In un paese sempre più governato dall’alto sarà necessaria una classe politica che non scarichi più i problemi ma che abbia la volontà di assumersi delle responsabilità e le capacità per governare fino in fondo.
La crisi della politica e della rappresentanza era chiara già prima che lo scorso anno scoppiasse l’epidemia da Covid-19. Come già accaduto in passato, questo evento straordinario ha rappresentato un formidabile acceleratore di dinamiche che in tempi normali avrebbero richiesto decenni. Nello scenario politico si stanno consumando delle mutazioni che caratterizzeranno gli anni avvenire. Di questi temi abbiamo voluto parlare con Lorenzo Castellani[1], assegnista di ricerca e docente di Storia delle Istituzioni politiche presso la LUISS Guido Carli, autore de “L’ingranaggio del potere”, libro fondamentale per comprendere quei processi che hanno condotto, secondo l’autore, al progressivo rafforzamento delle tecnostrutture e degli apparati burocratico-statali rispetto alle istituzioni rappresentative.
Prof. Castellani in un suo recente articolo, Il nuovo volto del potere[2]: ha sostenuto come la pandemia abbia reso il potere più fisico ed al tempo stesso impalpabile. Può ritornare su questo ragionamento?
“I governi sono tornati ad esercitare un potere fisico e disciplinare: lockdown, sospensione del commercio, obbligo di mascherina, coprifuoco, tracciamento, green pass. Da decenni le nostre società non saggiavano così tanto lo scettro del potere che si impone sulla loro testa. Al tempo stesso, però, queste disposizioni sono state date sì dai governi ma su consiglio di task forces, comitati tecnico-scientifico, istituti di sanità cioè da istituzioni tecnocratiche che non hanno un volto rappresentativo. Questi corpi di esperti hanno inciso sui decreti più di quanto non lo abbia fatto il parlamento. Per questo il potere risulta meno visibile, non c’è un volto (il politico eletto) ma una rete di istituzioni tecniche. Per non parlare dell’accelerazione della digitalizzazione e della istituzionalizzazione dello smart working: il capo e l’organizzazione diventano una invisibile piattaforma digitale. Una gerarchia meno visibile e più immateriale.”
A fare le spese di queste nuove dinamiche politiche è stato senza dubbio il concetto di rappresentanza. Non crede sia opportuno elaborare e sviluppare nuove forme in grado di assicurare la partecipazione dei cittadini al dibattito pubblico?
“Senza dubbio, ma è ancora difficile immaginare quali. La democrazia diretta online per il momento non è praticabile, i partiti che ci hanno provato hanno fallito sul piano della partecipazione. Rivivificare il ruolo del Parlamento, in un’era oramai post-liberale, è molto difficile. L’unica forma che forse nei prossimi decenni potrebbe funzionare è quella della “amministrazione a domicilio” in cui i cittadini siano maggiormente coinvolti quando le azioni della pubblica amministrazione locale e nazionale ne tocchi gli interessi. Oppure un’altra strada potrebbe essere spingere il potere verso il basso, attuando il principio di sussidiarietà e aggiustando il disfunzionale federalismo all’italiana. Un governo più prossimo è un governo più controllabile, vicino, partecipativo. Ed è un modo per dare un volto al potere in un universo di istituzioni multilivello.”
Ne “L’ingranaggio del potere” ha parlato dei luoghi in cui si formeranno le classi dirigenti del futuro. E a quanto pare i partiti non sembrano essere ricompresi fra questi. Il destino delle organizzazioni partitiche quindi è segnato?
“Per il momento credo di sì. Ciò che i partiti potrebbero fare è creare delle strutture “laterali” per la formazione politica e amministrativa. Associazioni, pensatoi, fondazioni che possano diffondere una cultura tra chi vuole impegnarsi in politica. L’altro attore che avrà sempre di più, e che ha già, un ruolo fondamentale in questo processo sarà l’università. La domanda di formazione, secondaria e terziaria, è sempre più elevata e all’accademia toccherà fornire conoscenze, competenze, ma anche sensibilità politica.”
