Nel tentativo di arginare gli effetti negativi e l’emorragia di licenziamenti che potrebbero manifestarsi quando il divieto di licenziamento non sarà più in vigore, con il Decreto Sostegni bis è stata introdotta una nuova tipologia di contratto per i datori di lavoro e i lavoratori: il contratto di rioccupazione.
Nel contesto nazionale che stiamo vivendo, la comunicazione è fortemente concentrata sulle tematiche relative al green pass e ai vaccini. Tuttavia, con le varie disposizioni di legge che si sono avvicendate da quando l’emergenza epidemiologica ha colpito l’intero tessuto mondiale, vi sono diverse novità introdotte nel nostro ordinamento relativamente alla materia lavoro e che vanno ben oltre la questione dell’obbligo della carta verde.
Con il Decreto Legge n. 73 del 25 maggio 2021, conosciuto come decreto Sostegni bis, poi convertito con Legge n. 106 del 23 luglio 2021, sono state previste una serie di misure atte a facilitare la ripresa economica in diversi settori con provvedimenti che vanno dalla tutela della salute, al sostegno degli enti territoriali e a misure specifiche rivolte ai giovani, la scuola e la ricerca.
Alla luce della proroga dello stato di emergenza e del relativo “blocco dei licenziamenti” a breve in scadenza, si può affermare che quest’ultimo continua ad essere concepito e imposto sempre e soltanto a garanzia del lavoro dipendente e senza l’accompagnamento di misure ad hoc per il lavoro autonomo, le quali consentirebbero di dare respiro al settore dell’imprenditoria e permettendo una ripresa più veloce e agevole.
Nel tentativo di arginare gli effetti negativi e l’emorragia di licenziamenti che potrebbero manifestarsi quando il divieto di licenziamento non sarà più in vigore, con il Decreto Sostegni bis è stata introdotta una nuova tipologia di contratto per i datori di lavoro e i lavoratori: il contratto di rioccupazione. Quest’ultimo non ha natura strutturale, in quanto la sua operatività riguarda una finestra temporale precisa relativa ai rapporti stipulati dal 01 luglio 2021 al 31 ottobre 2021 ed è volto ad incentivare l’inserimento nel mercato del lavoro dei lavoratori in stato di disoccupazione in questa fase di ripresa delle attività economiche e produttive.
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Con il messaggio n. 3050 del 9 settembre 2021, l’Inps fornisce le istruzioni operative per richiedere l’esonero contributivo in caso di nuove assunzioni effettuate mediante il contratto di rioccupazione nel periodo tra il 1° luglio e il 31 ottobre 2021: si raggiunge così la piena operatività dell’incentivo previsto dall’articolo 41, commi da 5 a 9, del decreto legge n. 73/2021, oggetto già della circolare Inps n. 115 del 2 agosto 2021. Dal 15 settembre sarà possibile presentare la istanza online attraverso il modulo RIOC, pubblicato all’interno del “Portale delle Agevolazioni”.
Il contratto di rioccupazione si configura come un vero e proprio contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato, la cui stipula attribuisce al datore di lavoro il diritto a beneficiare dell’esonero del versamento dei contributi previdenziali nella misura del 100%, per un periodo massimo di sei mesi e per un limite massimo di seimila euro annui, da riparametrare al semestre e pertanto per un importo massimo di tremila euro. L’assunzione con questa tipologia contrattuale necessita del preventivo consenso del lavoratore di aderire ad un progetto individuale di inserimento allo scopo di adeguare le competenze professionali del lavoratore al nuovo contesto lavorativo. Il rapporto di lavoro inquadrato attraverso questo strumento può essere sia a tempo pieno che a tempo parziale. Al contrario, se l’assunzione avvenisse con l’utilizzo di altri contratti di lavoro seppur a tempo indeterminato, la fruizione del beneficio non potrebbe essere applicata. Un esempio fra tutti è il contratto di apprendistato, il quale è pur sempre un contratto a tempo indeterminato ma che non darebbe diritto all’applicazione dell’incentivo. Per quanto concerne le trasformazioni da tempo determinato a tempo indeterminato, l’INPS ha chiarito che in tal caso non verrebbe ad instaurarsi un contratto di rioccupazione giacchè verrebbe a mancare il requisito dello stato di disoccupazione che il lavoratore dovrebbe avere all’atto dell’istaurazione del rapporto di lavoro. È bene precisare che a determinate condizioni lavorative lo stato di disoccupazione viene mantenuto anche mentre si ha in corso un rapporto di lavoro a termine.
