La Cassazione conferma che il delitto di tortura è un reato eventualmente abituale potendo essere integrato da più condotte o da un unico atto lesivo purché comporti un trattamento inumano per la dignità della persona. Inoltre specifica la coscienza e la volontà accertata nelle singole condotte. Nota a Sentenza Cassazione Penale, Sez. V, ud. 9 novembre 2021 (dep. 16 marzo 2022), n. 8973.
Analisi
La Corte di Cassazione, pronunciandosi in sede cautelare sui fatti accaduti nel mese di Aprile 2020 nel carcere di Santa Maria Capua Vetere (pro. Caserta), ha affermato che «il delitto di tortura è stato configurato dal legislatore come reato eventualmente abituale, potendo essere integrato da più condotte violente, gravemente minatorie o crudeli, reiterate nel tempo, oppure da un unico atto lesivo dell’incolumità o della libertà individuale e morale della vittima, che però comporti un trattamento inumano e degradante per la dignità della persona».
Inoltre, la Corte di Cassazione effettua un ulteriore passaggio specificando cosa si intende per condotte. Nella sentenza, ai fini della configurabilità del delitto di cui all’art. 613-bis c. 1 c.p., “la locuzione mediante più condotte” va riferita non solo ad una pluralità di episodi reiterati nel tempo, ma anche ad una pluralità di contegni violenti tenuti nel medesimo contesto cronologico”.
Infine, la corte specifica evidenzia l’analisi in merito all’elemento soggettivo quale elemento costitutivo del reato. In particolare, viene avanzata la ipotesi sull’intensità del dolo, se nel caso di specie è bastevole un dolo generico quale elemento costitutivo del reato oppure ai fini della sua realizzazione è necessario un ulteriore elemento andando di fatto a richiedere un dolo più intenso ai dini della sua configurazione. Ebbene, i giudici supremi specificano che “in tema di tortura, anche quando il reato assuma forma abituale, per l’integrazione dell’elemento soggettivo non è richiesto un dolo unitario, consistente nella rappresentazione e deliberazione iniziali del complesso delle condotte da realizzare, ma è sufficiente la coscienza e volontà, di volta in volta, delle singole condotte”.
Il caso
Il 15.12.2021 è iniziato il processo penale a carico di 108 imputati al quale alla metà di loro, viene contestato – per la prima volta in Italia dalla sua introduzione nel 2017 – , il delitto di Tortura ex art. 613 bis.
Tra gli altri reati contestati ai detenuti vi sono i delitti di lesioni, abuso di autorità, falso in atto pubblico e omicidio colposo. Tutti i reati ovviamente devono essere dimostrati e la procura sembra poter affrontare tale ipotesi.
Gli episodi risalgono all’inizio mese di aprile 2020 in piena pandemia, quando ancora si cercava di capire con precisione la diffusione del virus e come poter prevenire il contagio. Precisamente accadde che all’interno della casa circondariale nel comune di S. Maria C.V., venne diffusa la notizia che un addetto alla spesa fosse risultato positivo al coronavirus. A loro volta, i detenuti preoccupati per il contagio, chiedevano a gran voce mascherine e igienizzante per le mani, protestando con veemenza contro la sospensione delle visite, e proprio tale sospensione, portò ad una agitazione e mobilitazione dei detenuti stessi. Il sovraffollamento all’interno della casa circondariale, dove erano detenute mille persone a fronte di una capienza di poco più di 800 persone, rendeva chiaramente impossibile qualsiasi forma di distanziamento. Inoltre, i detenuti, avanzavano lamentele in merito alla scarsa igiene che vi era all’interno del carcere che, a causa della prossimità di una discarica, è infestato da insetti.
Nei primi giorni di Aprile, venne presa la decisione di una “perquisizione straordinaria generale” a cui parteciparono 300 agenti, tra essi figuravano agenti anche esterni al carcere, dirigenti, commissari e ispettori. Per tale operazione venne richiesto anche l’ausilio di agenti del Gruppo di Supporto degli Interventi.
