico del paese, che incoraggiava i decisori politici belgi a promuovere i ricongiungimenti familiari. L’arrivo dei membri del nucleo familiare favorì la sedentarizzazione in loco e la rivalutazione dell’elemento religioso. La dinamica che ha condotto i musulmani alle prime rivendicazioni a livello pubblico, riguardo alla creazione di moschee (al 2004 se ne contavano 33 ufficiali, escludendo le musallayat, cioè gli altri luoghi di culto non ufficiali)[11] o alla richiesta di prodotti alimentari halal, è stata rinforzata dal carattere peculiare dell’Islam, ritenuto da molti credenti come una religione inscindibile dalla dimensione pubblica della vita quotidiana (din wa dunyā). L’aderenza all’ortoprassi islamica sarebbe divenuta più marcata e avrebbe assunto presso le seconde generazioni una visibilità assente nei primi migranti. Ciò è avvenuto anche grazie al ruolo di spicco che l’Arabia Saudita stava assumendo negli scenari geopolitici a partire dagli anni Settanta[12].

La monarchia di Riyad si è imposta lentamente come attore di rilievo nello spazio religioso dell’Islam europeo grazie ai lauti introiti del petrolio, che le permisero di stringere un accordo conveniente con il Belgio per il finanziamento di numerosi centri di culto, come il Centre Islamique et Culturel de Belgique (CICB) a Bruxelles nel 1969[13].

Il re Baldovino concesse al Centro Islamico di occupare il Padiglione Orientale del Parc du Cinquentenaire, facendo consegnare le chiavi direttamente al re Faysal Al-Saud con l’obiettivo di costruirci la Grande Moschea di Bruxelles. Fu il momento cruciale per la nascita dell’Islam in Belgio, riconosciuto poi come una delle religioni ufficiali dello Stato nel 1974, per la prima vola in un paese europeo[14], nello stesso anno in cui il governo impresse una svolta restrittiva alle politiche di immigrazione.

Malgrado l’eredità napoleonica, il Belgio non ha mai messo in atto delle politiche ispirate alla laïcité francese. Il riconoscimento statale implica il finanziamento dei culti, una sostanziale tolleranza verso l’insegnamento di altre religioni[15] e verso i contributi finanziari e l’influenza di paesi esteri. Non si può parlare di un modello belga omogeneo, poiché esistono delle differenze tra le Fiandre, tendenzialmente più inclini a seguire il multiculturalismo di stampo britannico, e la Vallonia, più vicina all’assimilazionismo tipico della Francia[16].

Eppure, come sottolinea il politologo Sami Zemni, sono state per lo più le città delle Fiandre a vietare di indossare il velo o qualunque altro tipo di copricapo alle donne nella pubblica amministrazione e nelle scuole[17]. Il bilinguismo e il federalismo del Belgio conducono inoltre alla paradossale situazione che vede molti migranti o cittadini di seconda generazione sentirsi più attaccati all’identità belga rispetto a chi è interprete di un maggiore nazionalismo su base regionale. Il solco tra le due regioni, evidente non solo in questo settore, non offusca comunque l’ottima reputazione del Belgio negli indici di libertà religiosa[18].

Naturalizzazioni e appartenenza politica

Con il trascorrere degli anni è emersa la questione della naturalizzazione giuridica degli immigrati intenzionati a risiedere stabilmente, ad acquisire la cittadinanza e a partecipare alla vita politica, Grazie agli sforzi di organi come i Conseils Communaux Consultatif des Immigrés, che si impegnarono per garantire il dialogo tra gli immigrati e le autorità cittadine, numerosi passi in avanti furono compiuti al fine di assicurare più diritti e partecipazione ai cittadini stranieri, molti dei quali furono poi naturalizzati grazie alla legge del 1984 voluta dal ministro della giustizia Jean Gol. Si calcola che dal 1985 al 1990 circa il 50% delle naturalizzazioni abbia riguardato gli immigrati da Marocco, Turchia ed altri paesi extra-europei[19].