A proposito di leadership e concentrandoci sul caso italiano come cambieranno queste con la mutazione delle dinamiche del potere? Riusciremo ad avere classi dirigenti all’altezza dei ruoli e delle situazioni anche critiche che ci troveremo di fronte, oppure saremo costretti a confidare negli uomini della necessità, come è stato recentemente definito Mario Draghi?
“In Italia il sistema partitico è stato il punto di riferimento fino al 1992 e tutto sommato è riuscito a produrre una classe politica capace di portare il paese tra le prime potenze al mondo pur con tutte le sue contraddizioni e debolezze. Poi è stato distrutto, aprendo la strada a forme cesaristico-populiste di leadership (Berlusconi, Grillo, Salvini, Renzi) oppure a cartelli di interessi corporativi (il centrosinistra) che non sono riusciti a dominare le sfide della globalizzazione ed il processo di integrazione europea. Il sistema è stato incapace di ricostruirsi dall’interno e per l’Italia è un grave problema sul piano della qualità della classe politica. Inoltre, istituzioni come la Banca d’Italia e l’IRI da cui tradizionalmente veniva il pezzo più pregiato della classe dirigente pubblica hanno perso peso (la prima) o sono stati chiusi (il secondo). Mentre la magistratura si è politicizzata ed è andata fuori controllo, creando gravi imbarazzi al sistema giudiziario e problemi alla classe politica. Per questo il sistema politico continua ad appellarsi al vincolo esterno oppure a dei podestà tecnocratici come Mario Draghi. Non sarà facile uscirne anche perché il paese è sempre più governato dall’alto, cioè da Bruxelles, e nessuno vuole prendersi la responsabilità, o ha la forza, di governare fino in fondo. All’intera classe politica fa comodo scaricare tutto, sia soluzioni che problemi, sulle istituzioni europee.”
Lei ha opportunamente notato che nella gestione della crisi pandemica si sia registrato un ritorno dello Stato nel ruolo di pianificatore, facendo assomigliare sistemi lontani fra loro come quello statunitense-occidentale a quello cinese. Questo significa che lo Stato tornerà ad essere protagonista del XXI secolo dopo che sul finire del XX ne era stata prematuramente decretata la morte?
“Lo Stato non è mai morto, ma si è trasformato. È diventato multilivello e i sistemi di governo si sono de-nazionalizzati diventando più interdipendenti sia con istituzioni sovranazionali e internazionali sia con i mercati finanziari. Ora siamo di fronte ad un cambio di paradigma economico: l’era neo-liberale è tramontata e un nuovo interventismo pubblico si fa strada grazie all’allentamento dei vincoli di bilancio e all’azione espansiva delle banche centrali. Anche il protezionismo ha ripreso di nuovo quota in varie forme. Dunque, ci si può aspettare uno Stato più presente a tutti i livelli. Ma anche qui occorre fare attenzione: può attenderci un nuovo dirigismo tecnocratico e politiche dall’alto, soprattutto di carattere ambientale, che possono pesare sulle tasche e sulle libertà dei meno tutelati. Senza considerare che questa alluvione di denaro stampato potrebbe presto proiettarci in una dinamica inflazionistica. Non è certo naturalmente, ma non può essere escluso dai possibili scenari.”
Note
[1] Assegnista di ricerca in Storia delle Istituzioni Politiche presso la Luiss Guido Carli di Roma. Nel 2017 è stato Postdoc Researcher presso l’Einaudi Institute for Economics and Finance dalla Banca d’Italia. Nel 2016 ha conseguito il dottorato in Political History presso l’IMT di Lucca. Dal 2014 al 2016 è stato visiting scholar presso il King’s College di Londra. Si occupa prevalentemente di storia anglo-americana e di analisi di scenari politici. Cura il Monthly Report on Italy della Luiss School of Government e scrive di politica e storia per varie testate nazionali. Il suo ultimo libro è The Rise of Managerial Bureaucracy. Reforming the British Civil Service (Palgrave Macmillan, 2018)
[2] https://legrandcontinent.eu/it/2021/08/30/il-nuovo-volto-del-potere/
Foto copertina: Immagine web