Si ha contezza di ciò che è avvenuto grazie alle riprese delle telecamere a circuito chiuso ivi installate. Dai filmati estrapolati, si evidenzia chiaramente che vi sono state messe in atto numerosi atti di violenza avverso i detenuti. Alcuni agenti avevano il volto scoperto, mentre altri erano a volto coperto.
Numerose sono le testimonianze che sono emerse e che raccontano gli avvenimenti di ciò che è accaduto, in particolare un detenuto ha raccontato che sono stati costretti ad uscire dalle celle, ed erano costretti a passare in mezzo ad un corridoio di agenti della polizia penitenziaria al solo fine di subire violenze attraverso l’ausilio di armi improprie come manganelli oppure di subire violenze fisiche avvenute con calci e pugni. Avvenimento ancor più grave, è da accertare l’omicidio colposo di un detenuto di origine algerina, il quale, dopo essere stato “torturato”, è stato posto in isolamento e da lì subito dopo deceduto a distanza di qualche settimana.
Il 28.06.2020 il G.I.P. E.S. del Tribunale di S. Maria C.V. emise 52 misure cautelari, ove alcuni appartenenti alla polizia penitenziaria finirono in carcere, altri furono posti agli arresti domiciliari mentre ad altri ancora fu applicata la misura ella sospensione dell’attività lavorativa. Il processo attualmente è ancora in corso ed ogni condotta deve ancora essere accertata, difatti, è opportuno richiamare un caposaldo previsto nella nostra costituzione, all’articolo 27.
Nel diritto positivo, vige il principio Costituzionale della presunzione di non colpevolezza secondo cui un imputato è innocente fino a prova contraria. In particolare, l’art. 27, co. 2, della Costituzione afferma che “l’imputato non è considerato colpevole sino alla condanna definitiva”. Tale principio è uno dei capisaldi del diritto penale.
Le motivazioni della Cassazione
La Cassazione nella sua funzione nomofilattica, afferma diversi concetti in merito alla configurazione e alla specificazione del delitto de quo.
I supremi giudici confermano che il delitto di Tortura, è un reato eventualmente abituale, ovvero si ritiene configurato, nel momento un cui vi è la reiterazione di fatti omogenei rientranti nella violenza, minaccia e crudeltà. La sezione V della Cassazione, specifica nella sentenza il passaggio chiarificatore su cosa si intende per reato eventualmente abituale; infatti, ritiene che la Tortura è un “reato eventualmente abituale potendo essere integrato da più condotte violente, gravemente minatorie o crudeli, reiterate nel tempo, oppure da un unico atto lesivo dell’incolumità o della libertà individuale e morale della vittima, che però comporti un trattamento inumano e degradante per la dignità della persona”.
Inoltre, ulteriore passaggio chiarificatore, è specificare in merito al reato contestato, cosa si intende per “più condotte”. La suprema Corte afferma che “la locuzione mediante più condotte, va riferita non solo ad una pluralità di episodi reiterati nel tempo, ma anche ad una pluralità di contegni violenti tenuti nel medesimo contesto cronologico”.
Orbene, per più condotte, non si intendono numerose azioni criminose distinte e scollegate tra loro, sia da un punto di vista di contegni o comportamenti legati nel tempo distanti tra loro, ma si riferisce, a comportamenti che violenti e consequenziali che fanno parte del medesimo contesto cronologico avente un unico fine, ovvero quello di commettere la tortura, quale comportamento inumano lesivo della dignità personale e fisica. Secondo passaggio degno di rilevanza e di attenzione, è la questione che attiene all’elemento soggettivo quale elemento costitutivo del reato.