Ad avviso di chi scrive, ciò che verrebbe lesa è la finalità individuata nell’adeguamento al nuovo contesto lavorativo che per un lavoratore già inserito con contratto a tempo determinato tanto nuovo non sarebbe.
La stipula del contratto deve avvenire in forma scritta ad probationem. In mancanza di tale requisito, non verrebbe invalidato l’intero contratto ma solo la sua particolare qualifica di “rioccupazione”, con la conseguenza che il rapporto continuerebbe validamente a sussistere ma riconfigurando il contratto con la normale forma a tempo indeterminato e quindi venendo meno il diritto ad usufruire dell’incentivo.
Come accennato sopra, requisito essenziale per l’instaurazione di tale rapporto di lavoro è il consenso del lavoratore ad aderire ad un progetto individuale di inserimento della durata di sei mesi e finalizzato a garantire l’adeguamento delle competenze professionali del lavoratore. Nel caso in cui il datore di lavoro decidesse di recedere dal rapporto durante il periodo di inserimento al lavoro, la tutela che si applicherebbe è quella prevista dagli artt. 2 e 3 del D. Lgs. n. 23/2015 relativo alle tutele crescenti, con la conseguenza che il lavoratore potrebbe essere reintegrato o potrebbe ottenere un’indennità risarcitoria. In aggiunta, l’esonero sarebbe revocate e gli importi goduti a titolo di incentivo dovranno essere restituiti. Al termine del periodo di inserimento, invece, i soggetti interessati possono entrambi recedere senza conseguenze e secondo il dettame dell’art. 2118 del c.c., dando o meno il relativo preavviso.
I datori di lavoro interessati da tale misura sono quelli privati, a prescindere dalla loro natura di imprenditori, con l’esclusione del settore agricolo e del lavoro domestico, i quali abbiano effettuato assunzioni tra il 1 luglio 2021 e il 31 ottobre 2021. Con la circolare INPS precedentemente menzionata, l’istituto previdenziale chiarisce che la misura è applicabile nel limite massimo di tremila euro e individua anche la misura di riferimento giornaliera pari a € 16,12, nel caso in cui il rapporto sia stato instaurato in corso di mese e bisognasse procedere con il riproporzionamento della quota di incentivo mensile massima pari a €500,00[1].
Come tutti gli esoneri e le agevolazioni introdotte in Italia anche prima della pandemia da Covid-19, ai fini dell’usufruibilità del beneficio, devono essere perentoriamente rispettate un insieme di condizioni esogene rispetto all’intervento normativo ed endogene all’instaurazione del rapporto di lavoro, a noi già familiari.
Relativamente alle condizioni esogene, è necessario che i datori di lavoro siano in possesso del Documento unico di regolarità contributiva (DURC) e che rispettino i principi sanciti all’art. 31 del D. Lgs. n. 150/2015. Ai fini dell’ottenimento del Durc, è utile ricordare che è necessario che i datori di lavoro si trovino in una condizione di regolarità contributiva, aderiscano agli obblighi di legge ed assenza di sanzioni per gravi violazioni della legislazione in materia di lavoro e sociale, rispettino gli accordi e i contratti collettivi sottoscritti dalle organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentativi a livello nazionale.
Per quanto attiene, invece, il nucleo di norme facente capo all’art. 31 del D. Lgs. n. 150/2015, la circolare INPS ha operato alcune eccezioni rispetto alle regole generalmente applicate, utili al godimento di un incentivo o un’agevolazione. Nella fattispecie, l’istituto previdenziale ha chiarito che per il godimento di tale incentivo è valido anche se siamo in presenza di un’assunzione instaurata a seguito del diritto di precedenza esercitato dal lavorato ai sensi dell’ex. Art. 24 del D. Lgs. n. 81/2015, nonché in caso di[2]:
- Lavoratori non transitati immediatamente alle dipendenze del cessionario in relazione ad un trasferimento di azienda e che vi passano entro l’anno;
- Lavoratori portatori di handicap assunti a copertura dell’obbligo ex art. 3 della L. 68/1999;
- Lavoratori assunti dall’azienda subentrante a seguito di cambio di appalto in caso di obbligo scaturente dalla legge;
- Lavoratori licenziati nei sei mesi antecedenti da aziende collegate o controllata dal futuro nuovo datore di lavoro o che presentano assetti proprietari riferibili al medesimo soggetto
In merito alle condizioni endogene legittimanti la stipula di questa tipologia di contratto, riguardano sia il datore di lavoro che il lavoratore stesso. Per il primo, ai fini del godimento del beneficio, è necessario che il datore di lavoro non abbia operato licenziamenti nei sei mesi precedenti l’assunzione né per motivi economici ai sensi dell’art. 3 della Legge n. 604/1966 né licenziamenti collettivi nella medesima unità produttiva. In aggiunta, non deve e non può licenziare il lavoratore durante i sei mesi di inserimento o procedere al licenziamento individuale per giustificato motivo oggettivo o collettivo di un lavoratore inquadrato sulla medesima unità produttiva e nello stesso livello e categoria legale del lavoratore assunto con incentivo, fatte salve le dimissioni del lavoratore. Relativamente al lavoratore, invece, l’unico requisito richiesto è che al momento della stipula egli deve essere disoccupato ed aver manifestato la propria immediata disponibilità al lavoro ai sensi dell’art. 19 del D. Lgs. n. 150/2015.