Secondo altre fonti[20], il 50% dei musulmani del Belgio sarebbe stato naturalizzato tra il 1985 e il 1997. Negli ultimi dieci anni la partecipazione politica dei musulmani in Belgio è stata incanalata da partiti con un’agenda favorevole ad una maggiore presenza dell’Islam nella vita pubblica, i quali però hanno riscosso poco seguito. Esistono comunque anche storie di successo individuali, considerando che più del 20% del Parlamento della Regione di Bruxelles è di origine musulmana. Meno consistente, ma comunque, in crescita, è anche la partecipazione a livello federale e nel Parlamento Europeo[21].

Al 1999 risale la fondazione di Noor, movimento islamista che si proponeva di difendere la famiglia e i valori tradizionali contro l’immoralità e il materialismo della società belga. Il movimento ha suscitato vivaci polemiche in ampi settori della società, per le sue posizioni in merito alla pena di morte e ai matrimoni forzati, e ha ottenuto un risultato elettorale modesto, pari a poco più di un migliaio di voti[22]. Qualche anno dopo, nel 2003, è entrato in scena il Parti de la Citoyenneté et de la Prosperité, ideologicamente vicino ai Fratelli Musulmani e al loro islamismo moderato e analogamente condannato dai magri risultati elettorali[23].

L’insuccesso di Noor non ha demoralizzato il suo leader, Redouane Ahrouch, che nel 2012 ha creato ISLAM, basato su un programma orientato alla difesa intransigente di alcuni principi della shari’a. Il partito punta al sostegno di tutti i musulmani esclusi dalla società ed è riuscito a far eleggere due rappresentanti nelle municipalità di Anderlecht e di Molenbeek, a Bruxelles, ottenendo poco più del 4%[24]. ISLAM rappresenta senza dubbio il caso più interessante da monitorare per comprendere come si evolverà l’atteggiamento della minoranza musulmana più radicale nei confronti del modello costituzionale belga.

«Radicalizzazione dell’Islam»  o  «islamizzazione della radicalità»?

Il supporto verso idee e programmi giudicati poco compatibili con la democrazia belga va ricondotto esclusivamente alla minoranza musulmana più conservatrice, le cui tendenze fondamentaliste potrebbero costituire un terreno fertile per la radicalizzazione di singoli individui o di gruppi che poi passano all’azione violenta, non solo relativamente al Belgio ma anche ad altri paesi europei. Ci si può chiedere se le ragioni per cui si sono verificati atti di terrorismo compiuti da profili con un background musulmano siano da attribuirsi alla «radicalizzazione dell’Islam»[25] o all’«islamizzazione della radicalità»[26], oppure, se i moventi vadano ricercati solo nella condizione sociale di marginalità in cui versano molti giovani musulmani europei[27], magari spinti pure da rigurgiti post-coloniali verso gli Stati che un tempo avevano colonizzato i loro paesi d’origine – assenti nel caso belga[28]. Il modello di integrazione belga ha mostrato delle falle evidenti. Scelte discriminatorie sono state effettuate riguardo alle domande di lavoro e di affitto dei musulmani, spesso rigettate solo a causa del loro cognome: ciò tuttavia potrebbe indicare una discriminazione più su base etnica che religiosa[29]. Peraltro, le nuove procedure legislative per la naturalizzazione dei migranti, emanate nel 2012[30], risultano più restrittive rispetto ai provvedimenti del passato, probabilmente a causa delle ripercussioni negative che la crisi economica del 2007/08 ha avuto sulla percezione degli immigrati, nonché per la crescente ondata di islamofobia che ha colpito molti paesi europei già dal periodo post-11 Settembre, fomentata dalla narrativa sul «dramma del multiculturalismo» e dalla propaganda del Vlaams Blok[31], che certamente ha contribuito a modellare una percezione fuorviante sulla presenza musulmana nel paese: secondo un recente sondaggio effettuato da IPSOS-Mori, gli intervistati ritengono che la popolazione musulmana rappresenti il 23% del totale, a fronte del 7% totale[32].

L’emarginazione sociale non corrisponde ad un automatico avvicinamento a versioni dell’Islam più radicali, né tantomeno a farsi ammaliare dalla propaganda jihadista. Ma non bisogna sottovalutare il rischio che le continue discriminazioni di cui molti giovani musulmani sono vittime a causa dello stigma etnico e di quello religioso – sebbene si tratti spesso di cittadini integrati pienamente nel tessuto socioeconomico[33]-, possano determinare rabbia, frustrazione e reazioni identitarie.