I giudici della sezione V affermano che ai fini della configurazione del reato, non si deve ritenere la sussistenza di un “dolo unitario” quale elemento soggettivo come “unicum” consolidato dalla commissione della prima condotta necessaria ed integrante del delitto di tortura e durevole nel tempo anche con le altre condotte realizzate, “consistente nella rappresentazione e deliberazione iniziali del complesso delle condotte da realizzare”, ma deve essere valutata di volta in volta nelle singole condotte che compongono il delitto di cui all’articolo 613 c.p. Ciò lo si evince dalla specificazione in sentenza “ma è sufficiente la coscienza e volontà, di volta in volta, delle singole condotte”. Tale passaggio è fondamentale ed opportuno ai fini di riuscire a valutare la sussistenza in capo al soggetto agente se egli abbia commesso il reato contestatogli. Pertanto, La Cassazione, con la sentenza n. 8937 rigetta il ricorso in merito alla sospensione della misura cautelare specificando elementi fondamentali che andavano chiariti (data la recente introduzione della fattispecie) in merito a questo articolo.
Articolo 613 bis c.p. Tortura
Chiunque, con violenze o minacce gravi, ovvero agendo con crudeltà, cagiona acute sofferenze fisiche o un verificabile trauma psichico a una persona privata della libertà personale o affidata alla sua custodia, potestà, vigilanza, controllo, cura o assistenza, ovvero che si trovi in condizioni di minorata difesa, è punito con la pena della reclusione da quattro a dieci anni se il fatto è commesso mediante più condotte ovvero se comporta un trattamento inumano e degradante per la dignità della persona. Se i fatti di cui al primo comma sono commessi da un pubblico ufficiale o da un incaricato di un pubblico servizio, con abuso dei poteri o in violazione dei doveri inerenti alla funzione o al servizio, la pena è della reclusione da cinque a dodici anni. Il comma precedente non si applica nel caso di sofferenze risultanti unicamente dall’esecuzione di legittime misure privative o limitative di diritti.
Se dai fatti di cui al primo comma deriva una lesione personale le pene di cui ai commi precedenti sono aumentate; se ne deriva una lesione personale grave sono aumentate di un terzo e se ne deriva una lesione personale gravissima sono aumentate della metà.
Se dai fatti di cui al primo comma deriva la morte quale conseguenza non voluta, la pena è della reclusione di anni trenta. Se il colpevole cagiona volontariamente la morte, la pena è dell’ergastolo.
Analisi della fattispecie
Tale articolo è stato inserito dall’art. 1 della Legge 14/07/2017, n. 110 con decorrenza dal 18/07/2017. Tale introduzione è stata spinta con il fine di adeguare lo stato italiano agli altri stati comunitari, il quale ha imposto di introdurre tale fattispecie, andando a colmare un vuoto che era presente fino alla sua introduzione.
L’articolo 613 bis c.p. è inserito nel libro secondo “dei delitti in particolare”, al titolo XII “dei delitti contro la persona”, al capo III “dei delitti contro la libertà individuale”, nella sezione III “dei delitti contro la libertà morale”.
Il bene giuridico tutelato dalla norma corrisponde alla tutela dell’integrità fisica e psichica della persona offesa, nonché della sua libertà personale e della sua libertà di autodeterminazione.
Tale delitto è un reato di evento, ritenendo appurato che l’evento è un elemento che seppur separato dall’azione, è causato proprio da quest’ultima in modo diretto, quindi consolidando il principio dell’esistenza di un nesso di causalità tra l’evento e l’azione. Nei reati di evento è sempre necessaria una condotta che provoca l’evento quale diretta conseguenza dell’azione.
Difatti si parla di un evento naturalistico quale modificazione del mondo esteriore delle azioni e della condotta, ed un evento giuridico quale rappresentazione della violazione del bene giuridico tutelato dalla norma.
Ciò su cui si è concentrata la Cassazione nella sentenza ivi allegata, è sulla attribuzione del reato di Tortura confermando che si tratta di un reato eventualmente abituale.
