Il 17 e 18 dicembre si è svolto a Ginevra il Forum globale sui rifugiati, il primo di una serie di incontri organizzati per realizzare gli obiettivi del Patto globale sui rifugiati che, secondo l’Assemblea delle Nazioni Unite che lo ha sottoscritto il 17 dicembre 2018, rappresenta una pietra miliare, destinata a trasformare radicalmente il modo in cui il mondo affronta il problema. Ma non mancano le critiche.
Un incontro di alto livello tenutosi a Ginevra tra governi, organizzazioni finanziarie internazionali, leader dell’imprenditoria, attori umanitari e per lo sviluppo, rifugiati, e rappresentanti della società civile, ha portato ad assumere impegni significativi e a tutto campo a sostegno dei rifugiati e delle comunità in cui essi vivono, particolarmente mediante importanti contributi volti ad assicurare un rinnovato supporto a lungo termine a favore dell’inclusione.
In tutto, sono stati oltre 770 gli impegni sottoscritti dai rappresentanti dei vari settori al Forum Globale sui Rifugiati, al quale hanno preso parte circa 3.000 persone, compresi rifugiati e 750 delegazioni.
Tali impegni sono stati assunti in diverse aree: dall’occupazione alla disponibilità di posti nelle scuole per i bambini rifugiati, nuove politiche governative, soluzioni quali reinsediamento, energia pulita, infrastrutture e sostegno migliore a favore di comunità e Paesi di accoglienza.
Un impegno significativo di sostegno è stato assunto da governi, società civile, gruppi di rifugiati, associazioni sportive, gruppi religiosi e settore privato, essendo i partenariati un elemento chiave per il conseguimento di esiti di successo per i rifugiati e i Paesi di accoglienza, i quali spesso non dispongono delle risorse necessarie.
Prossimamente saranno assunti altri impegni, sono stati definiti indicatori per valutarne il progresso e la riuscita, per esempio in termini di occupazione creata, posti nelle scuole e riduzione dei livelli di povertà. Una riunione di valutazione si terrà tra due anni.
“Il sostegno pubblico a favore dell’asilo ha vacillato negli ultimi anni. E in molti casi le comunità che accolgono rifugiati si sono sentite sopraffatte o dimenticate”, ha dichiarato l’Alto Commissario delle Nazioni Unite per i Rifugiati, Filippo Grandi. “Ma le situazioni che vedono coinvolti i rifugiati divengono ‘crisi’ solo quando noi permettiamo che ciò accada, pensando esclusivamente nel breve periodo, mancando di pianificare o collaborare tra i vari settori, e trascurando le esigenze delle comunità presso cui essi arrivano. In questo Forum, abbiamo assistito a un cambiamento decisivo verso la visione di lungo termine”.
Una prima analisi indica che sono stati sottoscritti impegni rilevanti anche in ambito finanziario.
Oltre 4,7 miliardi di dollari sono stati impegnati dal Gruppo della Banca Mondiale (World Bank Group), tramite lo stanziamento di un finanziamento specifico destinato a rifugiati e comunità di accoglienza, nonché di un finanziamento separato per sostenere il settore privato e la creazione di posti di lavoro, fondo che tiene in considerazione, anch’esso, rifugiati e comunità di accoglienza.
Un annuncio simile di 1 miliardo di dollari è stato fatto dalla Banca Interamericana di Sviluppo (Inter-American Development Bank). Inoltre, un numero elevato di Stati e altri stakeholder si sono impegnati a sostenere rifugiati e comunità di accoglienza per oltre 2 miliardi di dollari. Questi contributi mirano a rafforzare in modo significativo il sostegno destinato ai programmi di inclusione e alle esigenze di sviluppo a lungo termine in seno alle comunità di accoglienza – un riconoscimento del fatto che per la maggior parte dei 25,9 milioni di rifugiati di tutto il mondo l’esilio dura anni o perfino decenni. Il settore privato ha sottoscritto la gamma di impegni più ampia di sempre a favore delle persone costrette alla fuga. Anche la proposta di assicurare opportunità occupazionali ai rifugiati ha fatto registrare un enorme supporto, cruciale per permettere loro di riacquisire dignità e restituire il proprio contributo alle comunità in cui vivono. Oltre agli impegni assunti negli ambiti umanitario e dello sviluppo, sono stati promessi oltre 250 milioni di dollari da gruppi imprenditoriali. Tramite queste iniziative, almeno 15.000 posti di lavoro saranno disponibili per i rifugiati, i quali, inoltre, potranno usufruire di circa 125.000 ore all’anno di assistenza legale gratuita.