È qui dunque che bisogna ricercare la prima tra le concause della radicalizzazione dei musulmani belgi di seconda generazione, nel tentativo di giungere a conclusioni generali su tutti i “soldati” del jihad e non solo sugli autori dei recenti attentati, come la cellula colpevole degli attentati di Parigi (13 Novembre 2015) e di Bruxelles (22 Marzo 2016), su cui le ricerche sono ancora in fase embrionale.

Uno studio pubblicato nel 2016 dall’International Institute for Counter Terrorism si concentra su alcune caratteristiche dei radicalizzati – quasi tutti di età compresa tra i 17 e i 25 anni, poco qualificati, molti tra loro con un passato nella microcriminalità – e radica la sua tesi in due assunti di base[34]:  

  • Lo strain ambientale espone i giovani musulmani al rischio di radicalizzazione, causata dalla deprivazione relativa rispetto al contesto occidentale[35];
  • A giocare un ruolo chiave in questo processo sono le organizzazioni che creano un frame ideologico per inquadrare l’odio giovanile.

Il caso più celebre è quello di Sharia4 Belgium, organizzazione salafita che ha operato per anni nella legalità prima di essere accusata di conduzione di attività terroristiche e di aver favorito la partenza di numerosi foreign fighters in Siria[36]. Il ruolo dei cosiddetti “lupi solitari” viene così posto in secondo piano, almeno nel caso belga[37].  La prevalenza dell’elemento collettivo era stata già visibile nel corso dei decenni precedenti, quando in Belgio furono scoperte le prime cellule legate ai network jihadisti internazionale. Nella moschea Al-Khalil di Bruxelles si era stabilito negli anni Ottanta il Bureau dei mujaheddin afghani in Belgio; nel 1995 e nel 1998 sono state smantellate due reti collegate al GIA algerino; negli anni Duemila si è scoperto che uno dei kamikaze di Al-Qaeda coinvolti nell’assassinio del comandante afghano Massoud era il belga-tunisino Dahmane[38]. Tuttavia, non ci sono altre analogie con l’ondata jihadista degli ultimi anni: a questa seconda o terza generazione gli studiosi riconoscono delle peculiarità assenti nella prima generazione del jihad, giacché in primo luogo si tratta di cittadini nati e cresciuti in Europa.

Modello di integrazione

Il modello di integrazione proposto dal Belgio verso i musulmani nel corso degli ultimi decenni ha mostrato più lati positivi che negativi, in merito ad esempio al grado di libertà religiosa, alla tolleranza verso l’insegnamento scolastico dell’Islam e all’assenza di politiche abitative di ghettizzazione come nelle banlieue parigine. Le maggiori criticità emergono se si prende in considerazione la marginalità sociale di cui ancora molti musulmani sono vittime, sia a livello lavorativo che nello spazio pubblico. Un problema comunque comune a tutti gli Stati europei, acuito dagli effetti della crisi finanziaria del 2007/2008 e dall’aumento di flussi migratori degli ultimi sei anni Malgrado l’impossibilità di fornire un ritratto unico, sembra quindi plausibile collegare la radicalizzazione violenta dei musulmani belgi alla frustrazione e all’emarginazione sociale (dovuta non solo alla subalternità economica), così come alla presenza già dagli anni Novanta di network jihadisti, che rendono la radicalizzazione un processo più collettivo che individuale.

Un’ultima considerazione andrebbe fatta a proposito della minore propensione alla radicalizzazione dei musulmani turchi/d’origine turca rispetto a quelli marocchini/d’origine marocchina, evitando interpretazioni basate sull’essenzialissimo culturale e soffermandosi invece solo sul dato empirico, secondo cui il 50% dei jihadisti belgi sarebbe marocchino di nascita o di origine, a fronte solo del 5% turco[39].