Tale tipologia si esplica nel concetto secondo cui il reato eventualmente abituale ricorre quando la norma penale, ammette la reiterazione di più fatti omogenei attribuendo però rilevanza, allo stesso titolo, sia al fatto singolo che alla ripetizione intervallata nel tempo della stessa condotta.
Difatti, trova conferma il concetto secondo cui il delitto di tortura ex art. 613 bis c.p. si ritiene configurato, nel momento un cui vi è la reiterazione di fatti omogenei rientranti nella violenza, minaccia e crudeltà.
Per violenza quale elemento essenziale ai fini della configurazione del delitto de quo si intende una violenza che può essere propria ed impropria. Per la violenza impropria, si intende quella avvenuta attraverso un qualsiasi mezzo idoneo, restando esclusa però la minaccia, capace di coartare la volontà del soggetto passivo, annullando a sua volta, la capacità di azione o determinazione. Di contro, per violenza propria, si intende invece, l’impiego di energia fisica sulle persone o sulle cose, esercitata direttamente dal soggetto agente o attraverso l’uso di uno strumento.
Per minaccia va invece intesa la prospettazione di un male ingiusto e notevole, eventualmente proveniente dal soggetto minacciante, capace di ingenerare un timore che sfoci quindi in un patimento psicologico.
Per ciò che concerne la nozione di crudeltà, può a sua volta essere definita, come quella condotta che si traduca in comportamenti degradanti, posti in essere al sol fine di assoggettare la vittima alla propria volontà, senza alcuno scopo ulteriore.[1]
Il secondo ed il quarto comma prevedono due aggravanti speciali.
Il secondo comma prevede una circostanza aggravante speciale, qualora il fatto sia commesso da un pubblico ufficiale o da un incaricato di pubblico servizio, attraverso l’abuso dei poteri.
Il quarto comma invece, prevede l’ipotesi di una ulteriore aggravante, secondo cui è aggravato il reato se dal fatto deriva una lesione personale lieve, grave o gravissima.
Al quinto comma invece, viene affermato il concetto secondo cui se dal fatto derivi la morte quale conseguenza voluta, si applica la circostanza aggravante speciale dell’ergastolo.
Per ciò che concerne l’elemento soggettivo-psicologico del reato di tortura, è connotato nell’alveo del dolo. Sono richiesti due requisiti: il perseguimento di un particolare scopo, ossia ottenere dalla persona torturata o terza, informazioni o una confessione; il dolo nell’infliggere dolore e sofferenze (uso dell’avverbio intenzionalmente). In base alla Convenzione, questi ultimi elementi (di natura oggettiva) non debbono, tuttavia, essere di lievi entità: le condotte di violenza o di minaccia per connotare il reato devono cioè aver prodotto sofferenze “forti” a livello fisico e psichico.
Considerazioni Conclusive
Desta molta attenzione il caso evidenziato in calce e tutte sue sfumature che da essa derivano, poiché per la prima volta, viene applicata la fattispecie di tortura ex art. 613 bis c.p. (introdotta nel 2017) a quelle situazioni ove viene specificata un abuso del potere pubblico su soggetti privati della libertà personale, che in passato venivano punite attraverso ipotesi di reato più blande o attraverso fattispecie delittuose più comuni, ritenute magari anche inidonee o capaci di esprimere pienamente, il disvalore di tale forma di violenza commessa da parte di uno dei poteri pubblici appartenenti allo Stato, posto che, per la sua inesistenza e non previsione codicistica, in ipotesi già avverate in passato, avevano esposto il Paese Italiano a condanne in sede sovranazionale da parte dell’Unione Europea andando proprio a specificare, che vi fosse una lacuna normativa in merito.
Note
[1]https://www.brocardi.it/codice-penale/libro-secondo/titolo-xii/capo-iii/sezione-iii/art613bis.html
Foto copertina: Delitto di tortura