I lavori del Forum si sono concentrati su sei aree tematiche principali: istruzione, occupazione, energia e infrastrutture, condivisione di responsabilità, protezione e soluzioni quali il reinsediamento. La maggior parte degli impegni è stata sottoscritta negli ambiti della protezione e dell’istruzione: il primo comporterà in diversi casi la necessità di modificare i quadri normativi e politici per promuovere l’inclusione, il secondo la creazione di posti affinché il numero più elevato possibile di bambini rifugiati possa andare a scuola e sperare di costruirsi un futuro migliore.
La questione relativa a quali siano le modalità migliori per creare le condizioni per il ritorno volontario e in sicurezza dei rifugiati, è stata un altro dei temi in evidenza. Diversi Paesi di origine hanno assunto impegni in relazione ai programmi di ritorno volontario e reintegrazione dei rifugiati e di altre comunità sfollate.
Il Forum rappresenta un elemento chiave del nuovo Global Compact sui Rifugiati adottato dagli Stati membri delle Nazioni Unite a New York a dicembre 2018. Secondo quanto previsto dal Global Compact[1], il Forum Globale sui Rifugiati deve tenersi ogni quattro anni, pertanto il prossimo è in programma a fine 2023.[2]
Le critiche
Le centinaia di dichiarazioni di impegno formulate dai partecipanti al Forum globale sui rifugiati restano in linea con quelle di sempre: assistere al meglio i rifugiati in ogni momento, per ogni loro necessità e per tutto il tempo necessario, dalla procedura di identificazione iniziale, quando chiedono asilo in un paese straniero, al rimpatrio, allorché la minaccia che li ha messi in fuga viene meno.
Il Forum non ha prodotto linee guida davvero innovative, secondo i critici, poteva e doveva essere la giusta occasione per analizzare quelle che sono le criticità della gestione del problema da parte dell’Unhacr[3] e dei suoi partner, partendo dalla corruzione che inquina strutture e uffici preposti all’assistenza dei rifugiati.
Nel corso degli anni non sono mancate le denunce da parte dei rifugiati che costantemente subiscono estorsioni, violenze, ricatti, abusi: dalle richieste di denaro alle prestazioni sessuali per ricevere le razioni alimentari alle quali hanno diritto, per ottenere documenti, per far frequentare la scuola ai figli, per lavorare, per avviare le pratiche per la riallocazione in paesi terzi sicuri[4].
In Sudan, ad esempio, la denuncia sulla corruzione in un campo profughi del Sudan è di Sally Hayden, giornalista freelance per il giornale “The New Humanitarian[5]” (già IRIN). La giornalista, specializzata in crisi umanitarie e migrazioni, ha intervistato profughi e personale del campo sudanese per un periodo di dieci mesi. Ha svelato come importanti decisioni che cambiano la vita delle persone sono spesso prese sulla base di tangenti invece che dell’ammissibilità.
Secondo l’indagine i profughi, per andare in cima alle graduatorie di reinserimento in Paesi occidentali hanno pagato cifre altissime. Denari ottenuti tramite parenti in Europa per un ammontare che va da 15mila a 35-40mila dollari se il reinserimento riguarda un’intera famiglia[6].
Nell’aprile del 2019, la NBC News ha pubblicato un articolo dal titolo “Asylum for sale: Refugees say some U.N. workers demand bribes for resettlement”[7], grazie ad un’indagine di sette mesi sui centri di trattamento dei rifugiati in cinque paesi – Kenya, Uganda, Yemen, Etiopia e Libia – sono stati trovati rapporti diffusi sul personale dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (UNHCR) che accetta tangenti dai rifugiati al fine di rinviarli al reinsediamento in un paese occidentale.