Ciò potrebbe scaturire dal modo particolare con cui la questione dell’integrazione in Belgio viene percepita dalla comunità turca e dal Diyanet, organo amministrativo di Ankara che controlla i due terzi delle moschee belghe ed esercita un peso determinante sulla visione del mondo dei turchi europei[40].     

Il forte legame con la madrepatria e con il gruppo etnico, l’atteggiamento cauto e rispettoso nei confronti degli Stati d’accoglienza e lo scetticismo verso l’idea che possa nascere un Islam radicalmente europeo sono tutti fattori che rendono la comunità turca meno interessata ad integrarsi pienamente nel tessuto sociale del Belgio, vivendo anzi in una sorta di “oasi comunitaria” che non perde mai il contatto con l’etnia originaria. 

I musulmani di origine marocchina, invece, presentano una maggiore sensibilità alla questione dell’integrazione, favoriti anche dalla conoscenza del francese. La percezione dell’insufficienza con cui il governo belga ha affrontato il tema e la presenza di lacune significative potrebbe aver determinato quella frustrazione e quel senso di estraneità che in alcuni casi finisce per degenerare in aperta contestazione dell’autorità e nella scelta di radicalizzarsi. Rispetto alla maggior omogeneità dei turchi, la frammentazione della comunità marocchina avrebbe inoltre un effetto deleterio, privando gli individui delle reti sociali di protezione che sono strumenti più adatti a frenare pulsioni radicali e nichiliste. Si tratta comunque solo di ipotesi suggerite dai dati disponibili e sulle quali bisognerebbe condurre ulteriori ricerche.


Note

[1] {Bakker E., De Bont R., Belgian and Dutch Jihadist Foreign Fighters (2012–2015): Characteristics, Motivations, and Roles in the War in Syria and Iraq, Small Wars & Insurgencies, Vol.27, N.5, 2016, p. 837}.

[2] {Schmid A., Foreign (Terrorist) Fighters Estimates: Conceptual and Data Issues, ICCT Policy Brief, October 2015, p. 12}.

[3] {Counter-Extremism Project, Belgium: Extremism and Counter-Extremism, p. 2 https://www.counterextremism.com/countries/belgium}.

[4] {De Raedt T., Muslims in Belgium: a case study of emerging identities, Journal of Muslim Minority Affairs, 24:1, 2004, p. 19}.

[5] {https://statbel.fgov.be/en}.

[6] {Nielsen J. S., Muslims in Western Europe, Edinburgh University Press, Edinburgh, 2016, p. 75}.

[7] {Teich S., Islamic radicalization in Belgium, International Institute for Counter-Terrorism, IDC-Herzliya, February 2016, p. 4}.

[8]{Dassetto F., L’Iris et le croissant. Bruxelles et l’Islam au défi de la co-inclusion, Louvain-la-Neuve, Presses universitaires de Louvain, coll. « Islams contemporains », 2011, e da Nielsen J.S., Muslims in Western Europe, op.cit., p. 76}.

[9] {Ennaji M., Muslim Moroccan Migrants in Europe. Transnational Migration in Its Multiplicity, Palgrave Macmillan, London, 2014, pp. 22-24}.

[10]{Çitak Z., Religion, Ethnicity and Transnationalism: Turkish Islam in Belgium, Journal of Church and State, vol. 53 no. 2, 2010, pp. 222–242}.

[11] {Nielsen J. S., Muslims in Western Europe, op.cit., p. 76}.

[12] {Kepel G., La rivincita di Dio, Rizzoli, Milano, 1991, e Jihad. Ascesa e Declino. Storia del fondamentalismo islamico, Carocci, Roma, 2001, pp.67-94 e 115-151}.

[13] {Nielsen J.S., Muslims in Western Europe, op.cit., p. 77, e Castaño Riaño S., The political influence of Islam in Belgium, Partecipazione e Conflitto. The Open Journal of Sociopolitical Studies, 7(1), 2014, pp. 134-135.

[14] {De Raedt T., Muslims in Belgium: a case study of emerging identities, op.cit., p. 15}.

[15] {Nielsen J.S., Muslims in Western Europe, op.cit., p. 81; Franken L., Islamic Education in Belgium: Past, Present, and Future, Religious Education, 112:5, 2017, pp. 491-503}.   