Ad avviso di chi scrive, questo strumento non sembra un valido tentativo di incentivare le assunzioni da parte dei datori di lavoro né di alleggerire questi ultimi dal costo del lavoro sempre più pregnante. Basti pensare che vi sono degli strumenti altrettanto validi e che comportano un minor costo ma anche un minor rischio dal punto di vista del rispetto della normativa vigente in materia di benefici e lavoro. Basti pensare alle forme di contratto di apprendistato stipulabili oggigiorno.
L’apprendistato prevede una riduzione dell’aliquota contributiva duratura nel tempo con una significativa riduzione del costo del lavoro che può arrivare anche a 48 mesi, anziché un’esenzione minima (tremila euro) per meri sei mesi così come previsto per il contratto di rioccupazione. L’aliquota ridotta alla quale soggiace il contratto di apprendistato non rappresenta un beneficio contributivo ai sensi della Legge n. 296/2006 e pertanto la sua applicabilità non è vincolata alle condizioni precedentemente menzionate. In aggiunta, gli apprendistati sono esclusi dalla base di computo per l’applicazione di diverse discipline, come ad esempio quella che determina la nascita dell’obbligo all’assunzione di personale rientrante nelle categorie protette o disabili. Oltremodo, il recesso dal contratto di apprendistato durante il periodo formativo non prevede la disapplicazione del regime contributivo ad hoc, con un eventuale conseguente recupero dei contributi non versati.
Inoltre, la misura è applicabile in un periodo di tempo davvero breve e per i contratti instaurati fino al 31 ottobre 2021, termine ultimo sia per tale incentivo che eventualmente per il divieto dei licenziamenti. In aggiunta, essendo requisito essenziale lo stato di disoccupazione del lavoratore all’atto dell’assunzione, sembrerebbe rendere la ricerca davvero complicata sia alla luce del blocco dei licenziamenti sia per quanto concerne la possibilità dei datori di lavoro di mantenere in forza almeno formalmente il proprio personale utilizzando le misure di integrazione salariale in costanza di rapporto. Ancora, né la legge né a ragion veduta la circolare INPS, delineano le caratteristiche di quello che dovrebbe essere il “progetto individuale di inserimento”, strumento necessario sia per la qualificazione del contratto sia per la conformità di quest’ultimo col progetto stesso.
Così come anticipato in premessa, sembrerebbe che l’utilizzo di questo strumento sia finalizzato a limitare eventuali massicci licenziamenti che potrebbero avvenire quando il blocco dei licenziamenti cesserà di essere in vigore. Da questo punto di vista, non possiamo che prendere atto che per una volta si sia cercato di pensare a delle misure in materia lavoro più vicine al settore delle politiche attive, senza continuare a creare misure di politiche passive volte all’assistenzialismo cieco degli ultimi anni. Tuttavia, tale strumento paga lo scotto di portare con sé una serie di criticità che lo rendono di difficile applicazione in quello che è la realtà del tessuto lavorativo odierno nel nostro paese. Una nuova misura temporanea con esiti dubbi che non sposa lontanamente i progetti intenzionali espressi nel PNRR, attraverso il quale ci auguriamo siano messi in atto strumenti strutturali concreti adeguati al mondo del lavoro quotidianamente in evoluzione.
Note
[1] Circolare Inps n. 115 del 2 agosto 2021
[2] Cfr. Valsiglio Cristian, Contratto di rioccupazione, prime indicazioni dell’INPS, in Guida al Lavoro n. 35 del 03 settembre 2021, il Sole 24 ore
Foto copertina: Immagine web