Secondo il rapporto della NBC, nel sud-ovest dell’Uganda, i rifugiati affermano che “il reinsediamento, il premio finale, può costare 1 milione di scellini ugandesi a 3,5 milioni ($ 268- $ 938) per una persona, $ 5.000 per una famiglia (o quattro mucche, secondo due intervistati rifugiati, che hanno affermato che le mucche sono condivise tra le autorità ugandesi e l’UNHCR) “. Il sesso era un’altra forma di pagamento. Alcune donne e ragazze rifugiate hanno affermato di essere state invitate a fare sesso in cambio di promesse di reinsediamento. Molti rifugiati si sono anche lamentati di identità rubate e dettagli del caso:
“I rifugiati in Kenya, Uganda, Yemen, Etiopia e Libia hanno affermato di essere stati reinsediati sul caso di qualcun altro, dopo aver svolto il duro lavoro e le interviste iniziali, aumentando sostanzialmente il costo del pagamento richiesto. L’ex appaltatore delle Nazioni Unite e intermediario a Dadaab[8] concordarono. Ha detto che costa da 3 a 7 milioni di scellini kenioti ($ 29,250- $ 68,270) acquistare un’identità alla fine del processo UNHCR, quando i casi passano ai potenziali governi ospitanti per controllare.”
Lo sfruttamento dei rifugiati da parte del personale dell’UNHCR non è nuovo. L’articolo della NBC si riferisce a un ex investigatore dell’UNHCR e detective della droga che nel 2001 ha scoperto una numero consistente di estorsione ai danni dei rifugiati in Kenya. Ha dichiarato al personale della NBC a seguito di questa indagine: “Siamo 18 anni dopo, ed è ancora peggio che mai…Il lato della domanda di reinsediamento è enorme e quello dell’offerta è piccolo. L’UNHCR rifiuta di esaminare il contesto in cui esso opera.”
L’UNHCR ha negato alla NBC tutte le accuse di frode e corruzione all’interno della sua organizzazione, ammettendo tuttavia l’esistenza di truffatori che si pongono come membri dello staff dell’UNHCR per trarre vantaggio dalle vulnerabilità dei rifugiati e promettere il reinsediamento[9].
Note
[1] https://www.unglobalcompact.org/
[2] https://www.unhcr.it/news/il-forum-globale-sui-rifugiati-si-impegna-ad-agire-collettivamente-per-migliorare-inclusione-istruzione-e-occupazione-dei-rifugiati.html
[4] https://www.lanuovabq.it/it/il-forum-globale-sui-rifugiati-accusa-gli-unici-che-li-aiutano
[5] https://www.thenewhumanitarian.org/
[6] https://www.africa-express.info/2019/09/12/sudan-corruzione-in-campo-profughi-40-mila-di-dollari-per-andare-in-occidente/
[7] https://www.nbcnews.com/news/world/asylum-sale-refugees-say-some-u-n-workers-demand-bribes-n988351
[8] Il complesso dei campi profughi di Dadaab si trova in Kenya, a circa 100 chilometri dal confine con la Somalia. Il campo è stato creato negli anni ‘90 del secolo scorso dall’Unhcr per ospitare i somali in fuga dalla guerra civile, scoppiata nel 1991 dopo la caduta del presidente Siad Barre, e poi, dal 2006, dai territori controllati da al Shabaab, il gruppo armato jihadista legato ad al Qaida. Dadaab con il tempo è arrivato a ospitare 600.000 persone, per lo più somale, e tuttora ne accoglie oltre 200.000
[9] https://cis.org/Report/UNHCR-Corruption-Resettlement-Spots-Price#1
Foto Copertina: L’insegnante di rifugiati burundesi Nimbona Valyne, 26 anni, insegna Kirundi agli alunni della scuola elementare di Jugudi nel campo profughi di Nyarugusu, provincia di Kigoma, Tanzania occidentale. Georgina Goodwin/Unhcr
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