[16] {De Raedt T., Muslims in Belgium: a case study of emerging identities, op.cit., p. 18}.

[17] {Zemni S., The shaping of Islam and islamophobia in Belgium, Race and Class, Institute of Race Relations, Vol. 53 (1), 2011, pp. 29-31}.

[18] {International Religious Freedom Report for 2017, Belgium, United States Department of State}.

[19] {De Raedt T., Muslims in Belgium: a case study of emerging identities, op.cit., p. 16}.

[20] {Ennaji M., Muslim Moroccan Migrants in Europe. Transnational Migration in Its Multiplicity, op.cit., p. 24}.

[21]{Zibouh F., Muslim Political Participation in Belgium: An Exceptional Political Representation in Europe, in Nielsen J.S., Muslim Political Participation in Europe, Edinburgh: Edinburgh University Press, 2013, p.23}.

[22]{Castaño Riaño S., The political influence of Islam in Belgium, op. cit., p. 141}.

[23] Ivi, p. 142.

[24] {Teich S., Islamic radicalization in Belgium, op.cit., p. 23}.

[25] {Kepel G., Terreur dans l’Hexagone. Genèse du djihad français, Gallimard, Paris, 2015}.

[26] {Roy O., Le djihad et la mort, Paris, Seuil, 2016}.

[27] {Leiken R.S., Europe’s Angry Muslims. The revolt of the second generation, Oxford, Oxford University Press, 2012}.

[28] Tesi sostenuta ad esempio da Burgat F., Comprendre l’islam politique. Une trajectoire de recherche sur l’altérité islamiste, Paris, La découverte, 2016, negata per il caso belga da Maréchal B., Courants fondamentalistes en Belgique, Journal d’étude des relations internationales au Moyen-Orient, Vol.3, No.1, mars 2008}.

[29] {Cfr. Teich S., Islamic radicalization in Belgium, op.cit., p. 14; Zemni S., The shaping of Islam and islamophobia in Belgium, op.cit., p. 32; Islam in Belgium, www.euro-islam.info}.

[30]{Petrovic M., Belgium: A Country of Permanent Immigration, Migration Policy Institute, November 15, 2012, www.migrationpolicy.org}.

[31] {Zemni S., The shaping of Islam and islamophobia in Belgium, op.cit., pp. 36-37}.

[32] {IPSOS-Mori, Perils of Perception, March 2016}.

[33]{Una recente ricerca d’altronde ha scisso in due componenti diverse la discriminazione di gruppo contro i musulmani: socioeconomica (scuola, lavoro e ricerca dell’impiego) e sfera civica (strada, mezzi pubblici, vicinato), in Alanya A., Baysu G., Swyngedouw M., Identifying City Differences in Perceived Group Discrimination among Second-generation Turks and Moroccans in Belgium, Journal of Ethnic and Migration Studies, 41:7, 2015, p. 1090-1093}.

[34] {Teich S., Islamic radicalization in Belgium, op.cit., pp. 38-42}.

[35]{Per approfondimenti sulla tesi dell’anomic strain come possibile chiave di lettura per spiegare il jihadismo, inteso in questo caso come sub-cultura, si veda anche Conti U., Il terrorismo jihadista occidentale: considerazioni per un’interpretazione sub-culturale, Comunicazioni sociali, n.1, 2017, pp. 144-145}.

[36] {Europol, European Union Terrorism Situation and Trend Report (TE-SAT), The Hague, 2016, p. 19}.

[37] {Khoshrokavar F., Radicalisation, Éditions de la maison des sciences de l’homme, Paris, 2014 pp. 133-136}.

[38] {Maréchal B., Courants fondamentalistes en Belgique, op.cit., pp. 73-75}.

[39] {Bakker E., De Bont R., Belgian and Dutch Jihadist Foreign Fighters (2012–2015), op.cit., p. 841}.

[40] {Çitak Z., Religion, Ethnicity and Transnationalism: Turkish Islam in Belgium, op.cit., pp. 234-236}.


 

Copertina: Nell’immagine in evidenza, il quartiere di Molenbeek (James Arthur Gekiere/AFP Photo)


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